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Perché sottovalutare il fascino dell’elettronica in italiano? Ditonellapiaga intervista Whitemary

La ricerca dell'ispirazione, l'importanza di portare la musica (prima) live, la riverenza verso l'estero che ci fa dimenticare i nostri punti di forza. Ditonellapiaga fa le domande, Whitemary risponde. Il pretesto è l'uscita di 'New Bianchini', il secondo album della producer

Foto: Giacomo Gianfelici (1) e Fabrizio Narcisi (2)

Whitemary fa tutto da sola: scrive, compone e produce. Le piacciono le macchine, i synth, è affascinata dagli strumenti prima ancora che dalla musica e in New Bianchini si sente tantissimo il suo lato smanettone. Pezzo dopo pezzo, ti trovi in cuffia un disco al contempo da ballare sotto cassa e da cantare in cameretta, magia in cui riescono pochi artisti in Italia e che trova in Cosmo il rappresentante più illustre. «Ma siamo molto diversi in realtà, solo che cantiamo entrambi in Italiano», racconta Bianca a Margherita, aka Ditonellapaiga, durante la chiacchierata che abbiamo fatto in settimana. Bianca ha scelto di non avere nessun featuring all’interno di questo secondo lavoro, fatta eccezione per i brani prodotti con Davide Savarese ed Emanuele Triglia, perché sentiva l’urgenza di una dimensione personale e autoprodotta. Ma nel prossimo tour, in partenza dal Locomotiv di Bologna il 17 gennaio e che toccherà Milano, Torino, Perugia, Roma, Napoli e Molfetta, ha scelto di essere in tre sul palco, con le batterie live.

In un’ora di chiacchierata Bianca e Margherita – che hanno recentemente collaborato sul brano Non resisto contenuto nell’album Flash di Ditonellapiaga – si sono confrontate su cosa voglia dire prendere ispirazione da tutto quello che ci circonda, di quanto sia più bello scoprire la musica dal vivo senza conoscerla prima e di quanto a volte gli artisti italiani si sottovalutino rispetto al potenziale enorme che hanno. Le domande sono di Ditonellapiaga, le risposte di Whitemary, noi ci siamo introdotti con qualche curiosità.

Ditonellapiaga: Ciao Bianca, sei a Parigi vedo.

Whitemary: Sì, perché stasera c’è il concerto dei Justice.

Ditonellapiaga: Ah fico! A parte questo, come stai in questo periodo della tua vita?

Whitemary: Un po’ deconcentrata, devo dire. È uscito il disco, devo preparare il live. Mi sento un attimo confusa tra vari sddoppiamenti della personalità. Però dai, nel complesso bene. Sono stracontenta.

Ditonellapiaga: Allora, la prima domanda che ti faccio è un curiosità sul disco: il titolo. Ho letto che l’hai chiamato così [New Bianchini, ndr] perché prende il nome dalla cartella in cui raccoglievi tutto il tuo nuovo materiale. Però mi chiedevo se, nonostante la scelta casuale, la parola new rispecchiasse anche un progetto nuovo, una nuova te, magari.

Whitemary: Le mie cose è vero che sono casuali, però un retropensiero c’era già. I miei pezzi sono diversi perché diverso è in modo in cui li ho scritti rispetto a prima, non mi sono appoggiata a nessuna reference per nessun brano. Il primo disco era letteralmente Radio Whitemary, è proprio quello che avrei voluto ascoltare io in radio, erano tutti pezzi con un’ispirazione. Invece per questo zero, e già il modo di scriverli è stato nuovo per me. Poi sicuramente io proprio sono un’altra persona, cresciuta in tante cose, a livello professionale e umano. Mi sembra di aver acquisito tanta sicurezza in più, mentre prima ero più timida e insicura su quello che facevo.

Ditonellapiaga: Chiarissimo e si percepisce. Un’altra cosa che io vedo è una dimensione in cui hai deciso di stare da sola, che non vuol dire priva di legami, ma per conto tuo. Anche sul palco la scelta di essere da sola è una scelta forte, anche coraggiosa.

Whitemary: Sì, infatti quello è stato un momento importante. Ho pensato “Come lo presento questo disco che ancora non è uscito?”. È un secondo disco difficile, è new per l’appunto, lo presento da sola, anche questa è una novità, però in realtà è un ritorno ai miei inizi. Avevo paura che sembrasse un passo indietro dopo aver fatto l’upgrade della band.

Ditonellapiaga: Secondo me si percepiva che c’era un significato nel tuo essere da sola. Se penso alle volte che mi sono esibita da sola con le basi, mancava completamente la dimensione narrativa del concerto. Stare con la band ti fa sentire parte di qualcosa, oltre al fatto che sei con gli amici e ti diverti. Se dovessi fare un tour con la band adesso, quanti sareste?

Whitemary: In tre, con due batterie. Ho voluto tutte le batterie dal vivo.

Ditonellapiaga: Ah ok, e poi tu fai il resto.

Whitemary: Poi io uso i synth e ovviamente i sequencer, anche se ci sono dei suoni che non riesco proprio a ritirare fuori in un certo modo live.

Ditonellapiaga: Poi ti volevo fare un’altra domanda: immagino che la scelta di portare il disco in anteprima dal vivo sia stata una scelta coraggiosa, sicuramente poco comune, ma da spettatrice mi ha avvicinato molto di più al disco rispetto a quando l’ho sentito in cuffia perché il live è più immersivo, più diretto. In più il fatto di ascoltarlo con tutte persone al loro primo ascolto, ti mette in un livello alla pari con il pubblico. A volte penso che le persone si sentano frenate dall’andare ad ascoltare qualcosa che non conoscono perché magari sono circondate solo di fan e tu ti senti un po’ stronzo.

Whitemary: Esatto, anche secondo me ha portato un po’ di parità col pubblico. Io ho sentito una grande apertura emotiva, facendogli ascoltare le cose. A me piacerebbe tantissimo fare questa cosa di condividere la musica con chi è tanto appassionato, fargli sentire le cose prima, avere un feedback. Il 90% degli artisti che poi sono diventati i miei artisti del cuore li ho prima sentiti dal vivo.

Rolling Stone: È interessante questo discorso perché è esattamente l’opposto di quello che fanno oggi le persone che prima ascoltano in streaming e poi dal vivo.

Ditonellapiaga: Esatto, che vanno a fare i karaoke sotto palco.

Whitemary: Per carità, non c’è niente di male. Però questo è anche il senso dei festival, dove vai a sentire l’artista gigante che tutti conoscono, ma poi è circondato da tanta bellissima musica da scoprire.

Rolling Stone: Il ruolo di chi ti consiglia in questo è molto importante, no? Avere degli amici che ti indirizzino verso cose che possano piacerti. È interessante scoprirle con una chiacchierata invece che su Spotify. È un bell’invito a tornare a chiacchierare di musica, non solo ad ascoltarla.

Foto: Fabrizio Narcisi

Ditonellapiaga: Io sono d’accordo con te, è una cosa divertente, soprattutto quando vai a sentire progetti in cui c’è tanta cura per il live. Alcuni artisti magari si concentrano un botto in studio e poi vivono il live un po’ come un dovere. Invece per me è la cosa naturale proprio, anzi è quello il punto centrale, il fatto che poi parta il tour. Bianca secondo te qual è il posto giusto per ascoltare questo disco?

Whitemary: Intendi in generale o in Italia?

Ditonellapiaga: Oddio, non so se immaginavo una città. Esiste un luogo in cui può essere celebrato, secondo te? C’è qualche tipo di concerto magari, un club piccolo, uno stadio?

Whitemary: Dal vivo sicuramente in un club piccolo con un bell’impianto, con abbastanza spazio per far muovere tutti perché io soffro un po’ gli eventoni techno con la ressa dove non riesci a muoverti e ballare. È quel tipo di club dove vai a scoprire gli artisti che poi ti porti dietro tutta la vita, dove scopri artisti piccolini.

Ditonellapiaga: E secondo te c’è un brano più rappresentativo che ti ha fatto capire che stavi andando in una direzione, che ti ha fatto aprire gli occhi?

Whitemary: Sì, Oggi va così. Perché era quello che finalmente aveva una sonorità un po’ più delineata, il testo chiaro, quindi per me è stato il punto di partenza da cui ho capito che stavo facendo un disco nuovo. E poi ho anche capito quando l’avevo finito, quando ho scritto Mi Disp.

Ditonellapiaga: E come hai fatto la tracklist? È stato difficile? A me sembra un discorso unico, ma immagino non sia nato così.

Whitemary: No, però li ho scritti uno dietro l’altro. A livello temporale secondo me è un discorso che si apre e si chiude.

Ditonellapiaga: Mi hai detto che non hai utilizzato reference. Ci sono state però delle ispirazioni, un immaginario da cui hai attinto? Mi ricordo che tu hai un quadernino in cui scrivi tutte le cose che vedi, c’è anche Non resisto dentro. Ti appunti ogni tanto dei concetti e poi li riprendi oppure parti da zero e vedi come butta? Lo so, è un po’ una domanda del cazzo.

Whitemary: Sì, questa cosa la faccio tanto, a volte mi appunto anche solo delle parole che poi dimentico, risento per caso e allora mi tornano in mente. Oppure magari le leggo in un libro. Se le ripesco vuol dire che andavano ripescate. Adesso sto leggendo questo libro sull’evoluzione, a partire dal Big Bang, è tutta una roba mezza scientifica, mezza filosofica. Ci sono dentro tre, quattro cose che mi sono piaciute e me le so appuntate. Poi se ci farò qualcosa, vedremo. Prendere degli appunti è un po’ come nutrirsi, no? Quello che tiri fuori è un po’ una sintesi di tutte le provviste che hai fatto.

Ditonellapiaga: Ti collochi in una scena oppure senti l’esigenza di averne una in questo momento?

Whitemary: Se dovessi ritrovarmi in una cerchia di artisti, c’è sicuramente Cosmo, ma banalmente perché facciamo tutti e due elettronica e cantiamo in italiano. Poi siamo diversi, abbiamo un passato di vita completamente differente, però a livello di stile sicuramente.

Ditonellapiaga: E a livello internazionale?

Whitemary: Mi piace Mary Davidson, per me è stata tanto d’ispirazione, mi ha proprio dato coraggio questa cosa di usare la voce in maniera drammatica. Amo le artiste che ci tengono a specificare come producono, quello che usano, mettono le macchine al centro. Mi piace l’elettronica al femminile.

Ditonellapiaga: Non fai parte di un collettivo di artiste donne, tra l’altro?

Whitemary: Poche Collective, sì.

Ditonellapiaga: Ne fanno parte Elasi e Plastica, giusto?

Whitemary: Sì, con loro, ma non c’è una scena più ampia nata attorno a questa cosa. Trovo che non ci sia più quel tipo di collettività che poteva magari esserci quando è nato un po’ l’indie.

Ditonellapiaga: Stiamo vivendo un momento molto ibrido in cui tutta quella roba un po’ sommersa è confluita nel mainstream, però poi non si è più ricreata alla stessa maniera, magari perché ha meno spazio. C’è una situazione molto di figli unici, forse. E la pandemia non ha aiutato.

Whitemary: Con Poche è nata esattamente così, in pandemia. Ci siamo scritte, poi chiamate su Skype, anche con delle ragazze che stanno a Londra.

Foto: Giacomo Gianfelici

Ditonellapiaga: Ma tu hai mai pensato “Vaffanculo, me ne vado dall’Italia”?

Whitemary: Sì, tantissimo. Tutte le volte che vado in giro penso che vorrei stare in quel posto lì. Però secondo me l’Italia fa molto meno schifo di quello che diciamo. Anche Roma fa molto meno schifo di quello che pensiamo.

Ditonellapiaga: Sei una missionaria allora tu.

Whitemary: Esatto, io vado in missione, giro e poi ritorno. Sarebbe stupido andare a Berlino perché lì tutti fanno elettronica, mi lancerei in un calderone. Non ho ancora questi obiettivi. Anzi, a volte ho la sensazione di navigare a vista.

Ditonellapiaga: Io stavo pensando a progetti come Daniela Pes che è talmente rara e brava da essere super internazionale. Se la senti puoi anche non percepire la parte più sperimentale, ma emotivamente arriva tantissimo. E lei viene da un tour di un miliardo di date all’estero. Una volta ho beccato questo ragazzo austriaco a Vienna che mi diceva “Ah ma sei italiana? Io sono super fan di Giorgio Poi”. È un progetto italiano ma che all’estero funziona tantissimo.

Whitemary: Come Laszlo De Simone.

Ditonellapiaga: Secondo me il tuo progetto all’estero potrebbe fare ancora di più, anche perché noi sottovalutiamo tanto il fascino dell’elettronica in italiano. Cioè, proprio della lingua italiana all’estero.

Whitemary: Anzi, ce lo poniamo sempre come limite: “Ma come, l’elettronica italiana?”. E invece l’elettronica nasce anche grazie all’Italia. Pensa all’italo disco o ai Dov’è Liana che hanno avuto successo grazie all’uso dell’italiano.

Ditonellapiaga: Io se c’è un artista di un’altra nazionalità mi sento automaticamente inferiore, ma alla fine non è giusto. E se non sogni in grande non si combina una mazza.

Whitemary: Forse all’estero investono di più nella musica, sopratutto in Olanda, Belgio e Nord Europa. Mentre noi ci accontentiamo delle briciole.

Rolling Stone: Hai mai pensato di fare qualcosa di italo disco, visto che è il genere del momento?

Whitemary: No, è troppo happy per me.

Ditonellapiaga: Parlando invece di voce. Ti senti una brava cantante?

Whitemary: No, non mi sento una brava cantante, né a livello timbrico né di espressività. Io nasco cantante, però mi sono anche resa conto subito che le mie abilità non erano proprio eccezionali. Ho costruito le mie sonorità e il mio genere proprio per adeguare la mia voce a un contesto in cui avesse senso. L’italo disco ad esempio è sempre stata affiancata da grandi cantanti.

Ditonellapiaga:Io mi ricordo che facevi un sacco di jam e cantavi roba più neo-soul all’inizio.

Whitemary: Quella roba lì era proprio per puro piacere. Sono passata dal jazz che mi piaceva tanto e ci ho creduto un sacco. Facevamo serate in cui sceglievo i pezzi più improponibili. Provavo anche a rappare, pure se facevo schifo, però mi divertivo. Avevo delle tecniche per riuscire a fare cose su cui non ero per niente brava, come scrivere tutti gli accenti in battuta, sulle parole, facevo di di tutto pur di farli.

Ditonellapiaga: Ma qual è stata la prima canzone che hai scritto nella tua vita?

Whitemary: Eh, urca, una delle prime, proprio triste, l’ho scritta per Susanna, una delle mie migliori amiche che non c’è più a causa del terremoto. Ho scritto questa canzone senza senso e l’ho cantata durante i funerali commemorativi. Se ci penso ora avevo un’incoscienza nel condividere un dolore così grande, una canzone così personale. Io non scrivevo tanto all’inizio, ero molto frenata, quella è veramente la seconda o terza canzone che ho scritto.

Ditonellapiaga: È una bella botta, mi dispiace. Però, secondo me è un bel ricordo.

Whitemary: Molto, comincio a vivermelo piano piano come un bel ricordo. O comunque sta venendo fuori una parte bella nel brutto.

Rolling Stone: Mi inserisco con un’ultima domanda. Dicevi che quando cantavi non eri brava, ma ti divertivi. E a fare elettronica ti stai divertendo?

Whitemary: Tantissimo, è ancora più divertente. Per me è proprio un parco giochi, stare lì con i circuiti, a trovare i suoni, mi diverto davvero tanto.

Rolling Stone: Ma sei una che viene dal mondo del clubbing, che li frequenta?

Whitemary: Non tantissimo, in realtà. Li ho scoperti tardi, ne ho frequentati pochi per tanto tempo. Appena mi sono trasferita a Roma andavo a sentire psy-trance perché quel mondo mi aveva un po’ affascinato.

Rolling Stone: Quindi la tua passione per l’elettronica non nasce dalla pista, ma da un tuo bisogno espressivo.

Whitemary: Sì. Molti artisti li ho scoperti tardi, Jeff Mills l’ho ascoltato per la prima volta a 26 anni. Mi sono appassionata proprio agli strumenti che si usano in realtà, i synth su tutti.

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