Nel lontano giugno 2011 uscì un album che avrebbe segnato un’epoca: Thori & Rocce, il primo joint album realizzato in Italia da due produttori hip hop, nonché il primo album a firma di un qualsiasi produttore hip hop, singolo o coppia, che sia mai stato pubblicato da una major italiana. Un’opera titanica: i due titolari del disco coinvolsero 39 artisti tra cantanti, rapper e dj. Nomi allora emergenti come Fedez, Johnny Marsiglia, Egreen e Gemitaiz, alfieri dell’underground come Royal Mehdi, Rischio e dj Shocca, star della classifica come Fabri Fibra, Gué Pequeno e Marracash.
Il titolo era un riferimento allo slang milanese (la città di Don Joe), che usa l’appellativo “roccia” per indicare un amico che spacca, e al suo corrispettivo perugino (dove è cresciuto Shablo), che invece lo traduce in “toro”. Oggi entrambi fanno ancora musica, anche se hanno preso strade completamente diverse. «Per ora, dopo Milano Soprano del 2021, non sto ancora lavorando a un album: spero che passi un altro po’ di tempo», ride Don Joe. «Sono sempre chiuso in studio a fare strumentali per tanti progetti diversi, però: molte session le faccio senza un motivo particolare, riunendo diversi artisti a lavorare insieme». Shablo, dal canto suo, ha un singolo in uscita a breve: «Sto svelando qualche piccolo spoiler sui miei social in questi giorni», dice. Per ora si sa che si intitola Cuore, e che al microfono ci sarà anche Coez, con cui collabora per la prima volta.
Con gli anni lui e Joe si erano un po’ persi di vista. «Qualche volta ci siamo incrociati in giro, ma è stato difficile mantenere i contatti quanto prima», spiega quest’ultimo. «Per noi erano cambiate tante cose: impegni, responsabilità…». «È cambiato il mondo, è cambiata la musica», dice Shablo. «Però quando ci siamo ritrovati in occasione di questa nuova veste dell’album, abbiamo constatato che le cose importanti erano ancora intatte. Non era scontato, dopo undici anni». Già, perché per la prima volta Thori & Rocce viene ristampato anche in vinile – il supporto per eccellenza per i cultori del genere – in versione classica e in un’edizione speciale e commemorativa colorata e autografata.
Quando Thori & Rocce è uscito aveva immediatamente fatto parlare parecchio di sé, ma era un progetto di culto per una nicchia di appassionati: ai tempi non avrebbe avuto senso stamparlo anche in vinile. Oggi probabilmente avrebbe avuto un destino ben diverso.
Shablo: Quell’impatto, però, lo aveva avuto perché era un progetto fuori dal comune. Oggi forse sarebbe considerato un progetto come tanti, l’ennesimo disco da produttori. Prima di Thori & Rocce c’era stato ben poco, in questo senso: gli album di Fritz Da Cat e di pochi altri. Avevamo avuto il merito di unire nomi già super mainstream, come J-Ax e Fabri Fibra, ad altri ancora emergenti e sconosciuti.
Don Joe: Avevamo coinvolto quasi 40 artisti, e oltretutto l’album era trainato da una posse track, Le leggende non muoiono mai, che era stata davvero leggendaria: aveva unito Fabri Fibra, Jake La Furia, Noyz Narcos, Marracash, Gué Pequeno e J-Ax, i rapper più importanti dell’epoca, più Francesco Sarcina. Rifarla ora sarebbe quasi impossibile, perché raccoglierli tutti nella stessa traccia sarebbe un bel casino.
Come avevate lavorato all’epoca?
Don Joe: Ciascuno dei due abbozzava delle strumentali e poi le passava all’altro. Quando poi ci ritrovavamo insieme, confrontavamo il materiale e immaginavamo le combinazioni che avremmo voluto sperimentare sulle varie tracce. Un lavoro davvero tormentato, da mal di testa. Il che non vuol dire che sia stato una sofferenza, sia chiaro: ci sono stati anche tanti momenti in cui ci siamo molto divertiti.
Shablo: Come la presentazione dell’album a Roma, di cui è meglio che non sveliamo i retroscena…
Don Joe: Esatto (ridono entrambi). E poi il viaggio in America: avevamo mixato l’album in Italia, ma lo avevamo masterizzato a New York. Ci aveva aperto davvero gli orizzonti vedere come facevano le cose laggiù.
Shablo: Ormai è abbastanza comune partire per gli Stati Uniti per finalizzare i dischi, ma nel 2011 era una delle prime volte in cui succedeva. Non c’erano i budget, non c’era il mercato… E per molti era uno spreco inutile di tempo e risorse. Noi eravamo super appassionati e ci piaceva l’idea di andare nel posto dove il nostro genere era nato, ma non valeva certo per tutti.
Si dice spesso che, al di là dell’apparente amicizia, ci sia molta rivalità tra gli artisti e sia quindi difficilissimo, per i produttori, trovare abbinamenti che non scontentino nessuno. Era stato così anche per Thori & Rocce?
Shablo: Simpatie e antipatie ci sono sempre state, ma Thori & Rocce era percepito come un progetto talmente epocale che erano tutti disposti ad andare oltre, e tutti non vedevano l’ora di partecipare. Ai tempi c’è stata un’unica persona, tra quelle che avremmo voluto coinvolgere, che alla fine non è presente nella tracklist finale, purtroppo: Kaos. Sia io che Joe eravamo molto legati a lui, perché entrambi eravamo stati tra i produttori del suo album kARMA del 2007.
Don Joe: Esatto, avrebbe dovuto partecipare a una traccia con Jake La Furia, ma alla fine non siamo riusciti a combinare. È sempre stato un artista molto schivo, che difficilmente si presta a cose del genere. Peccato. Avremmo coronato un sogno, perché appartiene a una generazione che ci ha formato molto ed è una figura importantissima per la scena hip hop italiana.
kARMA non era la prima occasione in cui figuravate entrambi come produttori dello stesso progetto. Nel 2004 avevate firmato il mixtape PMC vs Club Dogo, in cui la Dogo Gang e la bolognese Porzione Massiccia Crew capitanata da Inoki si affrontavano-scontravano in un’amichevole musicale di grande impatto, come già capitava ad altri collettivi in America. Quel lavoro è rimasto nella storia del rap underground…
Don Joe: Fare la storia non era neanche tra le ipotesi, per noi. Era una passione, quasi un hobby.
Shablo: Sì, era una questione di entusiasmo. Sapevamo che stavamo portando un formato di mixtape ancora inedito in Italia, ma non avevamo il distacco necessario per capire la portata che avrebbe avuto. Lo street rap, che i Club Dogo e la PMC rappresentavano, era una novità per il nostro Paese. Nessuno lo aveva ancora sdoganato nell’underground, figuriamoci a livello mainstream.
In tutti questi anni che cosa è cambiato per voi, e che cosa è rimasto lo stesso?
Shablo: Sicuramente siamo guidati ancora dalla passione, anche se ai tempi le aspettative erano meno: ambivamo semplicemente a una realizzazione artistica, perché non c’era nient’altro a cui ambire. Una cosa che non vedo più nei ragazzi che iniziano adesso, perché partono già con l’idea di trasformare le loro skill in un lavoro e fare successo. Mi lascia un po’ perplesso questo atteggiamento, anche se sicuramente è utile essere così focalizzati: se da una parte li aiuta a ottenere risultati enormi, che noi ci sognavamo, dall’altra si perde l’aspetto più ludico del fare musica.
Don Joe: Si rischia di perdere un po’ anche l’aspetto qualitativo. Io la vedo un po’ come una corsa, ma lo sapranno, dove stanno correndo? I tempi si sono talmente accorciati che si fa davvero fatica. Io stesso la faccio: per Milano Soprano ho dovuto accelerare tantissimo rispetto alle mie esigenze, fosse stato per me ci avrei messo almeno sei mesi in più a chiudere l’album.
Entrambi negli anni avete aperto le vostra realtà discografiche: Don Joe con Dogozilla Empire, Shablo con Thaurus e BHMG. Riuscite ancora a concentrarvi sull’aspetto prettamente artistico del vostro lavoro, o il business finisce per prendere il sopravvento?
Don Joe: Ancora oggi io sono abbastanza un topo da studio: ormai me lo sono imposto. Ho fatto le mie esperienze a livello di industria discografica, ma ho deciso che devo fare il mio, ovvero la musica: tutto il resto non fa parte della mia comfort zone, perciò perché farlo male? Preferisco delegare ad altri più capaci di me.
Shablo: Anche ai tempi di Thori & Rocce, Joe era molto più bravo di me su certe cose. Super metodico, andava in studio come se andasse in ufficio, con una serietà che non avevo mai visto. Io avevo la testa un po’ per aria, vivevo di notte, la mattina per me proprio non esisteva, lui invece si alzava presto per essere lucido, nonostante non rinunciasse certo a fare serata. Mi ha insegnato un metodo, è riuscito a portare un’etica da lavoratore in un ambiente creativo dove di solito la gente si perde in un attimo. Per quanto riguarda la tua domanda, comunque, indipendentemente da quanto tempo dedichi alla produzione, la visione artistica ti rimane sempre. Penso che il mio plus, negli anni, sia stato riuscire a portarla anche in un ambito più manageriale. Ma non per questo ho intenzione di mollare la produzione: ci sarà sempre qualcosa di mio in giro.
Se Thori & Rocce uscisse ora, che sound avrebbe?
Shablo: La formula sarebbe la stessa, con radici molto solide e affondate nel passato, ma con un piglio contemporaneo. Ci è sempre piaciuto confrontarci con l’attualità, anche se ci ispiriamo ai grandi classici. Bisogna sempre avere qualcosa di fresco da dire, altrimenti si scade nel nostalgico.
Don Joe: Fortunatamente entrambi continuiamo ad approfondire il nostro bagaglio culturale e musicale, che ci siamo costruiti negli anni. I produttori di adesso hanno tutto un altro approccio: magari usano piattaforme che contengono migliaia di loop, o campionano qualcosa ma non sanno neanche il perché. Ma è normale e non necessariamente è negativo, è solo il segno dei tempi.
Ci sarà mai un capitolo due dell’album?
Don Joe: Sarebbe difficile mettere in piedi un’operazione del genere, dovrebbe essere qualche altro produttore a farlo. Drillionaire, i 2nd Roof, Charlie Charles… Bisognerebbe capire se ne hanno voglia, però, perché è un bello sbattimento (ride). Ma magari lavorare insieme a Shablo a una singola produzione potrebbe essere un’idea.
Shablo: Sarebbe bello, perché no.