A dieci anni dalla scomparsa, la musica di Pino Daniele è ancora attuale. Lo dimostra tra le altre cose Nero a Metà Experience, il progetto di tre musicisti che hanno contribuito a plasmare il sound dell’artista napoletano tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, soprattutto in un disco importante come Nero a metà.
Il batterista Agostino Marangolo, il bassista Gigi De Rienzo e il tastierista Ernesto Vitolo portano in tour un concerto che fonde memoria e sperimentazione. «Non è solo un tributo», dice Marangolo, «è il nostro modo di mantenere viva la sua visione artistica. Suonare queste canzoni è un’esperienza emotiva, un modo per trasformare il lutto in qualcosa di creativo». Per De Rienzo è importante non imitare il cantautore, ma reinterpretarne lo spirito: «Fondamentale è non scimmiottarlo. Noi portiamo la verità di chi ha suonato quella musica, rendendo il progetto autentico». Per Vitolo «è un’occasione per arricchire quei brani di nuove sfumature, dando loro una freschezza che li mantiene vivi e rilevanti».
Nero a Metà Experience, insomma, non è solo un concerto-tributo. È un racconto di vita che ancora pulsa. Si basa sull’album del 1980, simbolo del passaggio da una dimensione locale a una visione globale, e vede alla voce di volta in volta cantanti come Greg Rega, Emilia Zamuner e Savio Vurchio. «Pino ci ha lasciato un tesoro e noi abbiamo il dovere di custodirlo e condividerlo».
Che cosa significa fare i pezzi di Pino Daniele senza di lui?
Agostino Marangolo: È stato difficile. Inizialmente c’era un senso di perdita fortissimo. Questi brani li avevamo suonati, non solo ascoltati e questo rendeva l’esperienza emotivamente più intensa e traumatica. Poi, col tempo, la distanza ci ha permesso di riaffrontarli al meglio, addolcendo il dolore.
Gigi De Rienzo: Per noi prima di tutto è stato un lutto. Suonare quelle note era un richiamo alla perdita. Io ho suonato con altre formazioni, anche orchestre, ma ogni volta mancava Pino. La cosa importante è non scimmiottarlo. Non cerchiamo imitatori. Noi siamo veri, perché abbiamo partecipato direttamente al progetto.
Ernesto Vitolo: Per me è un’esperienza dolceamara. È un piacere suonare questi pezzi, ma anche una sfida. Nei nostri concerti ci sono giovani cantanti che portano freschezza e originalità. La loro personalità aggiunge sfumature ai brani, rispettandone l’essenza.
Parliamo del sound che avete contribuito a creare con Pino. Come lo descrivereste?
De Rienzo: Era una fusione tra il background americano di jazz, blues, funk e le bellissime melodie di Pino. Quel mix è diventato qualcosa di unico. Probabilmente, il periodo storico ci ha permesso di sperimentare senza preoccuparci troppo del mercato.
Vitolo: La bellezza di quei dischi stava anche nella collaborazione tra i musicisti. Ognuno portava il proprio stile, influenzato da grandi artisti come gli Steely Dan o James Taylor. La musica nasceva dalla condivisione e dalla ricerca.
Marangolo: Negli anni ’70 e ’80 i dischi erano pensati e suonati con un altro approccio. Pino non pensava al mercato, ma a fare musica bella. Quella libertà creativa si sente ancora oggi.
C’è una canzone di Pino che scegliereste come rappresentativa del vostro lavoro?
Marangolo: Per me Quanno chiove è speciale. Non ha influenze americane, è pura melodia italiana.
De Rienzo: Per me A testa in giù, perché racconta la nostra vita nel 1979. Ogni volta che la suono, mi commuovo.
Vitolo: Non riesco a sceglierne una. Ogni brano ha un significato unico per me, e tutti insieme rappresentano un momento speciale della mia vita di quel periodo.
Come lavoravate con Pino?
De Rienzo: Arrivava con la melodia, gli accordi e il testo. Il resto lo costruivamo insieme, suonando e arrangiando. Era una collaborazione da vera band.
Marangolo: Era un approccio di gruppo, ma con una grande professionalità. Registravamo in diretta, anche con le difficoltà tecniche che questo comportava. E Pino era aperto alle idee di tutti.
Vitolo: La sua leadership era naturale. Aveva le idee chiare, ma sapeva ascoltare. Il lavoro di squadra era fondamentale per lui.
Ci volete raccontare qualche ricordo personale che vi lega a Pino?
Marangolo: Per un periodo abbiamo fatto le vacanze insieme alle Tremiti e per arrivarci prendevamo un elicottero. Pino era terrorizzato, ma non voleva rinunciare all’esperienza. Gli piaceva vivere la vita e non rinunciare a niente, anche se ripeteva sempre «e mo’ se l’elicottero casca?». Era ironico e pieno di vita, anche se poi si è allontanato da Napoli.
De Rienzo: Pino in generale era con i piedi per terra. Aveva un senso dell’umorismo inglese, ma era anche pratico e razionale. Si pensa che gli artisti debbano essere folli, invece lui no. Era un talento incredibile con un amore per la musica e la chitarra sconfinati, che però, dopo qualche anno, mi fa: «Te la sei comprata una casa?». Era uno con le scarpe grosse e il cervello fino.
Vitolo: Ricordo il Pino degli esordi, in momenti autentici prima del successo. Dopo è cambiato, come spesso succede. Un giorno è arrivato in studio, indossava un gilet, e gli dissi: «Pino, ti sei ingrassato?». Non mi ha parlato per tre giorni… A parte questo, porto nel cuore i nostri ascolti della musica la sera indossando il walkman e bevendo vino sotto le stelle.
Avete ascoltato Again, l’inedito pubblicato lo scorso novembre?
Marangolo: Mi sembra una porc… Per non essere volgare dico che è una bozza. Probabilmente Pino non l’avrebbe fatta uscire. C’è tanto materiale che avrebbe potuto essere lavorato meglio.
De Rienzo: È emozionante sentire la sua voce, ma è chiaro che è un pezzo non finito. Se fosse stato vivo, sicuramente l’avrebbe sviluppato di più.
Vitolo: Sono d’accordo. È un soffio di vita, ma non rappresenta il Pino che conosciamo. Certamente è stato pubblicato più per esigenze di mercato che per un reale valore artistico.