All’inizio degli anni ’90, Bruce Springsteen e Patti Scialfa si sono trasferiti a Los Angeles ritrovandosi come vicino di casa Bobby Roth, regista che ha lavorato a Miami Vice, Beverly Hills 90210 e Agents of S.H.I.E.L.D. Sono diventati amici e Roth ha iniziato a riempire i suoi film – tra cui la commedia nera Manhood – di canzoni della coppia. Il legame è diventato ancora più profondo quando il regista ha sposato Pamela Springsteen, sorella del Boss, attrice e fotografa. «Ora fa parte della famiglia», dice Scialfa.
Così, quando Roth l’ha chiamata per chiederle di scrivere delle canzoni per il suo nuovo film Pearl, Scialfa non ha esitato a dire di sì. Il film racconta la storia di una teenager benestante (Larsen Thompson) costretta a vivere con un padre che non ha mai conosciuto (Anthony LaPaglia) dopo che la madre è stata brutalmente assassinata dal patrigno impazzito, che dopo averla uccisa ha puntato la pistola sul volto della bambina. «Me ne ha parlato al telefono», dice Scialfa, «è un film sulla perdita, su come la protagonista supera la morte della madre».
Scialfa ha contribuito con due nuove canzoni, Motherless Child e Plastic Horses, a cui si sommano le vecchie Charm Light e Spanish Dancer, tratte dal debutto del 1993 Rumble Doll. Abbiamo telefonato a Patti Scialfa per parlare del film, della vita in quarantena con Bruce Springsteen, di speranze e paure per il futuro della musica dal vivo.
Raccontami com’è nata Motherless Child, la canzone per il film.
Avevo il titolo da un po’ di tempo, ma non l’avevo mai finita. Avevo anche la melodia di base e il ritornello. Non appena Bobby mi ha raccontato del film, ho pensato di recuperarla. Mi ha costretta a finirla, è un bene. Ho pensato che era perfetta per il film. Abbiamo uno studio qui a casa, l’ho registrata lì e gliel’ho mandata.
Chi suona oltre a te?
Ron Aniello, che ha prodotto il mio album Play It as It Lays. Anche Bruce l’ha incontrato, ed è finito per fare parecchi dischi con lui. Sono andata in studio con Ron e gli ho suonato il pezzo al pianoforte. Lui ha pensato al resto. Abbiamo fatto tutto in un giorno. Poi è arrivato Bruce, perché lo studio è a casa. Viene sempre a fare un saluto. Avevo una versione molto breve del pezzo e Bruce ha detto che aveva bisogno di un solo. Io non volevo un solo, mi piaceva che dicesse esattamente quello che c’era da dire, senza distrazioni. Lui ha insistito e ha aggiunto l’assolo, poi siamo tornati al ritornello.
Il pezzo riassume molto bene il viaggio emotivo della protagonista, e credo che sia per questo che Bobby l’ha messo alla fine del film…
Sì. È bello scrivere con un’idea chiara della narrativa, in questo caso un lutto profondo, una circostanza tragica. È più facile scrivere così, almeno per me. Le canzoni oscure e complicate sono più semplici di quelle felici e divertenti.
Cosa puoi raccontarci di Plastic Horses?
È parte del materiale in cui mi sono imbattuta quando Motherless Child era ancora agli inizi. Era un valzer. Bobby ha detto che aveva bisogno di qualcosa per la sequenza d’apertura, il che era fantastico perché non avevo ancora il testo. Gli ho dato questo pezzo e gli ho chiesto se andava bene. È stato molto semplice. Tutto il processo è stato semplice. L’ho suonata al piano e gliel’ho mandata.
Cosa hai pensato quando hai visto il film la prima volta e hai visto la tua musica inserita nella storia?
È sempre un onore ascoltare la mia musica in altre forme rispetto ai miei dischi. Adoro registrarli, scrivo tutto il tempo. Ma ho un’altra vita con la E Street Band e con i miei figli, quindi non pubblicizzo troppo il mio lavoro. Lo pubblico e basta. Quindi quando qualcuno lo mette in una serie tv è come una conferma. Vuol dire che l’hanno ascoltato, che non sto scrivendo nel vuoto. È una bella sensazione.
Stai lavorando a un nuovo album?
Sì, sono a metà. Una metà è già mixata. Sono al punto in cui ho il resto delle canzoni, ma devo finire i testi. Quando scrivo ho melodie e arrangiamenti, spesso anche il ritornello. Ma devo tornare indietro e dire cosa voglio davvero dire, essere più specifica e in un certo senso più artistica.
Pensi che uscirà il prossimo anno?
Lo spero. Forse in primavera. Io e Bruce condividiamo lo studio, e lui è così prolifico di recente che è difficile riuscire a entrarci. Ha sempre qualcosa da fare. Lavorare in fretta è la cosa più difficile, per me.
Lo produce Ron?
Sì, praticamente vive qui. Entri nello studio e ci sono tutti. Si può fare musica ogni giorno, e lo facciamo. Ron è grandioso. Stiamo producendo insieme. È il partner perfetto, perché è molto musicale. Sa suonare tutti gli strumenti. Se hai un’idea puoi registrarla subito, non devi invitare altri musicisti. Si può fare tutto a casa.
Ha anche una mentalità aperta, è un lato fantastico della sua personalità. Scava a fondo per trovare quel che mi serve, perché io sono molto specifica in quello che voglio ascoltare. Sento sempre le melodie nella testa e il problema è inseguirle, registrarle esattamente come le sento. E lui è bravo. Ormai ci conosciamo molto bene. Capisce cosa vogliamo fare e aggiunge cose meravigliose. All’inizio gli dico sempre di no, poi cambio idea perché ha spesso ragione (ride).
Parlami del vostro studio casalingo.
Quando abbiamo costruito la proprietà, abbiamo inserito un grande garage perché collezioniamo macchine. Non sono auto preziose, in perfette condizioni. Sono macchine molto vecchie e divertenti da guidare senza troppe preoccupazioni. Stavamo costruendo il garage, era poco prima di un tour. Avevo approvato i progetti con l’architetto. Vivevamo in città e crescevamo i nostri figli – che erano più giovani – e non l’ho visto finché non era praticamente pronto. Era troppo grande. Ero imbarazzata dalle dimensioni, a dirla tutta.
Volevo annullare tutto, poi ho chiesto a Bruce di farci uno studio. Lui mi ha detto di sì. Mi ha lasciato il controllo totale del progetto, è stato fantastico. Abbiamo anche gusti molto simili. Ho lavorato con il fonico Bob Clearmountain per la parte del suono. Ha una struttura davvero bella. Ha porte e finestre, si vede il paesaggio fuori dalla fattoria. È un posto in cui si lavora 12 ore e ti sembra che ne siano passate solo tre. È davvero fantastico.
La pandemia ha cambiato il modo in cui lavorate lì?
Abbiamo una cabina isolata in ogni angolo dello studio. Poi c’è un salotto e una piccola cucina. Quando qualcuno viene a lavoro si sposta nelle sale isolate. Bruce e io invece restiamo in studio. Il fonico e Ron sono fisicamente fuori, separati da un vetro e da un muro. Abbiamo modificato tutto così da poter gestire le registrazioni da fuori.
Come vivete la pandemia? Viaggiavate molto, com’è restare sempre a casa?
Non posso lamentarmi, innanzitutto, perché siamo davvero fortunati. Abbiamo uno spazio magnifico. Possiamo andare all’aperto ogni giorno. Abbiamo cose da fare in studio. Non posso lamentarmi di nulla. Sono molto fortunata.
Detto questo, la parte difficile della quarantena è l’impossibilità di stare vicino alle persone più importanti. Vediamo alcuni amici, ma è difficile e snervante non poter abbracciare qualcuno a cui tieni. È quasi contrario ai nostri impulsi umani. Devi essere cauta. Vediamo gran parte dei nostri amici fuori dal portico. Abbiamo un grande portico, mettiamo dei ventilatori e stiamo a diversi metri di distanza. Dopo un po’ di drink, però, ci si avvicina un po’.
È difficile. Mia madre ha 92 anni e non posso vederla. Viene sul portico e sta a distanza, ma non posso toccarla. Credo sia un bisogno basilare per gli esseri umani. È una cosa che ti viene spontanea, a meno che tu non sia uno psicopatico. È triste. Questa è la parte triste. Non vedo il mio figlio più grande, Evan, che lavora per Apple. Fa playlist per Apple. Non viene a trovarci spesso.
Io sono ad alto rischio per ragioni di salute. I miei figli sono molto cauti. Il più piccolo, Sam, non entra in casa. Fa il pompiere. Sta sul portico e chiede da mangiare. Parliamo un po’. Neanche Evan entra in casa. Mia figlia è in Europa adesso. Ha fatto il tampone e dopo il risultato è stata in casa con noi per una settimana. È stato bello. Non posso lamentarmi, ma è difficile. Ti mancano quelle relazioni, il rapporto fisico con gli amici.
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Ho visto la foto in cui tagli i capelli a Bruce. Com’è andata?
Oh dio! Sai la verità? L’ho pubblicata senza pensarci troppo su. Gli tagliavo i capelli, lui non aveva la maglietta e io sembravo una pazza. Stavamo ridendo e ci siamo detti, facciamo la foto e pubblichiamola. Lui ovviamente non l’ha messa sul suo profilo. Poi è finita ovunque e ho pensato: oh no, che ho combinato? Ma mi è piaciuto tagliargli i capelli. Sono la maestra delle forbici casalinghe. Glieli taglio ogni mese e mezzo.
Ti manca stare sul palco? Ho visto le foto del vostro ultimo tour, sei di fronte a 80 mila persone in uno stadio. Sembrano immagini provenienti da un altro mondo…
Quando hai dei figli nella vita si crea una linea di demarcazione, c’è un prima e un dopo. Il virus inizia a farmi lo stesso effetto. In generale, non sappiamo se tutti ritroveranno il loro lavoro. Ci sono tante cose a cui finisci per pensare: la loro assicurazione sanitaria, come faranno a campare, e la maggior parte non ci riuscirà.
Per quanto riguarda il nostro mestiere, sono convinta che per molto tempo ci sarà un prima e un dopo il virus. I tour e i concerti che facciamo noi, non so come potrebbero tornare. Ovviamente serve il vaccino, ma quando sarà davvero disponibile? Di sicuro non quando lo dirà il governo. Credo che prima del vaccino arriveranno nuove terapie, e ci spero, ma non risolverà il problema degli assembramenti.
Una soluzione potrebbe essere un test immediato, come quello per la gravidanza, così da capire subito se puoi stare vicino alle altre persone. Non so cosa succederà. I grandi tour con grandi assembramenti saranno le ultime cose a tornare nelle nostre vite.
Hai dedicato gran parte della tua vita su un palco di fronte agli assembramenti più grandi che ci siano.
(Ride) È vero. Ma sai, nella mia testa vivo tante vite diverse. Quando ti ritrovi distante dal lavoro della musica, finisci per pensarci. I miei amici mi mandano le foto di un concerto a Barcellona, cose del genere, e mi chiedono se sarà mai possibile rifarlo. Non lo so. La cosa buona è che lavoriamo molto, e possiamo fare musica qui. Bruce è davvero impegnato, il che è positivo. Tu cosa pensi?
La mia ipotesi migliore è che gli assembramenti a cui siete abituati tu e Bruce torneranno al più presto nel 2021. Ma in realtà non ne ho idea.
Quante persone devono vaccinarsi? Il mondo intero! Quanto tempo ci vorrà? Dopo quanto sapremo se è efficace? Magari dura solo sei mesi. Non sappiamo nulla. L’Atlantic ha pubblicato un pezzo, e l’altra mattina l’abbiamo letto. È scritto bene, ma è spaventoso. Ho dovuto smettere di leggere. Non volevo iniziare la giornata così, era troppo cupo.
Temo che un terzo del Paese sia scettico e finisca per non farsi vaccinare. Cosa succederà?
Anch’io lo temo. Forse, se avremo una leadership diversa, sparirà la polarizzazione estrema che la gente sente in questo periodo. Ci calmeremo un po’. E con bravi esperti che sanno di cosa stanno parlando, come il dr. Fauci, potremo trovare conforto e una guida. Magari finirà parte della rabbia e della polarizzazione che c’è in questo Paese.
Cambiando argomento: partiresti in tour per il tuo prossimo album solista?
Mi piacerebbe tanto. Ero pronta. Danny Clinch fa un festival in estate, si chiama Sea. Hear. Now. È ad Asbury Park. Mi ha chiesto di suonare, sarebbero venute 10 o 20 mila persone. Avrei fatto un set di 45 minuti. Era fatta, ero in scaletta, ma poi è finito tutto. Ma mi piacerebbe andare in giro con la mia musica. Lo farei.
Spero che tornerai presto sul palco, magari nel giro di un anno o due, e tutto questo sarà solo un brutto ricordo.
È bello sentirlo dire. Lo spero anch’io. Sono un’ottimista, sono convinta che succederà, davvero.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.