Questo articolo è per gli irriducibili, per coloro che li amano, per quelli che non c’erano, per quelli che non sanno un cazzo, per i fan, per i lettori di RS, per le cover band, per Marco “Maverick” e Michela – unici italiani presenti a un benefit concert dei RHCP a Solano Beach 2015, dopo 14 ore di volo più 5 di macchina e 2500 $ di spesa, il tutto fatto solo per amore. Per Fabio&Alberto, Il Gatto&la Volpe dei VeniceQueen (il forum dei fan dei red hot) e… ebbene sì, anche per Giuseppe Giglio e i suoi 15 minuti di fama (a inizio giugno aveva pubblicato un tweet dove chiedeva chi volesse comprare il biglietto per i Red Hot a Bologna che aveva regalato alla sua fidanzata, la quale gli aveva confessato di averlo tradito subito dopo averlo ricevuto. lui è diventato una star da migliaia di like). Lui andrà al concerto di Bologna, a braccia spalancate e inguine infuocato, verso una nuova avventura che lo porterà direttamente in situazioni di SexDrugs&Rock&Roll indimenticabili.
Due parole per dirvi che mi sono tirato un culo inde-fucking-scrivibile per scrivere questo pezzo, specialmente dopo essere riuscito a intervistare (di nascosto, di soppiatto, da infingardo) tutti i componenti dei Red Hot Chili Peppers, dopo aver ascoltato l’album 3/4 volte di fila, dopo aver avuto accesso (di diritto) ad Anthony e Josh; dopo aver parlato furtivamente con Flea (grazie all’amicizia alimentata da una passione in comune, per i purple&gold dei Lakers) e dopo la “paella religiosamente con pollo-salsicce-lonza-gamberi-cozze” portata da un amico giornalista spagnolo (regola n.1 del giornalista: fare ricerca e ricordarsi che Chad la adora). E lo dico non per farmi figo o per qualsiasi tipo di sega mentale (cieco non divento di sicuro!), ma solamente perché chi come me ama i ragazzi e adora Californication e piange ogni volta che sente Scar Tissue e Under the Bridge ha il diritto e si merita di leggere e sapere l’intera storia, raccontata a quattro voci, da quei moddafukkers-fetenti-bastardi-romantici dei miei Red Hot Chili Peppers.
Esco dalla doccia e colgo lo sguardo sorpreso di mia moglie. Non perché lei sia ambientalista integralista, ma perché sa che normalmente, se non mi sporco, non vedo il motivo di lavarmi spesso. Ergo, quando lo faccio, tutti in casa sanno che sta per succedere qualcosa. Nel mio caso, e lo dico senza gravitas, devo intervistare i Red Hot Chili Peppers. Dopo la doccia, la scelta della t-shirt è religiosa: quella di oggi ricorda l’uniforme iconica di Michael Jackson, guanto indiamantato compreso. Sì, mi va un tantino stretta, so fucking what? Rispetto per la band, e omaggio a uno dei più grandi musicisti di sempre. Senza voler indugiare troppo nelle solite immagini californiane di coste e palme, prima di andare da loro ho preferito fare un giro nostalgico – da noi si dice down memory lane –sui luoghi che hanno visto nascere e crescere i RHCP. Dal Roxy Theater al Sunset Blvd, dove Anthony vendeva i primi oppioidi, alla Fairfax High School, dove hanno formato la band; da Canter’s, classico deli, dove mangiavano e scappavano senza pagare il conto, al Catch Social Club, dove Anthony e Flea, ai tempi homeless, rientravano la sera; dal Wattles Garden Park, dove hanno fumato le prime canne e cavalcato i primi skateboard, per finire in una delle location più famose di L.A., il ponte sulla 6th Street a Downtown L.A. – che hanno demolito da qualche mese – dove, non solo compravano coca e eroina, ma traevano ispirazione per una delle loro canzoni più famose di sempre: Under the Bridge.
Tour sentimentale finito, eccomi davanti a casa El Matador Beach, Malibu, con vista su Oceano Pacifico e delfini. Dopo aver constatato che, a 5 anni dal loro ultimo album, baffi e capelli di Kiedis sono sempre meravigliosamente neri corvini; che Flea è ancora tutto mantra-karma fuori di testa; che Chad assomiglia sempre di più al comico Will Ferrel; e che Josh è sempre punk-grunge nell’animo… mi portano nella zona d’ascolto del nuovo album, The Getaway, uscito il 17 giugno, prodotto da Brian Burton a.k.a. Danger Mouse – musicista e produttore di Broken Bells, Cee Lo Green, Gnarls Barkley, The Black Keys, Gorillaz, U2 – e mixato da Nigel Godrich, produttore di Radiohead, Beck, R.E.M. e Paul McCartney. Finita la mia track list e dopo essermi scritto le annotazioni delle canzoni, eccomi a loro disposizione.
Dopo anni di lavoro con Rick Rubin, avete scelto di produrre con Brian Burton. Perché?
Anthony Amo Rick, è uno dei miei migliori amici, un talento straordinario, è stato il nostro guardiano per anni, sin dal 1989 quando abbiamo registrato Mother’s Milk. Avevamo bisogno di cambiare e volevamo rischiare. Inizialmente, abbiamo chiesto a Brian Eno, ma era troppo occupato con vari progetti e ha gentilmente rifiutato. Abbiamo parlato con Nile Rodgers, ma anche lui non era disponibile, e poi Josh ci ha proposto Brian, con cui è nata subito un’intesa. Lo rispetto, perché non ha paura: bisogna avere i coglioni per dire a una band che suona insieme da più di 30 anni che la canzone che ha appena suonato it sucks, non funziona, e che bisogna ricominciare da capo.
Josh Conosco Brian da una vita. Ho lavorato con lui 10 anni fa, per un album di Martina Topley-Bird. E ho anche suonato le tastiere per Gnarls Barkley (il duo formato da Danger Mouse e Cee Lo Green, ndr). Erano anni che volevamo lavorare ancora insieme, quindi è stato il primo a cui ho pensato quando eravamo alla ricerca di un produttore.
Chad Avevamo già scritto più di 20 canzoni ed eravamo pronti a entrare in studio di registrazione, quando Flea si è rotto un braccio facendo snowboard e ha dovuto smettere di suonare per sei mesi. Poi è arrivato Brian e, invece di lavorare sul materiale che avevamo già prodotto, ha insistito per farci scrivere nuove canzoni.
Flea All’inizio ero nervoso, perché non avevamo mai registrato nel modo in cui lavora Brian, che aggiunge un layer alla volta, partendo dalla batteria, passando a chitarra, tastiere e infine alla voce. Avevo paura di perdere il suono che ci rende unici, che poi è la capacità di suonare live come suoniamo in studio. Ma una band che non cambia, è destinata a morire.
Come si è evoluto l’album? Che ispirazione avevate? Quali sentimenti, paure, dolori, gioie avete provato?
Anthony Sin da quando ho iniziato a scrivere canzoni, la mia più grande fonte di ispirazione è venuta da qui (indica il cuore) e dal dolore che si prova dopo la fine di una relazione sentimentale. Ho avuto una fidanzata australiana di cui ero follemente innamorato (la modella Helena Vestergaard, ndr) e, quando ci siamo lasciati, per me è stato molto simile a un’esperienza di pre-morte. Davvero, fuck, sono quasi morto e poi sono risorto solo grazie alla mia band che mi è stata vicina. The Getaway è un album eclettico, mi ricorda molto Blood Sugar Sex Magik: hip hop, funk, rock, punk e pop (e inoltre: piano suonato da Sir Elton John e sintetizzatori in abbondanza, ndr).
Josh Ai RHCP non manca materiale, perché scriviamo tutti tantissimo. Il compito di ogni album è creare sempre qualcosa di nuovo, quel qualcosa che mantiene un gruppo attuale, fresh, ma senza comprometterne lo stile, rimanendo coerenti con un suono stabilito da decenni. È stato difficile far nascere questo album, perché eravamo alla costante ricerca delle canzoni giuste. Alcuni pezzi sono stati scritti due anni fa qua a Malibu, altri sono più recenti come Dark Necessities e The Getaway. Io ho scritto almeno 10 canzoni che non sono entrate in questo lavoro, perché non adatte allo stile Chili Peppers.
Chad Ognuno deve trovare il proprio senso. In tante canzoni si riflette sulla vita personale di Anthony, in altre, invece, su noi come band, tipo in The Longest Wave: surfare le onde diventa una metafora di vita, dove i fallimenti sono momenti temporanei che ti permettono di migliorare e raggiungere gli obiettivi che ti eri prefisso.
Come sviluppate il processo creativo?
Anthony Io scrivo al mattino. Mi alzo presto, faccio surf, mi schiarisco le idee, metto a posto la casa (vorrei proprio vederlo… nda) e mi siedo in giardino con block notes, matite, i miei cd e il boombox fighissimo che ho da 20 anni, e inizio a scrivere. Fondamentale per me avere una routine. Ogni scrittore serio scrive tutti i giorni. Come ogni musicista serio suona sempre, perché non sai mai quando arriverà l’ispirazione e, se non pratichi, magari non arriverà mai. Flea, infatti, suona tutti i giorni. Non importa quanto sei bravo, come si dice da noi: practice makes perfect.
Josh Quando i Chili Peppers sono diventati famosi non facevo parte della band e, se devo essere sincero, non so ancora quando un pezzo potrebbe funzionare. Per me l’importante è avere abbastanza materiale per iniziare una discussione, poi alcune canzoni restano, altre vanno.
Anthony Mi dico sempre: un passo alla volta. Quando mi piace una base musicale è molto difficile che non riesca a trovare il modo di tirare fuori le parole che voglio. A volte ci vuole un giorno, altre volte un mese.
Flea Danger Mouse è stato fondamentale sia a livello emotivo che organizzativo. Quando capiva che Anthony aveva bisogno di un nostro contributo, chiedeva a me o a Josh di suonargli la base in modo da aiutarlo a trovare le parole giuste. Per me questo è il momento creativo più bello, quando sei ancora alla scoperta della canzone giusta: non si tratta solo di scrivere un pezzo, anche il processo che si compie è importante. Per me è fondamentale non perdere la curiosità e incanalare la musica nella direzione giusta. Abbiamo scritto tantissime canzoni, anche se Anthony scrive solo per quelle che piacciono a lui.
Com’è nata la collaborazione con Elton John?
Anthony Flea ha scritto un pezzo ispirato alla sua canzone, Bennie and the Jets. L’ho amata alla follia. A quel punto abbiamo chiesto il permesso a Elton di poter suonare la nostra canzone, perché ci sembrava giusto renderlo partecipe e intanto speravamo di poter collaborare con lui. Quando ha accettato, eravamo così contenti… Poi abbiamo avuto occasione di conoscerlo e passare del tempo con una leggenda: è stato fantastico! Così è nata Sick Love.
Canzone preferita?
Anthony A me piace molto Goodbye Angels. Mi ricordo che il giorno in cui è nata io non c’ero, stavo facendo qualcosa con mio figlio Everly, e quando sono tornato in studio mi hanno fatto sentire il materiale su cui avevano lavorato, e mi è piaciuta tantissimo. Mentre stavo andando verso casa in moto – ascolto sempre musica quando vado in moto – ho iniziato a cantare sopra la melodia e le parole sono uscite di getto. Ho inchiodato e, praticamente in mezzo alla strada, ho iniziato a cantare. Quando trovo il ritmo giusto, le parole escono da sole, è un processo naturale. Per scrivere una canzone devo sentirmi libero, se cerco di forzare la mano, se non sono onesto con quello che sto vivendo, so già che non funzionerà.
Josh Mi piacciono molto Encore e Goodbye Angels, ma la mia preferita è Dreams of a Samurai. Eravamo a Mosca per un concerto e, prima di salire sul palco, Flea mi suonò questo giro di basso che ho trovato bellissimo, era una canzone che per me doveva assolutamente far parte dell’album. Era il 22 luglio 2012, ricordo la data perché ho una vera ossessione per i numeri e mi segno sempre tutto. Anthony è molto bravo a scrivere i testi che hanno una rilevanza attuale e per i testi di questo pezzo ha riflettuto molto sulla fine di Scott Weiland, il cantante degli Stone Temple Pilots morto sul suo tour bus.
Anthony Dreams of a Samurai è una riflessione personale sui miei anni problematici, passato e futuro, ed essendo una canzone psichedelica lascia molto spazio per scrivere un testo più aleatorio e fuori dagli schemi.
Dopo tutti questi anni, qual è il segreto della vostra longevità come band?
Anthony Non so se sia un segreto, ma sin dall’inizio abbiamo deciso di condividere tutti i nostri guadagni in parti uguali. Nessuno prende di più o di meno. Non importa se Chad non scrive i testi, o se la canzone che abbiamo scelto ha il 40% di Josh e il 60% di Flea. We don’t give a fuck. Siamo tutti uguali, ognuno a suo modo fa la sua parte, mai litigato per i soldi. L’aspetto monetario uccide tante band. Siamo tutti molto creativi e ognuno di noi ha la propria personalità. Litighiamo e spesso ci mandiamo a fare in culo, ma troviamo sempre una soluzione per risolvere i problemi. Siamo tutti egocentrici, ma siamo anche persone oneste, siamo loving people. Non siamo cattivi, non abbiamo secondi fini. Stronzi sì, ma anche capaci di dimenticare i momenti negativi e andare oltre. Siamo fratelli. Arriviamo sempre a un compromesso. Siamo sempre sinceri uno con l’altro. E poi, quando suoniamo insieme, ci divertiamo ancora tantissimo. E questa è la cosa più importante.
Cosa mi dite della copertina dell’album?
Anthony Flea è sempre quello che inizia a parlare della copertina. Poi intervengo io e allora iniziamo a lavorarci insieme. Entrambi ci siamo presi la responsabilità di trovare qualcosa che piacesse a tutti. Flea ha iniziato a bombardarmi con centinaia di immagini che trovava su Internet o su suggerimento di amici… Ma per me nessuna era adatta all’album. Un giorno me ne manda una che mi colpisce: era di kevinpetersonstudios.com. Gli ho detto che mi piaceva e l’abbiamo chiamato.
Flea Mai successo nella storia dei RHCP che io e Anthony si sia stati d’accordo così velocemente. Forse stiamo invecchiando, è molto raro avere la stessa opinione senza litigare.
Descrivimi le personalità dei RHCP.
Flea Chad è l’orso brontolone, Josh la bambina che rompe i coglioni, io il procione, e Anthony il corvo che sorvola su tutti.
Come molti musicisti avete tutti sostenuto Bernie Sanders fin da subito…
Chad Assolutamente! Zero paura a sostenere l’unica persona onesta, non intortata e sana di mente di questa campagna presidenziale. Siamo in buona compagnia, come noi anche Cornel West, Serj Tankian, Michael Stipe, Susan Sarandon, Oren Peli, Shepard Fairey, Jackson Browne e Roger Waters… Feel the Bern (è il motto elettorale di Sanders, nda).
“Chad è l’orso brontolone, Josh la bambina che rompe i coglioni, io il procione, e Anthony il corvo che sorvola su tutti.” Flea
Parliamo delle vostre passioni personali. Che cosa fate quando non lavorate?
Chad La musica ha cambiato la mia vita. Non vedevo l’ora di andare a scuola per suonare, le classi di musica erano le lezioni più importanti. Per me è fondamentale trasmettere questa passione alle nuove generazioni.
Flea Nel 2000 ho fondato il Silverlake Conservatory, una scuola non profit dove insegniamo a suonare. E teniamo anche lezioni di teoria musicale a chiunque voglia imparare, bambini o adulti, ricchi o poveri. Di fama e celebrità non ce ne frega un cazzo. E poi ci sono i Lakers! Kobe è un mito, sinonimo di diligenza, disciplina, non si diventa campioni se non si suda sangue tutti i giorni. The Black Mamba è un genio come John Coltrane, Jimmy Page o Charlie Parker.
Anthony Amo la mia vita, con mio figlio Everly Bear che mi sta regalando gli anni più belli. Amo il surf, esco di casa e mi butto in mare, purtroppo non posso farlo ogni giorno. Amo i miei vecchi amici, ma anche imparare cose nuove, ogni giorno. E amo le mie moto, Harley Davidson e Bmw.
Chad Mio padre ha lavorato 32 anni alla Ford (mio papà Luciano invece 35 anni in Alfa Romeo, nda) e grazie a lui ho la passione per moto e automobili, soprattutto le muscle cars americane, vintage, come Mustang e Classic Corvette 1966. Quella che hai visto in cortile è mia!
Josh La passione per la musica prima di ogni cosa, poi ho una dipendenza assurda per i sintetizzatori modulari, con cui gioco e imparo, appena ho del tempo libero. Mi diverto un casino a suonare con gli amici e… a mangiare i bucatini al pomodoro.
Rimpianti ne avete?
Anthony Mi pento di essere stato aggressivo con qualcuno, delle volte che ho dimostrato violenza, ignoranza e mancanza di sensibilità nei confronti di altre persone. Ecco, vorrei essere stato più gentile verso il mondo.
Flea Sono grato di essere dove sono, non per soldi o fama, ma perché sono vivo, ho una famiglia e continuo ad alzarmi al mattino con la voglia di fare qualcosa di nuovo. Nessuno mi impedirebbe di stare in spiaggia tutto il giorno a farmi le canne e giocare con il mio cane. Sia Anthony che io abbiamo avuto un’infanzia disgraziata e difficile, siamo fortunati a essere ancora vivi e grati di essere cambiati.
Josh Ho conosciuto i Marlene Kuntz grazie a PJ Harvey. Qualche tempo fa Luca, il batterista, mi chiese se volevo suonare con loro a Milano. Ho dovuto rifiutare, perché ero in tour con un’amica, Cate Le Bon. Mi sarebbe piaciuto essere con loro sul palco, amo l’Italia, ho registrato tante volte al RedHouse Recordings vicino ad Ancona, nello studio di David Lenci. È un grande.
I Red Hot saranno in Italia l’8 ottobre a Bologna (Unipol Arena) e il 10 e 11 a Torino (Pala Alpitour). Ci saranno anche Fabio e Alberto. E Giuseppe Giglio con nuova fidanzata, naturalmente.
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