La prima volta che ho intervistato Dente è stato circa 16 anni fa nella casa in zona Loreto, a Milano, in cui si era da poco trasferito. Era il tempo di L’amore non è bello, il suo disco più famoso. Probabilmente il più amato. Da allora a oggi molto è cambiato. Nel mondo, nella musica, nella vita. Ma Dente è rimasto sostanzialmente lo stesso. Stessa aria timida, stessa tenerezza di fondo, stesso senso dell’umorismo, stessi casini amorosi.
E la casa? Anche lei sempre la stessa. «Ma forse fra tre mesi mi sfrattano» dice con aria fatalista. E la musica? Beh, lo stile è il suo, ma con i dovuti aggiornamenti del caso. Come potrete ascoltare nel nuovo disco Santa Tenerezza. Qualche arrangiamento pop stile anni ’80, inserti di fiati e tastiere, giochi di parole, un insolito pezzo con orchestra (Senza di me), un suggestivo duetto con Emma Nolde (La città ci manda a letto), un pizzico di Battisti qua e là (M’annegasti, Favola). E un gioiellino da tenersi stretti, Non ci pensiamo più, da cui viene l’ispirazione per il titolo.
Si parla d’amore, naturalmente. Amore presente, passato, felice, sfigato, romantico, malinconico, tradito, dimenticato, nostalgico, ironico. Alla maniera di Dente, insomma.
Santa Tenerezza, perché?
Un’idea del mio produttore, Federico Nardelli. Trovo sia un bellissimo titolo, molto azzeccato per il disco. E per me stesso. Perché la tenerezza fa parte del mio essere da sempre. Anche se in questo mondo cattivo, forse noi teneri dovremmo cambiare pianeta.
E, allora, ti sfoghi nella musica.
So che non risolvo assolutamente nulla, però mi aiuta tantissimo. Vedi Corso Buenos Aires, dal nuovo disco. Racconta di quella volta che ho visto lei con un altro. Invece di andare fuori di testa, fare una sceneggiata o tirare un pugno a qualcuno, sono andato a casa e ho scritto una canzone. Mi sembra un modo più pacifico di reagire. Ho composto questo disco in poco tempo, con l’urgenza di buttare giù delle cose, in un flusso creativo. Vivevo una situazione strana: da una parte ero felice perché mi arrivavano queste canzoni, dall’altra piangevo perché emotivamente ero sotto un treno.
Colpa dei tuoi soliti casini amorosi?
Sì, una mazzata proprio. Del resto per me va così, alti e bassi. Ho preso anche ad andare in analisi, mi fa bene. Il disco precedente rifletteva questo stato. Per esempio una canzone di due anni fa come Cambiare idea è frutto del percorso che ho fatto. È difficile cambiare idea su se stessi, se qualcun altro non ti fa notare delle cose.
Mi sembra di tornare indietro nel tempo. Anche 16 anni fa mi parlavi di una delusione d’amore di quelle toste.
È vero. Per Santa Tenerezza ho provato le stesse sensazioni di L’amore non è bello. Molto strano, non pensavo mi potesse tornare un’ispirazione così forte e veloce. Poi, com’è venuta, se n’è andata in un attimo. Ma io sono così. Aspetto che venga l’illuminazione, non vado a cercarla, non scrivo a tavolino. Il mio meglio è uscito in pochi minuti. Per esempio, Buon appetito, uno dei brani che il mio pubblico ama di più: una mattina, la chitarra e via così.
Da Santa Tenerezza scelgo Non ci pensiamo più, il mio pezzo preferito.
È una ballatona un po’ anni ’70, con un grande crescendo di cori e fiati. Il testo parla di come col tempo ti dimentichi di chi hai amato. E viceversa. Neanche così tragico, solo molto realistico. All’inizio non mi pareva così potente, poi ci sono state delle reazioni inattese. Una corista mi ha detto: non so se riesco a cantare quelle parole. E ho capito che era un tema forte, qualcosa che ti tocca dentro.
In tanti ti considerano un pioniere dell’indie, dell’it-pop o di come vogliamo chiamarlo. Un cantautore di culto, insomma. Ti ci rivedi?
Non so. Ma forse è un problema mio di autostima molto bassa. Però me l’hanno detto un sacco di volte. Anche parecchi nuovi cantautori: «Se non ti avessi visto quella volta suonare, non avrei cominciato». Gente che oggi riempie i palazzetti, a differenza mia. Quindi, insomma, un po’ mi fa piacere e un po’ mi fa arrabbiare. Forse mi sarebbe piaciuto arrivare alla seconda ondata, invece che alla prima. Perché è stata più fortunata, quantomeno economicamente.
Ecco. Ma non ti rode tutto questo? Aver ricevuto meno di quello che avresti meritato?
Un po’ mi rode, ma non è che non ci dormo la notte. Erano anche momenti storici diversi. E poi la metterei diversamente: invece di «avrebbe meritato di più», direi «potrebbe meritare di più». Perché comunque non sono morto e continuo a fare musica. Coi miei numeri, i miei spazi, i miei ritmi. E, poi, la mia musica così intima ce la vedo poco nei palazzetti.
Comunque tu hai un un giro di concerti abbastanza regolare.
Sì, continuo a suonare. Anche se non mi sono comprato la casa al mare… E ad aprile ripartirò per un tour nei club (Milano e Bologna sono già esaurite, nda), le prove sono andate molto bene. Farò sei pezzi di Santa Tenerezza e i miei classici. E sul palco avrò anche un sax.
Lucio Corsi, dopo Sanremo, sta facendo il tutto esaurito ovunque. Segno che anche i cantautori possono avere successo al festival. Tu ci andresti?
Lucio è bravo, sono contento per lui. Il festival? Sì, con la canzone giusta ci andrei. Anzi, ci ho già provato, ma non è andata. Dieci anni fa avrei detto di no, perché era un mondo completamente diverso. Fra noi e Sanremo c’era una netta divisione, non ce ne fregava nulla. Ho fatto tanti concerti durante le serate e la gente veniva comunque, perché il mio pubblico mica guardava Sanremo. Oggi, invece, sembra l’unico canale disponibile per farsi conoscere. È un peccato, perché si crea un imbuto: tutti vogliono andare lì. E si sgomita. Invece bisognerebbe creare altri spazi, altre occasioni.
Eh, mica facile. E, soprattutto, non mi sembra che ci sia la volontà.
Esatto. Il problema è che non c’è più controcultura in questo Paese. Non c’è più una scena alternativa, non c’è più un pubblico alternativo, non ci sono più i locali che fanno musica alternativa. C’è un campionato unico per tutti. E quindi, tutti devono fare lo stesso percorso, i talent, TikTok o Sanremo. Quando ho iniziato io c’erano tanto underground e tante musiche diverse. Ognuna di queste bolle aveva il suo pubblico, una dignità e un modo per sopravvivere. Oggi non più.
E tu come vivi in questo mondo di numeri, streaming, social, TikTok, dove devi far arrivare la tua canzone in 30 secondi?
Sogno un mondo in cui non esistono. Ma visto che non ci sono alternative li devo usare. Però non riesco a farlo nel modo corretto, quello che ti porta dei vantaggi. Sarà anche da anziani, ma non mi va di mettermi lì a capire come funziona TikTok. Ci provo, ma poi preferisco tornare sul divano a leggermi un libro. E, ovviamente, il mio lavoro ne risente. Mi interessa di più l’intelligenza artificiale, con cui ho realizzato la copertina di Santa Tenerezza. È uno strumento che può aiutare e dobbiamo imparare a usare nel modo giusto. Non dico per scrivere canzoni, ma per sperimentare, cambiare, tentare qualcosa di diverso.
Recentemente Elio ha detto che la musica di oggi non esiste. Che ne pensi?
Credo sia un discorso un po’ da vecchi. I miei genitori non capivano la musica che ascoltavo io quando avevo 16 anni ed è giusto che io non capisca la musica che ascoltano i sedicenni di oggi. È fisiologico. La trap non mi piace, ma dire che è una merda non mi sembra corretto. È indirizzata a un altro pubblico, non a me. Ma il mondo è bello perché è vario. E ci sono tanti giovani musicisti in giro che apprezzo.
Come Emma Nolde, con cui hai duettato nel pezzo che chiude l’album, La città ci manda a letto.
Ci conosciamo da un po’. L’ho vista una sera in concerto mentre cantava Berlino e mi ha sconvolto. Aveva 19 anni e col tempo siamo diventati amici. Una sera eravamo a Milano in Santeria: era tardi, stava chiudendo tutto e noi volevamo stare in giro. Mi è uscita una frase: «Questa città ci manda a letto». Lei ha detto che era bellissima e dovevamo farci una canzone. Dopo un po’ mi ha mandato una bozza e io ci ho lavorato sopra. Il duetto è nato così, quasi per gioco.
Hai quasi 50 anni. E di cose ne hai fatte. Cosa vedi nel tuo futuro?
Quando all’inizio mi chiedevano «come ti vedi fra vent’anni?», rispondevo che volevo continuare a scrivere canzoni in modo sincero e autentico. Beh, l’ho fatto e continuo a farlo. E per me è già tantissimo. Ma ora ho dei sogni nuovi, che sarebbero dei piani B. Non so ancora bene che cosa, ma non voglio pensare che la mia vita sia ormai fatta, finita e chiusa, che questo deve essere il mio mestiere per sempre. È un lavoro precario. E, visto che non scrivo canzoni a tavolino, chissà se me ne verranno ancora o no. E anche andare in giro a suonare tra un po’ potrebbe diventare faticoso.
Non dirmi che stai già pensando alla pensione?
No, mica ho scritto hit milionarie… Vedi, oggi ho quasi 50 anni, sono in forma e mi piace ancora tantissimo viaggiare in tour. Però non so se fra 10 o 15 anni avrò ancora voglia di andare in giro con la chitarrina e il furgone. Quindi sono sempre appeso a questo filo, che sicuramente mi aiuta a rimanere vivo. Vent’anni fa facevo il magazziniere e oggi sono qui con te a fare un’intervista. Potrebbe essere che tra 10 anni sarò da tutt’altra parte a fare chissà che cosa. Perché tutto può succedere nella vita, no?