Più che una normale band, la Premiata Forneria Marconi è un marchio di musica a denominazione di origine controllata e senza confini. A mezzo secolo di distanza dall’esordio con Impressioni di settembre, il gruppo pubblicherà venerdì un nuovo concept album – il migliore da loro partorito negli ultimi anni per freschezza e qualità delle composizioni – che pone interrogativi sulla trasformazione che l’uso sempre più sfrenato e alienante della tecnologia sta operando sul genere umano.
Influenzato dal romanzo quasi omonimo di Philip K. Dick, Ho sognato pecore elettriche (il disco esce anche in inglese: I Dreamed of Electric Sheep) si spinge più che mai verso il crossover tra generi: prog, classica, funk, pop, rock, elettronica, fino al metal. Ed è incredibile come questa band suoni ancora con lo spirito e la passione di quando ha iniziato, anzi, ancora di più. Parliamo di tutto ciò e di molto altro con l’essenza stessa di PFM: Franz Di Cioccio e Patrick Djivas.
Anzitutto vi chiederei come avete vissuto, voi che siete costantemente on the road, il periodo di fermo forzato a causa del Covid.
Di Cioccio: Dopo 110 concerti del tour PFM canta De André Anniversary pensavamo di fermarci un attimo a riposare e poi rimetterci in marcia con una serie di date già sold out a Milano, Roma, Ancona… A un certo punto lockdown, tutto blindato e noi fermi… Così ci siamo chiesti: cosa facciamo? La risposta è stata: facciamo un disco.
Come avete gestito il lavoro con le difficoltà di spostamenti che c’erano?
Di Cioccio: Tieni presente che io abito in una certa zona di Milano, Patrick è abbastanza distante. E lui ha in casa lo studio dove abbiamo lavorato. Quindi ogni giorno ho dovuto fare 100 chilometri tra andare e tornare, con tutti i permessi pronti per eventuali blocchi della polizia. Però volevamo portare avanti a tutti costi questo progetto perché avevamo un’idea particolare da giocare in un momento in cui le cose stavano prendendo una piega quasi distopica.
Djivas: L’attenzione e la dedizione totali, che sono sempre ben presenti quando decidiamo di lavorare a un nuovo album di PFM, ci hanno permesso di estraniarci anche un poco dai problemi legati alla pandemia.
Se non ci fosse stato questo periodo avreste fatto lo stesso il disco?
Djivas: Non siamo capaci di starcene con le mani in mano… Certo, potevamo fare quello che hanno fatto tanti altri artisti: dirette streaming e cose del genere, ma noi siamo un po’ pignoli su queste cose…
Di Cioccio: Noi siamo fisici, abbiamo bisogno del contatto vero col pubblico.
Djivas: Così abbiamo pensato che l’unico modo per rimanere in contatto era fare un disco, un disco uscito fuori con una mentalità quasi live, con grandissima libertà, immaginando di stare sul palco. Infatti inizia con un brano strumentale, cosa abbastanza strana e, ancora più strano, finisce con un’improvvisazione, una jam session che di solito non si mette nei dischi in studio. Invece sta piacendo.
Di Cioccio: Non è che se non ci fosse stato questo periodo il disco non l’avremmo fatto, anzi il lavoro era già stato programmato. Negli ultimi anni siamo stati così tanto in giro, belli rodati con il concerto su De André che non è molto facile, lo sembra quando lo ascolti, ma mantenere tutti quei climi, quel modo di suonare non è una passeggiata. Durante una delle tante riunioni al mattino a colazione ci siamo detti «Dobbiamo fare un disco». Avevamo già pensato alla storia, Ho sognato pecore elettriche era il titolo già allora. Il fermo per la pandemia a un certo punto si è rivelato il momento più propizio per realizzarlo.
Come mai un concept del genere?
Di Cioccio: Patrick e io siamo patiti di fantascienza, di Blade Runner e di Philip K. Dick, dal cui romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? fu tratto il film. Abbiamo cercato di dare una risposta a questa domanda, dicendo che sì, gli androidi sognano pecore elettriche come stanno facendo molti di noi che vivono in un immenso territorio di connessioni e dati, in un mare di giga nell’arcipelago degli algoritmi. L’informatica è fantastica, ma ci ha catapultati in un mondo parallelo, tutti vivono in questo tipo di realtà. Se tu sei davanti al computer e sui social da mattina a sera, sempre col telefonino in mano, è chiaro che poi sogni pecore elettriche. Quando è che parli con te stesso? Quando è che usi la fantasia, l’immaginazione?
Djivas: Gli androidi del nostro disco non sono fatti di metallo, sono di carne e ossa. E ci si sta accorgendo troppo tardi di questa deriva, un po’ come per il riscaldamento globale. Quando si cercherà di correre ai ripari sarà troppo tardi.
Credo che musicalmente Ho sognato pecore elettriche rappresenti un po’ la summa delle varie anime di PFM, cosa ne pensate?
Di Cioccio: Certo, ci siamo detti: mettiamo dentro tutto quello che sappiamo fare, dobbiamo divertirci in questo momento tremendo, abbiamo la storia giusta, mettiamoci la musica che ci piace.
In alcuni brani ogni tanto vengono alla luce alcune citazioni del vostro passato, ad esempio il pianoforte di Photos of Ghosts o un frammento de La carrozza di Hans.
Di Cioccio: È come dire che La carrozza di Hans ti può portare nell’immaginario, in un altro luogo, è l’allegoria di un mezzo che ti fa viaggiare dentro l’immaginazione.
Mi era sembrato di sentire anche una citazione di Mr. 9 Till 5, ma mi sono sbagliato, forse mi sono fatto confondere dal titolo Mr. non lo so.
Di Cioccio: Mr. non lo so è uno yes-man che riesce a imbucarsi ovunque negli incontri che contano. Ma in quel contesto lui non è nessuno e nonostante continui a indossare diverse maschere resta un signor nessuno. Un giorno però alza gli occhi e vede Nidro, un drone che volteggia nell’aria desiderando di essere libero come lui. La canzone era molto diversa all’inizio, più dura, l’abbiamo trasformata in un pezzo ironico con un ritmo shuffle e un assolo strepitoso di Lucio Fabbri al violino.
Djivas: I “Mr. non lo so” ci circondano, sono quelli capaci di dire una cosa e l’indomani esattamente il contrario, fregandosene assolutamente della coerenza solo per ottenere dei piccoli vantaggi. Queste persone alla fine non sanno realmente chi sono, cambiano faccia così tante volte da non avere più una precisa personalità.
Di Cioccio: Il protagonista di Mr. 9 Till 5 invece era il classico impiegato che ogni giorno compie le stesse azioni. Potremmo ritrovare un personaggio del genere ne La grande corsa, dove tu corri e corri ma non sai perché, la società ti dice di farlo e tu obbedisci.
E diventi un po’ una pecora, elettrica o meno…
Di Cioccio: Le pecore in realtà sono animali molto liberi, le vedi nel gregge ma poi cercano accuratamente ciò che a loro piace brucare e si spostano in armonia.
Djivas: In armonia come noi che passiamo da una musica a un’altra.
Di Cioccio: Come lo siamo io e Patrick, diversissimi per carattere ma uniti come sezione ritmica che deve essere costantemente in armonia. E con un controllo qualità altissimo, se una cosa non ci convince lavoriamo affinché entrambi non si sia contenti al 100%.
Djivas: Spesso si tende a dare un’interpretazione romantica all’ispirazione. Alcuni dicono «Ho sognato una melodia e poi ho scritto una canzone in 10 minuti». Per carità, può succedere, ma sono casi rarissimi. A questo proposito c’è un proverbio americano che dice che il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% sudore. Questo è il nostro modo di operare, ricordandoci di non rimanere confinati a cose fatte in passato, che magari ci hanno dato soddisfazione ma che rischiano di bloccarci lì. Quando vivi la musica, quando sei dentro il mestiere della musica, è necessaria una crescita costante, alzare l’asticella e non andare mai sotto. Se fai questo riesci a fare il musicista per tutta la vita. E quando ci chiedono «Qual è il segreto della PFM che da 50 anni va avanti con entusiasmo a fare dischi e concerti senza mai fermarsi?», il segreto è solo uno: noi non ci annoiamo, per noi è sempre una ripartenza, non è mai un proseguire.
Nel brano che da il titolo al disco, Ho sognato pecore elettriche, c’è la vostra dichiarazione di amore per la musica, tutta la musica
Di Cioccio: In quel testo raccontiamo che la musica è bella tutta, senza discriminazioni, se ti piace goditela sennò chissenefrega, inutile fare polemiche. Passiamo da un inizio molto funky e costruiamo tutto quello che c’è sopra, con il testo che dice “suonare è come pascolare dal funky al jazz, dal blues al rock…. Finalmetal”, gioco di parole che lancia un momento liberatorio con un solo della madonna di Marco Sfogli. Sono queste costruzioni che ci divertono, giochiamo con la musica spaziando in essa.
In AtmoSpace, c’è anche la curiosa storia di un drone innamorato…
Di Cioccio: Innamorato della Terra mentre noi non la vediamo nemmeno, impegnati come siamo a star dietro alla tecnologia.
Il respiro del tempo invece è una sorta di inno nel quale si auspica proprio il riappropriarsi della Terra, con un sogno che si avvera per tutti i prog fan: sentire suonare nello stesso brano Ian Anderson dei Jethro Tull e Steve Hackett dei Genesis.
Djivas: Il respiro del tempo è un pezzo importante, che parla proprio di tornare a vivere in maniera più decente in questo pianeta. Musicalmente spazia tra molte culture, da quella celtica a quella indiana con in mezzo un po’ di jazz-rock. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di venire a darci una mano in questa marcia per la nostra Terra: due di questi sono Ian Anderson e Steve Hackett, che conosciamo e stimiamo da anni. Tutti e due hanno partecipato capendo quello che era necessario alla canzone, non quello che noi volevamo ma quello che il brano voleva, senza badare al numero di note suonate o a quanto spazio gli era concesso, solo con grandissimo rispetto per ciò che avevamo composto. Ricordo poi gli interventi di Luca Zabbini dei Barock Project, che ci ha dato una grossa mano con suggerimenti preziosi, e la presenza di Flavio Premoli che si è unito alla jam finale dando la sua personale zampata. Ogni musicista nella band ha dato il meglio di sé: i nostri tastieristi, Marco Sfogli che passa attraverso una grandissima quantità di stili e situazioni armoniche in pochi istanti, Lucio Fabbri che nel primo brano, grazie a un sacco di sovrapposizioni di archi uniti all’elettronica, ha inscenato un’orchestra. Tutti veramente formidabili.
Adesso che le teste pensanti di PFM siete solo voi due vi sentite più liberi? Le decisioni sono più agili rispetto a quando eravate in cinque?
Di Cioccio: È questione di evoluzione, quando eravamo in tanti lavoravamo in un altro modo, c’era un contatto diverso, un modus operandi diverso in un’epoca diversa. Io e Patrick abbiamo portato avanti l’idea di band in continuo mutamento, mai allineata. La formazione originale è originale quando parte ma poi si cambia, ogni volta con un prodotto artistico diverso perché hai viaggiato, hai visitato, hai conosciuto persone… In tutto questo se la musica è buona è buona, non c’entra se la formazione è originale o meno. Noi siamo rimasti perché ci lega una grande amicizia, abbiamo le stesse idee, siamo estremamente compatibili. Quando in una band i tempi non combaciano è meglio evitare di collaborare. Se il fan vuole ascoltare la PFM classica c’è Storia di un minuto, per chi vuole ascoltare la PFM di oggi c’è questa che fa una miriade di cose: Stati di immaginazione, PFM in cCassic, PFM canta De André, Ho sognato pecore elettriche… Questa vitalità nasce da due persone che hanno 50 anni di esperienza…
Djivas: E grande rispetto per il nome che portiamo in giro, che ha sempre dato una visione della musica a 360 gradi.
Di Cioccio: Il tutto senza nostalgia, vivi e sanguigni. Gli ex componenti stanno mettendo il loro impegno in altre situazioni che li rendono felici e io sono felice per loro, noi siamo felici per quello che stiamo facendo ora, con la stessa voglia che avevamo nel 1970.
In questi giorni Impressioni di settembre ha compiuto 50 anni, mi piacerebbe chiedere a Patrick, che all’epoca non era ancora entrato nella PFM, un pensiero sul brano.
Djivas: È una canzone bellissima che cattura subito, va dritta alla testa e al cuore non in maniera ruffiana, cosa che succede molto spesso, ma con un inciso strumentale anziché cantato, un testo quasi ecologista in anticipo coi tempi, una qualità di scrittura di alto livello. Ti dirò di più: come sai prima di entrare nella PFM io suonavo con Demetrio Stratos, quando ancora gli Area non si erano formati. E con lui facevamo le sale da ballo suonando cover, tra cui proprio Impressioni di settembre, che Demetrio cantava in modo strepitoso. Avevo solo qualche dubbio nei riguardi del loro essere un po’ troppo prog in senso classico, sinfonico. Infatti appena sono entrato ho fatto di tutto per cercare di aprire ulteriormente i loro orizzonti.
Se poi mi vuoi chiedere come mai io abbia deciso di entrare nella PFM la risposta è molto semplice: perché volevo fare il musicista per tutta la vita. All’epoca avevi un iter quasi scritto nel destino: facevi il musicista fino al momento in cui partivi a militare. Io non ho fatto il militare quindi ho continuato a fare il musicista. Oppure facevi il musicista fino a quando ti sposavi, io non mi sono mai sposato e quindi ho continuato. A un certo punto mi sono reso conto di avere oltrepassato le tappe obbligatorie della rinuncia a fare il musicista, che era considerato più un divertimento che un lavoro, e mi sono detto che volevo farlo per tutta la vita. Allora ho cominciato a studiare seriamente, a mettere tutta la mia attenzione alla musica e quando Franz un giorno nel 1973, dopo una jam session tra PFM e Area all’Altro Mondo di Rimini, mi ha chiesto se volevo unirmi alla band io ci ho pensato un giorno intero e mi sono detto: secondo me in quella situazione farò il musicista per tutta la vita. Ma pensavo tutto meno che a 74 anni avrei ancora avuto lo stesso entusiasmo e la stessa voglia, e invece…
L’anno prossimo invece sarà il cinquantenario di Storia di un minuto, bolle in pentola qualcosa?
Djivas: C’è qualcosa in ballo, ma ancora è molto per aria e non possiamo parlarne.
Di Cioccio: Ti terremo informato.