Tom Zé è il più visionario e maledetto dei musicisti brasiliani. Cresciuto a Irará, piccola cittadina nello Stato di Bahia, è stato tra i padri del tropicalismo, movimento culturale e musicale che ha rivoluzione il Brasile negli anni ’60 portandolo alla ribalta del panorama mondiale. Con Caetano Veloso e Gilberto Gil forma la triade spirituale del movimento che troverà la massima espressione nella pubblicazione del disco collettivo Tropicália: ou Panis et Circencis nel luglio del 1968.
La storia di Tom Zé, nelle parole di Pietro Scaramuzzo, esperto di musica brasiliana e autore della biografia ufficiale Tom Zé. L’ultimo tropicalista (ADD Editore), è «quella di un uomo che lotta contro il suo tempo, che il giorno prima vince uno dei più importanti festival musicali del Paese e il giorno dopo si ritrova sul lastrico, dimenticato da tutti e sul punto di tornare nell’entroterra baiano per lavorare come benzinaio». Sarà David Byrne (che della biografia ha scritto la prefazione) a riscoprire il talento dell’artista carioca, pubblicando negli anni ’90 una serie di dischi/raccolte per la sua etichetta Luaka Bop, consacrando Zé nell’ambiente artistico internazionale tanto che Rolling Stone US lo paragonerà a grandissimi pionieri come Frank Zappa e Captain Beefheart.
Tom Zé è un musicista unico capace di mescolare le radici della musica popolare brasiliana (samba, bossa, pagode) con gli insegnamenti sulla dodecafonia di Koellreuter e la tecnica contrappuntistica di Paul Hindemith, e in grado di assimilare le tecniche (il collage, il ready-made, gli elenchi) della poesia concreta brasiliana di Augusto De Campos, Haroldo de Campos, Décio Pignatari per la scrittura dei testi. È proprio da questi poeti che il tropicalismo venne a conoscenza di Oswald de Andrade e del suo Manifesto Antropofago, eletto a filosofia di guida del movimento, in cui l’antropofagia viene presentata come una pratica di assimilazione conflittuale di una cultura dominante da parte di una cultura dominata, un cannibalismo culturale e musicale da cui far nascere qualcosa di nuovo ed unico. E con questo intento che il movimento tropicalista diventerà fondamentale movimento di liberazione e emancipazione della nova cultura brasiliana.
Abbiamo avuto il piacere di avere uno scambio con Tom Zé in occasione dell’uscita della biografia di Pietro Scaramuzzo, che ringraziamo per la traduzione del portoghese.
Sei stato definito il futurista della musica brasiliana, filosofo, poeta, rumorista. Tu invece in passato ti sei definito vanguardista retardista. Come possiamo definire Tom Zé oggi?
Piuttosto che vanguardista oggi mi piace definirmi retardista, perché tutto quello che riesco a fare lo devo all’influenza della cultura mozarabica con cui ho avuto molto contatto durante la mia infanzia. Allora di Aristotele non ne sapevamo niente. Vivevamo senza Aristotele.
Cosa hanno significato il tropicalismo e il movimento tropicalista per te?
Caetano e Gil hanno emancipato il Paese da un profondo medioevo, proiettandoci verso una seconda rivoluzione industriale.
Cosa pensi abbia significato per il Brasile di allora? E cosa pensi ne sia rimasto oggi, anche fuori dai confini brasiliani?
Il tropicalismo è stato un vero e proprio shock all’ennesima potenza. I giovani di tutti gli Stati della Federazione si sono armati con fucili semeiotici. Eh sì: nel linguaggio dei vestiti indossati, ad esempio, gli uomini hanno iniziato a poter indossare abiti colorati, gialli, verdi, rosa.
Cosa significa Brasile per te oggi?
Il Brasile? Cos’è davvero il Brasile? La sua capitale è Buenos Aires (qui cita un brano del suo disco Estudando a Bossa, nda) o Bogotà? È una colonia di Trump? O dello Ayatollah?
Hai dichiarato: nel ’73, quando i tropicalisti si spartirono l’eredità musicale degli anni ‘60, io rimasi tagliato fuori, o meglio, sepolto. Poi nel 1990 un eretico, agnostico, profano chiamato David Byrne mi ha dissotterrato. Ci racconti cosa successe in quel 1973? E pensi che quel periodo buio ti abbia insegnato qualcosa di importante e sconosciuto nel tuo approccio alla musica?
Quando si è divisa l’eredità del tropicalismo negli anni ’70, si dimenticarono di me. Solo più tardi, l’eretico, agnostico e profano David Byrne ebbe il coraggio di ridarmi la vita. Ma oggi ho un altro difensore, Caetano Veloso, che conferma la mia presenza al lato suo e di Gilberto Gil. La sua autorità mi redime.
Mi puoi raccontare il rapporto tra te e Byrne e cosa ha significato per te quella rinascita?
David Byrne arrivò in un’ora critica. Avevo già deciso di tornare nel mio villaggio in Bahia, Irará, per lavorare come benzinaio. All’improvviso, però, mi sono trasformato in un oggetto di curiosità anche per la rivista Rolling Stone.
Quale è stato il momento che ricordi con maggior entusiasmo della tua carriera musicale?
Poter studiare nella Escola de Musica da Bahia, un’eccellenza in uno stato poverissimo. È stato incredibilmente entusiasmante. Non dimenticherò mai le lezioni con Koellreutter e Widmer. E tutto questo lo devo a Edgar Santos, l’allora rettore dell’Università di Bahia. È a lui che si deve la nascita di quella avanguardia nella città di Salvador.
Nel Manifesto antropofago, manifesto da cui è partito il Tropicalismo, De Andrade sostiene che l’allegria è la prova del nove. Pensi che la prova del nove sia davvero l’allegria?
Oswald de Andrade è arrivato a noi grazie ai poeti concreti Augusto De Campos, Haroldo de Campos e Décio Pignatari. Non sarebbe onesto parlare di tropicalismo senza citarli.
C’è una frase in particolare del Manifesto della poesia Pau-Brasil (1924) di De Andrade che mi ha fatto pensare alla tua musica: essere regionali e puri nella propria epoca. Ti ci ritrovi in questa definizione?
Effettivamente una persona che si emancipa dal VII secolo, quando ancora lo zero non era stato inventato e scopre che dieci per dieci è cento… un risultato così è possibile solo se si pensa che dio è complice dell’umanità.
“Siamo un popolo infelice bombardato dalla felicità” (Grande Liquidacao, 1968) e “Non siamo altro che automi programmati per lavorare. Quello che ci salva sono i piccoli difetti di fabbrica: cantare, sognare, pensare” (Com Defeito de Fabricação, 1998). Mi piacerebbe un tuo commento su queste due frasi. Nonostante abbiano trent’anni di differenza, sembrano l’evoluzione di un concetto unico. Vorrei sapere cosa pensi ora, nel 2020, di quel popolo infelice, di quegli automi programmati per lavorare. Dove è arrivato adesso?
Progrediamo a passo svelto. Adesso siamo un popolo infelice calpestato dall’odio. E per gli androidi non c’è più nessun lavoro.
Una curiosità. Nel libro di Pietro Scaramuzzo si parla di quando Caetano Veloso ti ha fatto ascoltare per la prima volta Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ti ricordi cosa hai provato in quel momento?
Questa è una domanda preziosa: proprio in questi giorni stavo pensando a quando Caetano mi tradusse i testi di Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Soltanto adesso mi sembra che quell’esperienza sta prendendo forza nelle profondità della mia mente, dove risiede la mia voglia di vivere. Ho comprato molti dischi dei Beatles e li ascolto ancora.
La tua discografia è immensa. Se dovessi consigliare un solo lavoro a un giovane che vuole approcciarsi a Tom Zé, quale gli consiglieresti?
Facile dare una risposta. L’altro giorno stavo riascoltando Estudando a Bossa e mi chiedevo: sono stato davvero io a scrivere questa meraviglia? Se un giovane ha voglia di conoscere la mia musica, può iniziare da questo disco.