“Benvenuti a Glasgow Eyes, una collezione di canzoni dei Jesus and Mary Chain” recita la busta interna del nuovo album della band dei fratelli Jim e William Reid. Una presentazione compassata, a quarant’anni di distanza (era il novembre 1984) dal fragoroso esordio di Upside Down, 45 giri uscito per la Creation di Alan McGee che fece scrivere al neonato Spin: «La voce di Jim Reid sembra provenire da un treno in frenata. Come un sintetizzatore all’inferno, o il lamento di una sirena a tutto volume, il suono del feedback è uno strumento in sé».
A Glasgow il disco è anche stato registrato, al Castle of Doom di Finnieston, nel West End della città scozzese. Nello studio di proprietà dei concittadini Mogwai, i Reid hanno riportato tutto a casa, dopo che il precedente Damage and Joy, l’album della reunion, se si può usare questo termine nel caso di due fratelli, era stato registrato in giro per il mondo tra Europa, Gran Bretagna e Stati Uniti. E da Glasgow, con un concerto di riscaldamento in programma il 19 marzo al St. Lukes, partirà anche il tour europeo la cui unica data italiana è in programma per il 17 aprile all’Alcatraz di Milano.
Da Glasgow Eyes la gente dovrebbe aspettarsi un disco dei Jesus and Mary Chain, ha detto Jim Reid. Da tempo i rapporti del cantante con il fratello chitarrista William sembrano essere più sereni, almeno per quanto riguarda il fare musica insieme dopo che le tensioni tra i due hanno raggiunto l’apice durante il famigerato concerto tenuto dalla band alla House of Blues di Los Angeles nel 1998, quando William ha cacciato Jim dal palco, perché ubriaco. «Finché non c’è di mezzo l’alcol fila tutto liscio», ha detto William. «Ora siamo maturi e non vogliamo stare sempre a litigare».
Dalla sua casa nel Devon, dove vive da tempo a un oceano di distanza dal fratello (stabilitosi invece a Phoenix, Arizona), Jim Reid risponde con tono fermo. Non è la persona più loquace del mondo, ma quel che dice, caratterizzato dal suo marcatissimo accento scozzese, ha l’indubbio pregio di andare dritto al punto.
Mi pare che nel nuovo album ci sia molta più elettronica rispetto all’album medio dei Jesus and Mary Chain. Si tratta di una scelta fatta prima di registrare?
Il rock’n’roll non è soltanto chitarre. Basti pensare ai Kraftwerk o ai Suicide. Queste band sono sempre state tra le nostre fonti d’ispirazione. Per questo album abbiamo deciso di fare così, io e William ne abbiamo discusso prima di entrare in studio e durante la lavorazione dell’album le cose non sono cambiate.
Jamcod, il primo singolo tratto dall’album, è ispirato al vostro scazzo sul palco della House of Blues. “Meglio notificare all’altro fratello che non si va da nessuna parte”, dice il testo. Cosa vi ha spinti a essere così aperti riguardo a quello che è successo, tanto da metterlo in una canzone?
È stata una notte estrema, come tante cose nella vita dei Jesus and Mary Chain. Non vedo perché nascondere quello che è successo. Nessuno di noi sopportava più stare nella band. Oggi sappiamo cosa fare e cosa non fare
Per cosa sta l’OD finale del titolo?
Sta per overdose. Nella loro storia i Jesus and Mary Chain si sono fatti un’overdose di tutto.
Anche il pezzo che chiude l’album ha un titolo interessante: Hey Lou Reid. Perché l’avete scelto? Di cosa parla la canzone?
È un tributo ai musicisti che sono stati importanti lungo il cammino della band. I Velvet Underground lo sono stati, come gli Stooges. Non è difficile immaginarlo. Sono stati importanti anche i Beatles e gli Stones, ma lo sono stati anche altri musicisti che non ti aspetteresti, come Dusty Springfield o i Pastels, nostri concittadini di Glasgow.
In agosto uscirà il vostro libro. Perché avete deciso di pubblicarlo solo adesso, dopo quarant’anni di carriera?
Non sarà una vera e propria autobiografia, un memoir, ma un libro di interviste che ci ha fatto in momenti diversi il giornalista Ben Thompson (già collaboratore di Sounds e del New Musical Express e tra le attuali firme di Mojo, nda). Ci saranno anche diverse cose che io ricordo in un modo e William ricorda in modo diverso. Se ti interessa conoscerci al di là della band e dell’essere musicisti, penso che potrebbe essere una lettura molto interessante.
Il titolo è Never Understood, mai capiti. Un gioco di parole con il titolo di uno dei pezzi di Psychocandy: Never Understand. Qual è la cosa principale di voi che non è stata capita?
Per tutta la nostra carriera siamo stati descritti in un certo modo: il feedback, i giubbotti di pelle, il brutto carattere. Ma una cosa che mai nessuno capisce è che c’è dello humour nei Jesus and Mary Chain. Prendi The Eagles and The Beatles, uno dei pezzi del nuovo album. Canto “I’ve been rolling with the Stones /Mick and Keith and Brian Jones / Andrew Oldham’s on the phone”. L’idea dei Beatles che se ne vanno in giro con le altre band è divertente.
A proposito di libri, hai letto Tenement Kid, l’autobiografia di Bobby Gillespie? Molte pagine sono dedicate alla sua esperienza con voi. Cosa ti ricordi di lui come batterista?
Sì, l’ho letto e mi pare che abbia raccontato bene quel periodo. Era il batterista perfetto per i Jesus and Mary Chain del 1984: una drum machine umana. Non era neanche un vero e proprio batterista, gli abbiamo chiesto di unirsi a noi e lui ha semplicemente detto di sì. Ma quando stava con noi aveva già fondato i Primal Scream ed era chiaro che sarebbero stati la sua strada.
Ci sono dei libri scritti da musicisti che ti sono particolarmente piaciuti?
No, non li leggo perché mi raccontano di cose che so già: groupie, cocaina…
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tour che sta per iniziare? Sul vostro sito c’è scritto 40 Years Tour. Come sarà questa celebrazione dei quarant’anni della band?
Ci saranno pezzi da ogni periodo della nostra carriera, il nostro modo di festeggiare i 40 anni sarà questo. Non abbiamo messo su una cosa particolare, ma se ti piacciono i Jesus and Mary sarà un concerto da non perdere.
In questi quarant’anni qual è stato il tuo principale contributo alla storia della band? E quale quello di tuo fratello William?
Non direi che ci sono cose che ho portato io in particolare, o William in particolare, anche se bisognerebbe chiederlo anche a lui. Siamo stati giovani punk, ora siamo vecchi punk, direi che il nostro contributo alla storia della band è stato soprattutto questo.