Non solo il Primavera Sound vero e proprio, ovvero il festival che tutti conoscono e dove tutti vanno, a centinaia di migliaio, ogni anno. La galassia-Primavera da oltre un decennio si è arricchita anche della componente Primavera Pro, un notevole “chiamata alle armi” per addetti ai lavori di mezzo mondo. La persona che lo ha diretto dalla prima edizione fino all’anno scorso, Almudena Heredero, quest’anno è stata chiamata a dirigere la “costola” madrilena del Primavera Sound; al suo posto, come nuova direttrice del Pro, il braccio destro di sempre: Elena Barreras. È con lei che ci siamo fatti una lunga chiacchierata piena di spunti interessanti – e con un tocco finale di romanticismo.
È iniziato tutto con un evento di dimensioni relativamente contenute, al Poble Espanyol barcellonese per un pugno di migliaia di persone. Oggi invece il Primavera Sound è un gigante globale, nel mondo dei festival musicali. Quando sei entrata per la prima volta in contatto con l’universo Primavera? A quei tempi, che obiettivi e sogni avevi?
Quando ho incontrato Alberto Guijarro, uno dei co-fondatori del Primavera, ero già una affezionata frequentatrice del festival. Era la fine del 2008 o l’inizio del 2009, non ricordo bene, però in quegli anni era già diventato un evento piuttosto grosso. All’epoca lavoravo in un collettivo artistico che era anche una etichetta discografica, e avevamo preparato un progetto costituito proprio da talk ed incontri da presentare ad Alberto. È in realtà per puro caso che proprio in quell’esatto periodo il Primavera stava ragionando sul mettere su qualcosa di simile – era già molto alto il numero di addetti al settore che venivano regolarmente al festival, in quanto era un posto perfetto per stringere conoscenze, rafforzare network e concludere accordi di persona, visto che si era tutti lì – quindi in qualche modo i pianeti si sono allineati. Anche perché la stessa Almudena Heredero (che ha diretto il Primavera Pro fino all’anno scorso) stava spingendo per dare una dimensione proprio internazionale a tutto questo, coinvolgendo partner ed anche istituzioni non solo spagnole. Insomma tutto è andato nella stessa direzione, e con l’anno 2010 nasce la prima edizione del Primavera Pro, nella stessa location e negli stessi giorni del Primavera Sound vero e proprio. Ma ti assicuro che in quel momento né io né Almudena avremmo immaginato che il Pro sarebbe arrivato ai livelli a cui sta ora, con tutti questi incredibili speaker, panel, showcase.
Per un sacco di tempo il Primavera Sound è stato il vessillo per eccellenza per tutta la scena indie, il posto da considerare “casa”. Oggi però i confini di ciò che è indie vanno un po’ rivalutati. Cosa significa “indie” oggi? E cosa si è perso e cosa invece si è guadagnato, nella trasformazione che c’è stata?
(Sorride) Non ho una opinione ben precisa su cosa significhi indie oggi… Penso che sia una definizione con una sua storia, esattamente come altre definizioni che si sono succedute nel campo della musica. Non penso che il festival abbia cambiato formula o attitudine, in realtà; penso semmai sia stato più il mainstream ad essere cambiato. E se ci pensi è inevitabile, se consideri quanto è cambiato negli ultimi vent’anni il modo di fruire musica grazie al web. Inutile poi fissare dei paletti: la musica e i suoi stili sono in evoluzione, sempre. Il festival di per sé ha sempre avuto un approccio molto eclettico: una line-up composta di un sacco di gruppi che molto probabilmente non hai mai sentito nominare prima, più qualcuno che conosci già, più qualcuno che conosci piuttosto bene, più una serie di headliner, fra i quali molto probabilmente c’è una delle tue band preferite. Quello che ci tengo a dire è che per noi tutti gli artisti e tutti gli act sono considerati allo stesso modo: se sono in cartellone, vuol dire che c’è un motivo, vuol dire che amiamo quello che sono e quello che fanno. Consolidati, famosissimi o semi-sconosciuti che siano.
Tornando al Pro, ok il fatto che ormai eravate diventati un appuntamento fisso per gli addetti al settore ed erano tutti lì nei giorni del festival, ma resta la domanda: perché creare una sezione vera e propria? Perché comunque per voi è uno sforzo economico ed organizzativo che non dà in ritorno biglietti venduti in più, detta come va detta.
Un festival non è solo musica e fare festa. È qualcosa che va molto al di là di questo: è un contesto in cui è possibile affrontare e confrontarsi su altre esperienze possibili in un ambiente particolare e molto vivo, vibrante, e tutto ciò assieme a persone che conoscono molto bene il mestiere. Puoi entrare in contatto con musiche che altrimenti non avresti conosciuto, come quelle spagnole e catalane che promuoviamo con Primavera Labels, o con podcast molto particolari, come quelli che produciamo con Radio Primavera Sound… giusto per fare due esempi che ci riguardano direttamente.
Quanti accreditati ed addetti al settore ci saranno quest’anno al Primavera Pro?
Circa 3500. Arriveranno da tutti il mondo, ci saranno artisti, discografici, giornalisti, promoter, gestori di venue, avvocati, esperti di IT, conglomerati media, piattaforme digitali, agenti, mangement… Ma non solo: ci saranno anche esponenti del mondo del cinema, della filosofia, della letteratura.
So che non è facile provare a riassumere in una risposta sola cosa si può trovare nel Pro di quest’anno, ma proviamoci.
Non esiste un tema unico e definito per i talk. Il criterio è sempre lo stesso: riunire in un unico contenitore e in unico evento tutti gli argomenti che potrebbero essere interessanti e rilevanti per l’universo della music industry. Si parla di aspetti più tecnici e specifici, così come ti temi più vasti, come le questioni di genere, i processi di decentralizzazione e il modo in cui le imprese si rapportano all’ecosistema della musica. Vogliamo convogliare tutto in unico posto, e nel farlo vogliamo diventare un efficace “strumento” per tutte le persone che in un modo o nell’altro gravitano nella music industry. Il Pro è uno spazio aperto dove dibattere, incontrarsi, imparare, lavorare in team: devi immaginarlo come una sfera, non come una linea retta di cui noi diamo la direzione. Per quanto riguarda l’edizione di quest’anno, fra gli highlight ti direi un’intervista con gli Sparks in cui fare una ricognizione sull’ultimo mezzo secolo di musica pop, una conversazione con Jack Antonoff sul suo lavoro da artista, da produttore e da songwriter. E poi ancora: ci confronteremo con Villano Antillano sul ruolo della musica come strumento di resistenza, chiameremo i rappresentanti di alcuni dei club più famosi del mondo (Bassiani, Tresor, Fabric, Apollo giusto per citarne alcuni) per riflettere su come il clubbing possa essere ancora adesso una pratica di liberazione ed inclusività, Charlie Hu ci racconterà in modo approfondito la sua visione su quali siano i trend emergenti oggi sul mercato in un mondo che gira e si evolve sempre più velocemente. Ma davvero, la cosa migliore è andare a vedere il programma ufficiale del Pro, che tra l’altro è ancora in evoluzione e potrebbe accogliere ulteriori nuovi protagonisti ed eventi.
Lo si accennava anche prima: ormai si ragiona e si opera su scala globale. Ma fino a che punto c’è il rischio che si avvii in questo modo un processo di standardizzazione?
Se chiedi a me, la differenza e la specificità saranno sempre dei valori decisivi. È possibile condividere ed assaporare le esperienze di tutti, mantenendo però sempre la propria identità.
Peraltro per un sacco di tempo la nostra industria è stata sotto l’egemonia americana o britannica. Per certi versi lo è tuttora. Qualcosa però forse sta cambiando, in tal senso. Che tipo di sviluppi ci sono all’orizzonte, secondo te?
Internet ci ha dato la possibilità di avere accesso alla musica proveniente da qualsiasi parte del mondo, e questo accesso alla musica – così come all’informazione in generale – sta facendo diventare dei fenomeni globali anche realtà che non arrivano né dagli Stati Uniti né dall’Europa. Questo mi sembra sotto gli occhi di tutti.
Nell’ultimo decennio però c’è stato un altro fenomeno molto significativo, ed è la crescita dell’industria della musica live – a partire dal cachet degli artisti, ma sarebbe limitante soffermarsi solo su quello. Ritieni che questo processo si sia sviluppato in modo organico e in qualche modo “salutare”, o in tutto questo ci sono state anche delle storture e degli effetti collaterali indesiderati? E, te lo chiedo: c’è anche il rischio che siamo entrati in una bolla speculativa che ha gonfiato tutto un po’ troppo?
Dopo la pandemia, ed anche a causa proprio del fatto che la pandemia ci sia stata ed abbia colpito pesante, c’è stata una grande crescita di costi di varie componenti legate alla filiera della musica live (trasporti, logistica, produzione, burocrazia, ovviamente anche le fee degli artisti…). Se ci pensi, ormai è un po’ che la principale fonte di guadagno per un artista è proprio l’esibirsi del vivo, no? Inevitabile quindi che l’innalzamento di alcune voci specifiche abbia portato ad una crescita complessiva dei costi. Almeno, mi pare sia una spiegazione sensata.
La tua collega di lunga data al Pro Almudena Heredero è stata spostata come responsabile del Primavera Sound Madrid, che è una recente novità, mentre ormai da anni portate avanti una deliziosa “versione minore” (ma nemmeno tanto “minore”) del Primavera Sound. Altri progetti di futura espansione del brand?
Beh, già dal 2022 siamo arrivati sul mercato dell’America Latina, precisamente in Cile, Brasile Argentina. Brasile ed Argentina si ripeteranno anche quest’anno, mentre ci saranno due nuovi ingressi grazie a Colombia Paraguay. Questa estensione del network riguarderà ovviamente anche l’attività del Primavera Pro.
Torniamo più specificatamente alla musica: quali sono i tuoi act preferiti nel cartellone di quest’anno del Primavera Sound?
Io amo scoprire musica nuova, quindi cercherò di andare a vedere band che non ho mai visto prima, ma di sicuro non mancherò gli show di Rosalia, Le Tigre, Depeche Mode, Central Cee, Sevdaliza e Laurie Anderson, così come quelle di alcune band locali che conosco già molto bene ma che sono molto felice di supportare, come ad esempio Joe Crepúsculo e Los Ganglios.
Domanda finale: dopo tutti questi anni, qual è il tuo ricordo più bello fra le varie edizioni del Primavera? Può essere legato ad un concerto, ma anche ad un panel o a qualcosa di bizzarro che è successo fra il pubblico…
Ti direi il concerto dei Portishead all’Auditori del Parc del Forum nel 2008, dovendo indicare un momento specifico, ma ti posso dire che ogni volta che arriviamo – sia come Primavera Sound che come Primavera Pro – alla giornata finale del sabato, verso sera, sentiamo una strana, magica sensazione. Sarà l’ora, sarà il mare sullo sfondo, sarà la fatica, ma questa sensazione che tutto quello per cui hai lavorato per mesi è ormai veramente accaduto ed è lì di fronte ai tuoi occhi, beh, è molto, molto intensa.