Carl Brave: Pop, vodka e Bukowski | Rolling Stone Italia
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Pop, vodka e Bukowski con Carl Brave

Camicia aperta sul petto, occhiali da sole e Belvedere: nessuno tolga queste tre cose al prossimo "king del pop" romano. Sono i suoi talismani, con il mito di Skrillex

Carl Brave al suo esordio solista "Notti Brave"

Carl Brave al suo esordio solista "Notti Brave". Foto Alessandro Treves

L’occhiale da sole e la camicia colorata d’ordinanza aperta non lo abbandonano neanche appena sveglio, fresco di doccia e con un goccio di hangover dopo una serata milanese a base di sushi – “stiamo provando tutti i giapponesi della città” – in compagnia di amici e discografici per festeggiare l’uscita del suo primo album solista Notti Brave. Carlo è alto alto e sì, scopro solo in questa chiacchierata, ha giocato a basket da professionista in serie B, playmaker, quando era Carlo Coraggio, prima di diventare Carl Brave. Ovvero lo Stephen Curry del nuovo pop italiano.

Foto Alessandro Treves

Recensendo Notti Brave mi sono spinto a chiedere, neanche troppo scherzosamente, un Premio Campiello per i tuoi testi, che sono davvero qualcosa di nuovo e buono nella musica italiana…
La mia scrittura ha avuto un’evoluzione: prima era molto più personale, avevo già fatto un disco da solista che parlava di quello che mi succedeva, cosa provavo. Piano piano mi è venuto naturale provare a descrivere le piccole cose intorno a me. Con Franco avevamo fatto un disco trap che non è mai uscito che andava in quella direzione, per differenziarci dagli stereotipi trap tipo soldi & champagne. Anche perché noi non siamo “quella cosa lì”. Abbiamo iniziato allora a parlare dei nostri genitori, de mi nonna, degli aperitivi, degli amici, degli amori non corrisposti. A un certo punto mi sono fissato con i libri di Bukowski, una scrittura semplice, un po’ a slogan, ma fatta col nostro gergo romano. La trap per questa scrittura non funzionava, avevamo bisogno di basi ad hoc e ho provato a lavorare su strumentali un po’ acustiche e un po’ elettroniche, trovando finalmente una strada.

La tua scrittura sembra sempre più affinata e articolata, penso al pezzo che apre il disco Professorè, pieno di metafore e trovate linguistiche.
Tutte le canzoni nascono dalle basi, è la strumentale che ti dà il mood da prendere. In Professorè volevo raccontare la mia travagliata vita scolastica in modo romantico, con degli aneddoti. A un certo punto canto: “Co’ quella di Ita, ‘na rincoglionita / La confondevamo quando partiva il Mmhhh”: è una cosa di quando ero pischello, tutti ci mettevamo a fare questo mmhhh con la bocca chiusa: la prof impazziva, non capiva chi stesse facendo rumore.

Hai dei trucchi per scrivere?
Certo, ma non te li dico.

Musicalmente, nel fare le basi, quali sono state le tue ispirazioni?
Ascoltavo molto rap da ragazzino ma alla fine per comporre mi hanno aiutato i dischi di elettronica. Il mio mito è Skrillex, da cui ho copiato un trick, ovvero tanti piccoli suoni messi a tetris. Cerco di fare un mix di generi, che viene da solo, provando: in Notti Brave ci sono piattini trap, casse reggaeton, le colonne sonore.

Chiudi il disco con una canzone vera e propria, che non avrebbe bisogno di basi: Accuccia
È il pezzo a cui tengo di più del disco. È molto personale, parla della morte del mio cane. È una canzone d’amore.

Ci sono un sacco di collaborazioni, da Francesca Michielin a Frah Quintale, da Fabri Fibra a Giorgio Poi. Come le hai scelte?
Tutto nasce dalle basi: con Chapeau, il pezzo più solare del disco, sentivo che ci voleva Frah Quintale. Con Emis Killa ci siamo conosciuti su Instagram ed è nata un’amicizia, mentre Fabri Fibra ce lo volevo e basta, è il mio mito d’infanzia. Francesca Michielin è la più bella voce femminile che c’è in giro, parla a immagini, molto “calcuttiana”. Con Giorgione Poi è stata una sfida, sono innamorato della sua musica anche se siamo diversi: gli ho chiesto un mega ritornello e lui ha tirato fuori Camel Blu. Mi sarebbe piaciuto tirare dentro Calcutta, ma stava preso con il suo disco. Con lui avrei fatto Professorè.

Dal primo live di Carl Brave x Franco 126, a Roma ai Magazzini un anno fa, ne avete fatta di strada. Siete migliorati.
Abbiamo studiato, fatto un sacco di prove.

Come avete imparato a gestire l’effetto karaoke del pubblico ai vostri concerti?
Ce ne siamo accorti proprio a quel concerto ai Magazzini, è stata una sorpresa. Ed è diventata la forza dei live, sia per noi che per il pubblico: perché un concerto funzioni è necessario quel coro quasi infinito alla Vasco negli stadi.

Quanto conta la romanità e il romanesco nella tua musica?
È fondamentale, questa musica è Roma, ha la sua aria, altrove non la potremmo fare. Il romanesco in realtà è un romanaccio molto studiato, centellinato, usiamo parole romane dello slang giovanile ma non parliamo romano. È un “romanaccio educato”, assimilabile pure dai milanesi. Pensa a “bire”: all’inizio quando stavamo scrivendo Noccioline io e Franco eravamo indecisi se scrivere birre o “bire”, invece poi è diventato un nostro marchio di fabbrica.

Sempre in tema “bire”, ormai è un classico il tuo arrivo sul palco con la bottiglia di vodka.
È una roba mia, la Belvedere è un talismano, così come la camicia o gli occhiali.

Come l’avete presa quando, all’uscita di Polaroid, più di qualcuno vi aveva paragonati agli Zero Assoluto?
Malissimo, eravamo incazzati. Per quanto loro siano i king del pop, non siamo quella roba.

Anche tu sei sulla buona strada per essere un “king del pop”. Sei pronto per le radio, la tv, magari Sanremo?
Nì. Mi interessa “aprire”, passare in radio con questo disco, ma a Sanremo non ci andrei, non mi piace la situazione. Mi vergognerei. E poi non mi lascerebbero salire con la vodka.

La tua musica è entertainment leggero, non c’è nulla né di politico né di sociale…
Non mi interessa connotarmi politicamente. Mi basta descriverti cosa succede, non voglio dare un giudizio.

Sei andato a votare?
No, non mi ritrovavo in niente.

Quali sono le prossime mosse dopo questo disco solista? Ovvero, quando “torni” con Franco?
Dopo questo disco, faccio un tour estivo con Franco, poi c’è il disco solista di Franco, poi ancora Polaroid 2 e infine il secondo disco mio.

Chapeau!

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