Quando parla di filosofia, non è chiaro se Petite Meller abbia realmente idea di quello che sta dicendo – ma d’altro canto, la cosa si potrebbe dire per il 99% dei filosofi. E tuttavia, anche se nelle sue canzoni, a partire dal fortunato singolo Baby love, evita di essere troppo concettuosa, nelle interviste la bambolina francese-israeliana dall’età misteriosa ricorre volentieri al name-dropping (un po’ stereotipato, a dire il vero) e ai suoi studi alla Sorbona per definire il suo personaggio, nella speranza di far sentire la sua esile vocina nello scintillante bailamme del pop.
Sta per uscire il tuo primo album, Milk Bath. Sei riuscita a metterci quello che hai definito “nouveau jazzy pop”?
Lo spirito è molto jazz, ma ci saranno suoni di tutti i tipi, dall’Africa al pop, anche perché una volta in studio ho sperimentato tanto, con tutti quei suoni con cui giocare. Il jazz è quello con cui sono cresciuta, i dischi di Billie Holiday, Dizzy Gillespie, Duke Ellington di mio padre. Lo avevo quasi lasciato alle spalle, poi quando mi sono trovata a New York l’ho sentito rinascere.
Lo strumento del pop è soprattutto il singolo, a quale disco ti sei invece ispirata per realizzare il tuo album?
A Graceland di Paul Simon: un vero biglietto per un viaggio in Africa, un luogo di elementi musicali che si fondevano. Non potevo fare altrimenti, tutti questi pezzi sono stati scritti in posti diversi del pianeta, da Parigi a Londra a L.A…
A proposito di internazionalità, è stata una scelta problematica quella di non cantare in francese ma in inglese?
A dire il vero all’inizio cantavo in francese ma nessuno capiva. Ora dicono che canto meglio in inglese, che suono più sexy! Io vado col mio stile, voglio arrivare a tutti e… (ridacchia)
Il pubblico del pop è considerato superficiale. È una valutazione che fai quando scrivi i tuoi pezzi?
Io non voglio essere una che deprime, anche se le mie canzoni vengono da posti oscuri. A me piace come in Africa ballano via il dolore. Ecco perché ho voluto dei bonghi. La mia aspirazione è fare pop con idee e concetti, come nella canzone Backpack, che dice che il passato è come uno zaino che ti porti dietro. Prendere sintomi e traumi e indossarli con fierezza, questo è ciò che canto; oppure in Barbaric mi riferisco al fatto che ogni giorno reprimiamo delle cose, a me piace l’idea di momenti liberatori, come quando vedi La dolce vita di Fellini, questa ragazza che va nella fontana, Anita Ekberg, lei se ne frega di quello che pensa la gente e io vorrei essere come lei.
Il tuo look è molto elaborato, penso che tu abbia lavorato molto anche al tuo personaggio. In base agli studi che hai fatto, cosa pensi del ruolo delle icone pop nella nostra epoca?
Io non ho icone.
Neanche Anita Ekberg?
No, penso che la nostra generazione sia più furba, e non ne abbia bisogno. Non è una cosa che ha a che fare con me. Le icone sono una cosa che ha a che fare con l’ego, penso che oggi la gente voglia soprattutto cercare di aiutarsi, di sintonizzarsi anche coi social network, di far girare idee ed emozioni. Quando Michael Jackson è morto, per me è morto. Madonna non la vedo come… io non cerco di vedere delle persone come miti. Siamo tutti persone, e alla fine muoriamo tutti… Mi piacciono le domande italiane! Sono più profonde, in Italia sono tutti più filosofici e mi sfidano, io poi amo tanto il cinema italiano. Chi è il vostro filosofo più importante oggi?
Caspita, non è propriamente il mio campo. Tra i viventi, forse Emanuele Severino, o forse per peso pubblico Umberto Eco… Perché, in Francia, chi è? Ma a proposito, tu che rapporto hai con la Francia?
Mi piacciono i filosofi francesi, il mio preferito è Lacan. Dopo Freud è considerato il, come si dice… Lui ha interpretato Freud e mi piace molto.
Uhm. A che età hai incontrato Lacan e cosa ti è piaciuto in particolare?
All’inizio del mio percorso universitario studiavo i filosofi greci, poi sono stata attratta da estetica e psicoanalisi e ho studiato Kant e Lacan perché cercavo di trovare una relazione tra il sublime e l’interiorità.
Raccontami un momento sublime della tua vita.
Wow. Che bella domanda. Sempre belle domande in Italia. Wow. (ndr: prolungato silenzio) Forse quando ho avuto l’idea per il video di Baby love e siamo andati in Africa e abbiamo incontrato i ragazzini degli slums e abbiamo messo la musica di Baby love e loro non hanno detto niente ma si sono messi a ballare come pazzi, e questo è un momento di verità e di amore, e questo per me è il sublime.
Mi dicono di farti l’ultima domanda.
Chiedimi di cinema! Io amo Antonioni e Fellini, ispirano tanto anche le mie scelte nei vestiti. Il mio film preferito è Morte a Venezia. Antonioni soprattutto… Monica Vitti!
Ok, ma qualcosa di più recente?
Come si chiama, il nuovo regista, quello di Gomorra. Ma non quel film – mi piace più l’ultimo. Quello con una festa, molto assurdo, una specie di finto Antonioni.
Ma non è La grande bellezza? Sorrentino?
Sì, lui.