Sono passati dieci anni da quando le Pussy Riot hanno sconvolto la Russia con la loro performance di protesta alla Cattedrale di Cristo Salvatore, tempio della Chiesa ortodossa russa a Mosca. Dal giorno di quella preghiera punk, per cui furono condannate tre membri del collettivo, Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alyokhina ed Ekaterina Samutsevich, le Pussy Riot non hanno mai smesso di attaccare Putin in una serie di azioni diversificate, dalle piazze ai videoclip, dai concerti ai teatri, dalle interviste ai libri.
Raggiungiamo, per una tavola rotonda via Zoom, tre componenti del collettivo, Maria ‘Masha’ Alyokhina (autrice e attrice, arrivata sulle prime pagine di tutti i giornali per essere riuscita a scappare dalla Russia, dove era latitante, travestita da rider), Diana ‘Kot’ Burkot (cantante, attrice, batterista) e Taso Pletner (sassofonista) in occasione dell’imminente data di Riot Days, il provocatorio spettacolo teatrale che terranno questa domenica a Milano, al Teatro degli Arcimboldi.
Riot Days è un’opera teatrale basata sul libro omonimo di Alyokhina e nasce dalla collaborazione tra l’attivista e il produttore musicale Alexander Cherapukhin ed è diretto da Yury Muravitsky, uno dei principali registi teatrali russi, direttore artistico del Teatro Taganka a Mosca. «È la storia del collettivo Pussy Riot, è un manifesto punk», ci raccontano, «non è uno spettacolo teatrale puro, ma un ibrido di live music, teatro, citazioni del libro e footage delle nostre azioni. Questa opera è una chiamata alla rivoluzione».
Un’opera punk, ma cos’è il punk per le Pussy Riot? «Il punk è un modo di vivere, non un genere. È fare domande scomode, dire la propria nel modo più diretto. Il punk è femminista, perché ti permette di essere chiunque tu voglia. Il punk è orizzontale, comunitario, DIY. Il punk è la gente». Il tema della collettività torna spesso nelle parole delle tre: «Pussy Riot è un collettivo aperto, è un collettivo punk, quindi non c’è bisogno di fare richieste per farne parte. Basta mettersi un passamontagna e agire. Ogni voce è importante, ogni voce conta». Perché al no future del punk, il collettivo preferisce un claim più speranzoso: il futuro è ora.
In questo spettacolo, infatti, non è importante la performance dei singoli in scena, ma il messaggio unitario che offrono: «Siamo donne, siamo un collettivo femminile, per noi è fondamentale raccontare la nostra esperienza di protesta in Russia perché ci sono enormi problemi sui diritti delle donne. Speriamo possa servire come informazione e come scintilla».
Riot Days è uno show che muta continuamente, in cui i contenuti cambiano in base a ciò che accade nel mondo come, ad esempio, l’invasione russa in Ucraina. L’idee, qui, sono chiarissime. «Putin vuole rafforzare il proprio potere e ricostruire l’Unione Sovietica basandosi su antichi ideali della Seconda Guerra mondiale. La guerra in Ucraina è, prima di tutto, una guerra all’Europa e il primo seme è da ritrovare in Crimea nel 2014 (in cui l’UE e l’Italia hanno contribuito vendendo armi alla Russia)», spiegano. «Bisogna continuare a parlare di quello che succede in Ucraina perché questo è solo il primo passo della politica estera di Putin. La prossima invasione potrebbe coinvolgere i paesi baltici o la Finlandia. L’Europa dovrebbe smettere del tutto di acquistare gas e petrolio dalla Russia, solo così potrebbe tagliare i propri finanziamenti a Putin». Perché il nemico numero uno rimane sempre lui, Putin.
Ma quanto è complesso essere attiviste in Russia? «Il nostro è un paese molto povero, ma nonostante tutte le difficoltà è pieno di attivisti e attiviste che stanno lottando per la libertà. Dopo le nostre prime azioni come Pussy Riot, ad esempio, sono nati tanti e nuovi collettivi femminili che hanno trovato la loro personale strada di protesta. Senza dimenticare un giornale eroico come Novaya Gazeta [a cui è appena stata revocata la possibilità di pubblicazione cartacea] e tutti quei giornalisti e giornaliste che fanno il loro lavoro dall’estero o dalle prigioni russe». E aggiungono: «In Europa non avete ancora capito quanto è potente la macchina della propaganda di Putin».
Sulla situazione politica italiana invece non sono informate («Non sapevamo ci fossero delle elezioni a breve»), ma quando viene spiegato loro la possibilità di una vittoria della destra ultra-conservatrice, non sembrano stupirsi: «È una drammatica tendenza europea, che sembra non placarsi».
Infine, una chiusa sugli artisti che, come i nostri Måneskin, hanno utilizzato le proprie performance per dare un messaggio anti-Putin; questi gesti servono davvero a qualcosa? «Per molti non è una questione importante. Sono troppo cool, o troppo arty, per dire certe cose dal palco. Ma ogni ‘Fuck Putin!’ è fondamentale: bisogna continuare a ripeterlo, continuare a fare informazione».
Riot Days delle Pussy Riot andrà in scena domenica 11 settembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano.