Un cantautorato rock dai suoni ruvidi, diretto, sanguigno, politico nel portare avanti una riflessione critica sull’epoca che stiamo vivendo. È l’universo di Praino, come si chiama il progetto che Francesco Praino, calabrese di stanza a Bologna, porta avanti con la sua band. A inizio dicembre è uscito il nuovo EP Rocamboleschi finali, séguito del precedente Mostri, civette (2021) e al tempo stesso un’evoluzione in termini di sound, anche grazie alla complicità dell’ex CCCP/CSI/PGR Giorgio Canali, oggi impegnato con i suoi Rossofuoco, alla produzione artistica.
«In questo disco c’è la rabbia che si percepisce fra le chitarre e le parole», dice Praino. «Rabbia che scaturisce dal constatare quanto sia diverso il mondo che ci ritroviamo in mano oggi rispetto a quello che abbiamo idealizzato, studiato e compreso, e dalla consapevolezza di essere nato e cresciuto in una società deviata, che impone il suo modello di vita tracciando linee guida totalmente opposte alla virtù che credevamo di aver interiorizzato». In Rocamboleschi finali il 33enne, polistrumentista e in primis batterista, ha incluso più featuring – tra gli ospiti, Gian Maria Accusani (Prozac+, Sick Tamburo) e Ruben Camillas –, tessendo arrangiamenti che trasudano amore per il rock alternativo anni 90 e testi che parlano di disillusione, del disagio di vivere una fase della storia in cui il sogno di un mondo migliore è stato soppiantato da una corsa cieca verso il profitto, di una generazione smarrita che non sa più in cosa credere. Ne abbiamo parlato con l’autore e con Canali su Zoom.
Partiamo dall’inizio: come vi siete conosciuti?
Francesco Praino: Seguo Giorgio nei suoi percorsi artistici da sempre. Desideravo lavorare con lui per toccare con mano quello che ascoltavo da piccolo, quando ero ancora un bambino e dei miei cugini più grandi mi portarono a un concerto dei CSI e rimasi segnato. Finché, tramite il nostro booking, Locusta, è successo che ci siamo beccati a Torino a una sua data con i Rossofuoco e da lì abbiamo iniziato a sentirci e a collaborare. Ed è stato bellissimo lavorare insieme a questo disco: al di là dell’aspetto tecnico e musicale e del ruolo di guida che Giorgio ha ricoperto su questo progetto, l’ho sempre stimato come persona e quando l’ho conosciuto ho potuto constatare che era esattamente come me lo immaginavo.
Ossia?
Praino: Lui, come me, appartiene a quel mondo in cui l’arte è al di sopra di tutto e per la stessa, per farla come si vuole, si sacrifica persino se stessi. Non ci frega nulla di niente, se non di dare voce ai nostri pensieri, io non ho altre ambizioni. Un approccio che non riscontro spesso nelle cose nuove che escono.
Giorgio, tu come mai hai deciso di co-produrre questo EP?
Giorgio Canali: Ma sai, nel momento in cui Luca Del Muratore di Locusta, il nostro agente, mi consiglia qualcosa da sentire dicendomi che potrebbe piacermi, io mi fido, ci conosciamo talmente bene che è difficile si sbagli. Infatti quando sono andato a un concerto di Francesco con la sua band è stato un bel vedere e un bel sentire. Le sue parole sono belle, e non è un complimento che faccio a molti, mi fa cagare praticamente tutto quello che esce in Italia, mentre lui ha un’ottima penna. Che per me è ciò che conta, per il resto il nostro universo sonoro è abbastanza simile, ma a me non frega niente della musica, io faccio musica per veicolare le stronzate che racconto (ride, nda). Certo, lo faccio con il mio gusto personale e sicuramente come suoni io e Francesco siamo vicini.
Sugli arrangiamenti che tipo di lavoro avete fatto?
Canali: Il primo brano su cui abbiamo messo le mani è stato Grande festa, che è quello che poi abbiamo cantato insieme. Lo avevamo registrato in una versione che per me era troppo grunge e lo stesso Francesco era venuto da me per confidarmi che quel sound lo aveva annoiato, che voleva metterci dentro anche altro. Così lui e la band lo hanno riarrangiato e da lì tutto l’EP è stato fatto cercando di prendere le distanze da quello che è il substrato culturale di un gruppo calabrese con base a Bologna, ossia dal grunge di merda. Non so quanto io abbia influito in questo percorso, sono dinamiche fatte di “sì, questo mi piace”, “no, questo no”, ma la scrittura è del gruppo di Praino.
Praino: In effetti io ho sempre ascoltato grunge e inevitabilmente questo ha influito sulla mia scrittura. Con questo EP, però, ho fatto un passo in avanti, nel senso che non ho voluto arrangiarlo da solo, ma con la band e pensando di essere una band. Non che prima non lo fossimo, ma questa volta ce lo siamo detti, come ci siamo detti che avevamo bisogno di qualcuno che ci guidasse. Giorgio sostiene di non averci messo granché di suo, ma avere il suo parere sui pezzi è stato fondamentale.
Che differenza c’è tra produrre i Verdena nel 1999 e Le Luci della Centrale Elettrica nel 2007, quando ancora un certo tipo di suoni e atmosfere poteva contare sull’attenzione di pubblico e media, e produrre Praino oggi, in un momento in cui va di moda tutt’altro?
Canali: Intanto a me anche all’epoca dei Verdena faceva tutto schifo comunque. Per chiedermi di produrli mi telefonarono dalla Polygram, ricordo che facevano i misteriosi, non volevano dirmi chi fosse la band che mi stavano per proporre, così gli dissi che c’erano solo due cose che mi interessavano, gli Ulla ‘la bambola che ti trastulla’, gruppo friulano poi scomparso nel nulla, e i Verdena: o uno di questi due o niente.
Quindi ti è andata bene.
Canali: Esatto. Mentre con Vasco è stato diverso, ha dovuto convincermi che valeva qualcosa, mi diede 6 o 7 demo che non ho mai ascoltato perché nel bar dove lavorava a Ferrara faceva dei cocktail pessimi e uno che non sa fare i cocktail, dai… Invece quando l’ho visto dal vivo sono rimasto secco. Sono quelle cose che succedono e non sai nemmeno perché: incroci qualcuno, ascolti qualcuno, ti piace e pazienza se sai benissimo che tutto il resto funzionerà di più. Nel caso dei Verdena e di Vasco è andata bene, spero accada lo stesso a Francesco, ma cosa vuoi che dica? Sai che tutto ciò che ti fa schifo funziona e che tutto ciò che ti piace non funziona, però ogni tanto ci sono le eccezioni.
Francesco, tu come te la vivi questa marginalità?
Praino: Molto tranquillamente, perché mi interessa la verità del legame con Giorgio, anche del rapporto che ha sviluppato con la band, e questo già mi appaga. Come dicevo non ho ambizioni, ci sta anche che voglia di dire qualcosa oggi e che nei prossimi 5 anni me ne stia in silenzio, o magari pubblicherò altri album, ma soltanto se e finché avrò qualcosa da dire. L’unica cosa che non potrei mai mollare è la batteria, che è il mio primo strumento e lo sarà sempre. È così che vivo la mia musica e se sto qui con Giorgio è perché so che per lui è lo stesso. Ovvio che poi saremmo contenti di essere smentiti, ma ciò che mi preme è che arrivi la verità delle mie canzoni a chi le ascolterà.
Giorgio prima accennava al vostro duetto su Grande festa, di cui mi ha divertito molto il tono tra il sarcastico e lo strafottente. Com’è nato?
Canali: Anche lì la penna è di Praino, e ribadisco che è una bella penna. Ci sono scappate delle parole buttate giù insieme, ma perché ci facevano ridere.
Praino: Avevo detto a Giorgio che poteva rivedere e sconvolgere i miei testi, perché non ho idea di come possa risultare un modo di scrivere diretto e senza filtri come il mio. E lui mi è stato accanto, mi ha spinto a scrivere ciò che vedo e che voglio raccontare, fregandomene del resto. Su Grande festa posso dire che quando gli ho portato il pezzo già fatto gli dissi di sentirsi libero di mandarmi a cagare, ma lui dopo averlo sentito mi fa: “Guarda, ho solo un piccolo appunto, lo sentirai”. Poi una volta in studio l’ho visto in un angolino che tirava giù su dei fogli di carta tre o quattro linee, abbiamo registrato ed era tutto perfetto.
Capita che ai giovani cantautori si suggerisca di edulcorarli, i testi, di smorzare l’eventuale dose di rabbia e indignazione. Mi sa che tu, Giorgio, hai un’idea opposta.
Canali: Ma sì, negli ultimi anni la tendenza è di “vendittare” le proprie cose e man mano questo ha portato a canzoni sempre più leggere, più vicine ai Ricchi e Poveri che a De Gregori, e per me è una vergogna. Non può andare a finire così, ci vuole qualcuno che arrivi e dica “alt un attimo, ogni tanto un dio p…. ci sta bene”! Ma purtroppo va così, i cantautori delle ultime leve, che poi molti ormai sono ultra quarantenni, mi vedranno probabilmente come un vecchio di merda, ma loro stanno diventando ancora più di merda, scrivono roba che fa venire il latte alle ginocchia.
Il brano Giovani oggi, con Gian Maria Accusani, si lega in parte a questo discorso: Francesco, lì cosa volevi dire?
Praino: Quel pezzo è uno sfogo quasi violento, nato da una riflessione che sì, ha a che fare anche con quello che diceva Giorgio, perché per me è inammissibile ascoltare delle canzoni così scollate dalla realtà che viviamo ogni giorno. Così in Giovani oggi ho voluto raccontare la disillusione delle nuove generazioni: io ho 33 anni, ma nello scrivere questa canzone mi sono calato nei panni di un ragazzo di una ventina d’anni che oggi ha tutti gli strumenti per decifrare la realtà, ma è disilluso, perché sa benissimo a cosa sta andando incontro. Possibile che nessuno si prenda la responsabilità di scrivere un disco senza pensare a venderlo e per comunicare qualcosa di tagliente? Possibile che quasi nessuno si esponga più? Lo diceva già De André, che non vedeva più quelle lingue taglienti del cantautorato che sferzavano a destra o a manca chi di dovere. Il che non significa che ci siano un modo giusto e uno sbagliato di fare musica, però io avevo bisogno di gridare determinate cose e di dirle in un certo modo, e sotto questo aspetto Giovani oggi è una traccia molto importante su come vedo il panorama socio-politico odierno.
Giorgio, credi anche tu che i giovani d’oggi, e mi riferisco ai ventenni o giù di lì, siano disillusi?
Canali: Io questa cosa la vedo un po’ diversamente da Francesco, sarà che lui ha vissuto la post-adolescenza più di recente rispetto a me. Non credo che il problema sia la disillusione, secondo me la maggior parte della gente, giovani compresi, non si rende proprio conto di ciò che succede. Sono talmente schiacciati da cazzate raccontate, notizie false e spesso di regime, che se scoppia una pandemia vanno tutti a cantare sul balcone alle 6 di sera, invece di fermarsi un attimo a ragionare, a riflettere su quello che sta accadendo.
Oppure finiscono per andare in massa a Sanremo, mai visto un attaccamento tanto trasversale al festival.
Canali: Su Sanremo non sono così chiuso come si potrebbe credere. È una manifestazione strana: a parte gli anni ’70 del buio con il playback, una roba terrificante che nessuno ricorda, c’è sempre stata un’accozzaglia di cose, ma con in mezzo anche dei protagonisti molto validi. Come CSI e PGR ci hanno invitati più volte, ma c’era questo giochino per cui un anno io e Giovanni (Lindo Ferretti, nda) dicevamo di sì, ma gli altri no, e l’anno dopo il contrario. E non era fatto apposta.
Francesco?
Praino: Quando penso a Sanremo mi viene sempre in mente l’immagine di me, mia madre e mio padre che lo guardiamo e io non capisco un cazzo di quello che sta avvenendo sul palco. C’è da dire che è un evento che affonda le radici in maniera talmente profonda nella cultura italiana a tutti i livelli che si fa fatica a criticarlo, e del resto per quanto mi riguarda il punto non è questo – non ho problemi a guardare il festival con la mia compagna, visto che a lei interessa –, ma il mio modo di vivere la musica: non amo l’idea della gara e del concorrere applicata alla musica, né a qualsiasi altro ambito artistico, per me è proprio fuori dal mondo. Poi, ok, posso guardare Sanremo alla tv e commentarlo, ma lo vedo come un palcoscenico di plastica che propina musica di plastica per gente che vuole quello.
Giorgio, qua l’allievo è più radicale del maestro, come la mettiamo?
Canali: Ma perché lui non ha visto Jesahel dei Delirium a Sanremo, non era ancora nato! Ci sono state cose veramente fuori dai coppi, di recente lo scazzo tra Bugo e Morgan e la grande meringa indossata sul palco dalla cantante de La Rappresentante di Lista. O che Lodo e Lo Stato Sociale abbiano rischiato di vincerlo, il festival. Insomma, anche da quelle parti ci sono cose fighe, eh.
Praino: Bisogna andare un po’ a ravanare…
Ma a te, Francesco, cos’è che ti fa maggiormente incazzare in questo presente?
Praino: Che come società abbiamo ormai una conoscenza ampissima a tutti i livelli e in tutti i settori, dalla psicologia umana alla tecnica, eppure continuiamo a commettere gli stessi errori, a essere persone orribili e a mettere i bastoni tra le ruote alle poche che non lo sono. Chissà, forse è vera la teoria secondo cui l’essere umano tende all’autodistruzione, non vedo un futuro roseo. L’unica cosa che mi dà speranza è che le nuovissime generazioni hanno modi di comportarsi e approcciarsi agli altri molto diversi, mentre io e i miei coetanei siamo ancora inquinati dall’educazione che abbiamo ricevuto. E anche chi come me ha scelto di costruirsi un proprio pensiero sul mondo le scorie di quell’educazione se le porta dietro.
A cosa ti riferisci?
Praino: A certi retaggi socio-culturali, alla chiesa che era sempre in mezzo quasi fosse una madre padrona, allo Stato che nelle periferie dove sono nato (fuori Cosenza, nda) non è mai arrivato, ma quando pretende ascolto lo pretende con tutti i mezzi. In sostanza ciò che fatico ad accettare è che dopo un processo di scrittura dove provo ad analizzare un minimo queste problematiche mi sono reso conto che siamo sempre allo stesso punto, che non impariamo dagli sbagli, che gli esseri umani non si migliorano. Ma ok, capisco che ci voglia tempo. Se ne avremo.
Giorgio, a te cosa fa incazzare di più?
Canali: La mia risposta è la stessa che ha dato lui, ma riassunta in due parole. Cos’è che mi fa incazzare? La gente! (ride, nda).
In compenso a me fa piacere che in una traccia, Piani di guerra, abbiate coinvolto Miglio, ho scritto di lei qui su Rolling Stone.
Praino: Io e Alessia ci conosciamo da tanto e da tanto volevo fare qualcosa con lei, la stimo molto come artista, ce ne sono poche di voci così nel panorama odierno. Come attitudine siamo affini, spero abbia una lunga carriera e che sia valorizzata.
Canali: È arrivata, ha cantato, perfetta, ed è andata. Nel giro di due ore, boom boom, finito. Molto bello.
Ma visto che in realtà una scena non appiattita su ciò che va nel mainstream esiste – e da giornalista posso dire che il problema è, semmai, che non esistono quasi più spazi per parlarne –, non sarebbe il momento di rifare una specie di Tora! Tora! per darle visibilità, alimentarla, farla crescere?
Canali: Ci vorrebbe una potenza di fuoco come quella di Manuel Agnelli, uno che all’epoca mi metteva in prima serata e quando qualcuno commentava “ma chi è questo qua, fa schifo!” diceva che avrebbero dovuto tutti leccarmi i piedi. Non credo sia un’esperienza ripetibile adesso, ci vorrebbero troppi soldi, troppa energia, e i gusti della gente, quella a cui mi riferivo prima, sono veramente molto cambiati. Si dovrebbe ripartire dai club e dal ricreare quel substrato di piccoli concerti che è stato falcidiato da questa epidemia di merda. Perché, guardiamoci in faccia, la metà dei club ha chiuso i battenti, come li hanno chiusi molti bar e negozi. Siamo in una situazione post-bellica.
Tocca ai più giovani, la ricostruzione? Sta alla tua generazione, Francesco?
Praino: Eh, ma io ho già 33 anni, non è che sia così giovane.
Canali: Sta ai diciassettenni, è a 17 anni che bisogna svegliarsi!