Locarno70, il festival diretto da Carlo Chatrian, ha regalato una splendida sorpresa: nella sezione più sperimentale e audace, c’è Paola Turci come giurata. Curiosa, avida di visioni e analisi, felice di questo percorso cinematografico e sincera in ogni sua valutazione. Se ti squassa il cuore quando canta – e l’ultimo album, Il secondo cuore, è di una potenza e di una poesia rari -, se ti fa tremare le gambe quando ti guarda, quando ti parla ti ipnotizza. Perché va sempre oltre, non si accontenta della risposta più banale. E non ha paura di aprirsi. E allora hai il raro privilegio di parlare con l’artista e la donna. Straordinarie entrambe.
Dal Festival di Sanremo al Festival di Locarno. Cos’è più difficile?
Essere giurata, a Sanremo facevo il mio lavoro e con una delle canzoni più mie. C’è una differenza abissale tra le due esperienze. Qui ho una grande responsabilità, è difficile giudicare le opere altrui mentre quest’anno a Sanremo sono andata a presentare chi sono, anzi chi sono diventata. Ci sono andata con una determinazione e concentrazione tali che mi hanno dato la possibilità di viverla bene, senza troppe ansie e mettendo tutto perfettamente a fuoco. Questa è un’esperienza bellissima, un lavoro difficile e interessante, mi piace parlare con gli altri giurati, un gruppo di artisti così bravi, confrontarci su un’arte così bella e complessa. Riunirsi con loro è un privilegio.
Te l’aspettavi di essere chiamata qui a Locarno?
Sono sempre stata un’appassionata di cinema fin da piccola, inoltre ho frequentato l’accademia teatrale per un anno. Poco prima dell’incidente stavo anche per fare l’attrice, poi ho dovuto rinunciare. Fino all’anno scorso, quando ho portato sul palco il mio monologo Mi amerò lo stesso, tratto dal libro che ho scritto. Ho sempre avuto ansia di raccontare, di vivere in altri panni.
Quindi questi ritmi festivalieri per te sono normali?
Non lo dico a nessuno, ma è così: posso vedere anche quattro film in un giorno, la mia migliore amica, Mariasole Tognazzi, è una regista, frequento tanti attori e autori, è un mondo che fa parte di me anche emotivamente. E’ una forma d’arte stupenda che ti porta in una dimensione altra.
Ansia di raccontare, amore per il cinema, un monologo a teatro. A quando una regia cinematografica?
Non ho mai pensato alla regia! Vorrei continuare a perseguire la passione della recitazione, però, l’essere altro e fuori di me, provare a vivere altre vite in modo profondo e intenso, sentire forte l’appartenenza a una storia. Per me è un’esperienza emotiva potentissima, la recitazione: peraltro ho studiato proprio partendo dal metodo Stanislavskij, l’entrare dentro un personaggio per me è bellissimo e naturale. Ma la regia no: non lo faccio neanche nella musica, faccio la supervisor magari, ho anche prodotto dei miei dischi, ma mi piace che tutti facciano il loro lavoro. Amo avere un produttore vicino così come che il bassista suoni il basso.
Il live è il teatro e l’album in studio è il cinema?
Sul secondo posso solo immaginare, non avendo mai fatto un film. Ma sì, sono d’accordo. Il live per me è la passione, la sublimazione di tutto ciò che faccio, il momento in cui metti alla prova te stesso e fai quello che ami di più. E probabilmente, per la sua natura, è molto simile al teatro, è vero. E’ il momento più esaltante e catartico in cui finisco per andare in trance ed entrare in connessione diretta con chi mi ascolta.
E a Sanremo con Fatti bella per te hai unito live e studio, messa in scena e rapporto con il pubblico
Il lavoro teatrale, così profondo e accurato, a Sanremo ha portato qualcosa di unico nella messa in scena della mia performance. Lì è andata la donna che è tornata sul palco, a teatro, dopo 24 anni, e quella esperienza mi ha dato una messa a fuoco diversa. L’attrice è salita insieme alla cantante e credo si sia sentito. C’era la me più completa.
Quest’anno, quest’ultimo album, questa canzone sono un giro di boa? L’impressione è che Paola Turci non sarà più la stessa
Ho fatto un lungo cammino, importante, di riscoperta di me. Ho superato i limiti che avevo, l’insicurezza feroce che mi provocava il mio volto. Perché io ho finto per anni di non nascondermi, ma in realtà mostrandomi mi nascondevo. Era un peso da cui dovevo liberarmi, dovevo trovare la forza e la spinta per farlo. L’ho trovata nel libro, una tappa importante che mi ha aperto una porta, e poi il monologo sul palco ha spalancato il portone del castello della mia autostima. Ho capito di piacermi, ho lavorato su me stessa – mi ero un po’ lasciata andare – e ora mi godo tutto. Me stessa, anche l’essere grande d’età ma con una leggerezza fisica e psicologica molto speciale. E ti assicuro che la seconda non l’ho mai avuta e la prima forse l’ho persa per troppi anni.
E hai scoperto che per anni avevi nascosto proprio la tua straordinaria bellezza
Sì ed è incredibile che io sia sempre la stessa. Ho capito che non si parla di una bellezza estetica, ma di quello che ho scritto nella canzone: c’è il piacersi, il dire sì a te stesso. Così cambia la tua espressione, il tuo essere con gli altri. Nascondersi non è mai bellezza, magari qualcuno può essere affascinato dal mistero, ma il mistero più bello è nell’esprimere.
Sei felice?
E’ un momento proprio bello, la sola paura è che finisca.
Locarno sa essere pop, indie e rock. Come te?
E’ un complimento meraviglioso e sì, mi ci sento. E sto bene qui, per l’importanza del festival, perché è sinonimo di indipendenza e di grandissimo livello culturale. Locarno è oltre, perché magari sarà leggermente più piccolo di Venezia e Cannes, ma estremamente più denso. E anche io ci provo a essere così, sempre.