Giunta a questo punto della carriera, Madi Diaz è diventata decisamente realista a proposito della vita on the road. «Ho 37 anni e questa roba è tosta», dice ridendo. «Giro per gli aeroporti trascinandomi un mucchio di pedali e cavi, porto la chitarra al gabinetto». Teme sempre il mondo al banco del check-in dovrà convincere un addetto della compagnia aerea a lasciarle portare in cabina la sua roba. «Sono testarda, ma non ho più la grinta di una volta».
Sarà anche vero quando si parla di bagagli, ma non quando si parla della musica della cantautrice di Nashville. Chiedetelo a Harry Styles, che nel 2022 l’ha voluta come opening act del Love on Tour e l’ha apprezzata a tal punto da chiederle di unirsi nel 2023 alla sua backing band. Altri fan del suo folk-pop sono Angel Olsen, le Muna, Waxahatchee (tutte artiste che hanno collaborato al suo eccellente LP del 2021 History of a Feeling) e Kesha, che nel 2019 ha registrato una canzone a cui ha lavorato con lei. A detta di tutte loro, se c’è qualcosa che non manca a Diaz è la grinta.
È un pomeriggio di ottobre insolitamente caldo e Diaz è seduta nella hall dell’Ace Hotel di Manhattan. Indossa un top sotto una camicetta abbottonata. Dice di avere dormito pochissimo (eppure sembra sveglissima) e che la sua frangia pare sia stata tagliata da Edward Mani di Forbice (e invece è carinissima). «Se vuoi sapere come me la passo, guarda quante cazzo di app e di podcast di oroscopi ho nel telefono. Se sono più di due, non è un buon segno».
Ieri sera Diaz ha aperto per i My Morning Jacket al Beacon. Esibirsi in un locale elegante e con una storia quasi centenaria come quello è stato travolgente. «È un posto così romantico che mi sono persa. Ho iniziato a parlare tra una canzone e l’altra e una parola mi è uscita letteralmente al contrario. Fissavo la statua dorata di una donna. Cazzo, stavo suonando al Beacon con una sezione di fiati pazzesca. Non credevo alle mie orecchie».
Quando dice «sezione di fiati pazzesca» si riferisce a quella che abitualmente accompagna Styles: la sassofonista Lorren Chiodo, la trombonista Kalia Vandever e la trombettista Laura Bibbs. «Sono donne dolcissime e in gamba. È stato come essere a una rimpatriata di ex compagne dei campi estivi».
Una delle canzoni che ha eseguito con loro è Same Risk, un brano acustico brutalmente onesto tratto dal nuovo album Weird Faith (in uscita il 9 febbraio): “Pensi che questo potrebbe rovinarti la vita? / Perché vedo che sta rovinando la mia”. «Avevo appena iniziato a frequentare il mio ex e stavo impazzendo», spiega Diaz. «Non è possibile tenere tutto sotto controllo. L’unica cosa che posso fare è continuare ad andare avanti. È il mio mantra».
Poi allarga questo concetto a Everything Almost che parla di darsi quasi del tutto in una relazione, tenendo però una piccola parte solo per sé. Ascoltandolo, si capisce perché Diaz lo definisce «un vero e proprio diario». Con tutti quei dettagli racchiusi in versi taglienti, è destinato a diventare uno dei preferiti dei fan, che ne impareranno a memoria ogni parola: “Ho sognato che c’era una bambina dentro di me / Con una mano sulla mia pancia e l’altra che puntava il dito / Ti davo ordini per casa come una stronzetta / E tu ridevi e sopportavi”.
«Madi ha un modo delizioso di parlare delle cose in modo informale», dice la sua amica Kacey Musgraves. «È il tipo di songwriting che preferisco».
Le due musiciste di Nashville si conoscono da tempo, ma si sono avvicinate durante la pandemia cucinando, facendo shopping di oggetti d’antiquariato e scherzando sull’idea di diventare coinquiline. «Ogni tanto andiamo a vedere un immobile in vendita oppure facciamo una lunga passeggiata e chiacchieriamo», spiega Musgraves. «E poi c’è il vino. E i cavalli: siamo entrambe molto appassionate di cavalli».
Musgraves duetta con lei in Don’t Do Me Good, uno dei pezzi di Weird Faith, un addio spettacolare a un amante, con un ritornello poderoso che parla di gettare la spugna. «C’è qualcosa nella sua voce che eleva il brano», dice Diaz. «Conosco benissimo la voce con cui Kacey parla, quindi è stato divertente andare in studio, mettere le cuffie, ascoltare il suono che usciva dalla sua bocca e pensare: oh, ma questa è la mia amica!».
Scritta con la collaboratrice di Ed Sheeran, Amy Wadge, Don’t Do Me Good è una delle canzoni più solide del catalogo di Diaz. Ma lei era titubante nel chiedere a Musgraves di cantarla. «Ero terrorizzata all’idea di domandarglielo, perché una cosa del genere è più consona al tipo di amicizia che ho, per esempio, con Courtney Marie Andrews. Kacey gravita in una stratosfera completamente diversa. Lei è una popstar». Quando le riporto queste parole, Musgraves ride: «È ridicolo. Siamo amiche. Ho subito pensato: assolutamente sì».
Molte delle amiche di Diaz sono musiciste, ma non è sempre stato così. «Alla nostra generazione, quando avevamo 20 anni, è stato insegnato che le donne alfa devono evitarsi a vicenda. Ed è un peccato. È buffo come la situazione sia cambiata completamente una volta compiuti i 30 anni».
Diaz è cresciuta in una famiglia di musicisti a Norwalk, Connecticut (suo padre suona in una cover band di Zappa). Si è trasferita in Pennsylvania a 7 anni; ha frequentato il Berklee College of Music, abbandonando poi gli studi per andare a esibirsi al Bitter End di New York. Nel 2008 si è spostata a Nashville e ha iniziato a lavorare come autrice, poi si è trasferita a Los Angeles, dove ha suonato in alcune band, e infine è tornata a Nashville nel 2017.
«Non mi sono mai minimamente posta il problema di come sarebbe stato essere una donna in questo ambiente e che forse, in seguito, le cose sarebbero diventate difficili», dice ripensando a inizio carriera. «Cazzo, è diversissimo per le donne, e speriamo che la gente arrivi a capirlo, a un certo punto. Onestamente non credo che gli uomini ci arrivino». Cita diverse musiciste che si portano i figli in tour, da Maren Morris a Elle King e Margo Price («Cazzo se è tosta»). «Oppure la mia amica Michaela Anne, che ha un bambino di 2 anni».
Nonostante quella frase sulla maternità in Everything Almost, per lei non è ancora il momento di diventare madre. Sta imparando a vivere nel presente e cita, come fonte di ispirazione che ha scoperto di recente, Uno psicologo nel lager, il libro di memorie del 1946 scritto da Viktor Frankl, sopravvissuto all’Olocausto.
«Devi ascoltare ciò che la vita ti chiede e rispondere a quelle domande. Per esempio, la vita non mi sta chiedendo di essere mamma, ma di trascinare per tre chilometri all’aeroporto LaGuardia la mia cazzo di chitarra e un groviglio di cavi infilati nel bagaglio a mano che pesa 22 chili. Questo sto cercando di fare».
Da Rolling Stone US.