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Quintorigo, meglio rospi che fascisti

Alla vigilia del ritorno sui palchi della formazione di 25 anni fa, quando andarono a Sanremo con la canzone-manifesto ‘Rospo’, John De Leo e Valentino Bianchi raccontano perché si sono separati e come si sono ritrovati. «Questa è una reunion anche politica». I pochi ma buoni alzano il volume. È la rivolta di chi sa cos’è un rivolto

Foto: Michele Piazza

Un benemerito pirata ha caricato su YouTube l’esibizione dei Quintorigo a Sanremo 1999. Sembrano cinque ragazzi che sguazzano nei fossi dopo essere andati a lezione di violino, ragazzi che per uno strano sortilegio si trovano catapultati nel luogo più mainstream d’Italia. Indossano pantaloni da pesca verdi e suonano un pezzo decisamente strano chiamato Rospo. Cantano quel che detestano nel mondo dello spettacolo e quindi anche del festivalone, ovvero superficialità, successo, mediokrità (che scrivono con la k, imperdonabili anche dopo 25 anni). “Il tuo sorriso mi disgusta!”, dice il cantante che difatti ha il piglio incazzoso dei rocker alternativi anni ’90, solo che il decennio è agli sgoccioli e loro di rock hanno l’atteggiamento e l’impatto, ma non la strumentazione, che è formata da sassofono, violino, violoncello, contrabbasso. Sono un bello spot per i Conservatori, portano a pensare che lo studio della musica non ti renda necessariamente un nerd.

Sono passati 25 anni, dunque, e i Quintorigo stanno per tornare con una serie di concerti a cavallo tra 2024 e 2025. Hanno dismesso i pantaloni da pesca, mi auguro sia rimasta un po’ d’incazzatura. Il pretesto è il festeggiamento di un quarto di secolo della loro rospitudine discografica, vale a dire della loro irriducibile diversità manifestatasi nel primo album del 1999 che s’intitolava come il pezzo sanremese. Nel frattempo sono successe tante cose. Quella essenziale che li riguarda è che dopo tre dischi il cantante John De Leo è andato da una parte e i musicisti da un’altra. Il nome l’han tenuto loro. Lui tra le tante cose ha fatto due dischi di canzoni estrose (i titoli dicono molto: Vago svanendo e Il Grande Abarasse) e un altro in coppia col pianista Fabrizio Puglisi, loro han cambiato cantanti e stili, transitando anche dai repertori di Mingus e di Zappa, tra i loro spiriti guida. È stata una separazione consensuale, ma non per questo meno dolorosa, tant’è che De Leo non ce la fa proprio a chiamare gli altri Quintorigo. Li chiama Quattroquinti.

Eclettici fino al masochismo in un’epoca in cui la gente non voleva (e non vuole) scoprire cose nuove, colti senza essere noiosi, pop senza essere scontati, quando suonano hanno un gran senso della dinamica e dell’ironia, che nei testi di De Leo mescolano con una visione del mondo diciamo così progressista. Ci sta che questo gruppo, che sembra ideato da Stefano Benni dopo aver mangiato la Luisona e aver delirato sul Kronos Quartet che suona a Lugo di Romagna con John Zorn e Mike Patton, torni a sguazzare tra le note in un mondo devastato da varie sciagure e sempre più dominato dall’egonomia, che guarda caso era anche il titolo d’un loro pezzo. È la rivolta di chi sa cos’è un rivolto.

Di questo e di altro ho parlato col cantante John De Leo e il sassofonista Valentino Bianchi, che guarda caso (o forse no) all’epoca della separazione erano su due fronti opposti (chiedo scusa per la metafora bellica). S’accendono quando parlano del ruolo del gruppo nel 2024. Misurano le parole quando si chiede loro dei motivi della separazione avvenuta tanti anni fa. Forse perché son maschi dell’altro secolo, non si sono ritrovati abbracciandosi e scusandosi e tirando fuori tutto quello che non si son detti negli ultimi vent’anni. Si sono ritrovati e basta.

Possiamo iniziare l’intervista con una dichiarazione programmatica? Questa è una reunion, ma non è roba da nostalgici, perché la nostalgia fa schifo.
John De Leo: Non trovo nulla di nostalgico in questa operazione, forse perché per costituzione sono sconsiderato e quindi (lo dice mettendoci un’enfasi ironica, nda) penso sempre che questo sia il giorno più bello della vita.

Che bel proponimento. Siccome voi Quintorigo non siete i Pooh, ma nemmeno i Litfiba, non posso neanche dire: eh, lo fate perché vi ricoprono di soldi. E allora perché lo fate?
John: Confesso che mentre facevo il mio nuovo disco ho pensato che un paio di brani mi sarebbe piaciuto arrangiarli coi Quattroquinti, cioè con quello che immagino siano diventati loro adesso. Che poi quando dico “loro” mi fa sempre strano perché ci sono inevitabilmente dentro anch’io. Insomma, mi sarebbe piaciuto arrangiarli con loro, misurandoci con qualcosa di nuovo, non con la volontà di ripetere quel che è stato consolidato. L’altro stimolo sono ovviamente i 25 anni di Rospo, un momento importante se non determinante nella nostra storia, nel nostro immaginario. La portammo al festival in Liguria. Anzi, fu quella la molla che ci fece scrivere il brano.

A Sanremo ci arriviamo, ma intanto dimmi: stai facendo un tuo disco?
John: Sì, da sette anni circa… ma ci siamo quasi, eh?

Alleluia. Leggo nel vostro comunicato stampa di una visione del mondo, di un’urgenza che va oltre il discorso musicale. E quindi la presenza dei Quintorigo nel 2024 ha un significato, come dire…
John: Forza, la puoi dire quella parola: un significato politico.

Sì, un significato politico.
John: Guarda, per risponderti ci metterei anni.

Un breve riassunto?
John: Senza fare troppo il saputello, m’è capitato di dover fare un lavoro su Sciascia commissionato da Elisabetta Sgarbi. Non lo conoscevo bene per un pregiudizio politico. Ho avuto modo di approfondire la sua vita e le sue opere e ho capito che talvolta è stato frainteso per le sue posizioni. A quel tempo lui e Pasolini erano considerati lo yin e lo yang. Quando Pasolini morì, Sciascia dichiarò che era stato un privilegio essere stato considerato il suo nemico numero uno e che sentiva la necessità, che non aveva contemplato prima, di alzare la voce, di andare a colmare quel vuoto, quasi a fare le veci di Pasolini. Ora, senza paragonarci a Sciascia o Pasolini, senza fare i paladini di niente e di nessuno, anche noi vorremmo dire la nostra, anche se non è in linea con il linguaggio di regime, per rappresentare un sottobosco che viene schiacciato dal regime.

Aspetta, hai usato la parola regime: non è iperbolica?
John: Per me no, mi pare anzi attinente, parlo di un certo pensiero che si diffonde nel mondo e che ancora attecchisce, un pensiero naturalmente di destra.

Mica viviamo sotto un regime, però, e quindi usare quella parola può essere controproducente.
John: Io non lo so se sia controproducente, so che nessuno usa più certe parole, dunque è il caso di riesumarle, di capirne bene il valore. Vale anche per la parola fascismo, che pare non sia più una parola consona. È una questione politica e anche culturale, le cose vanno a braccetto. Comunque, riprendendo il discorso su Sciascia, anche noi siamo costretti ad alzare la voce per farci sentire. Questo potrebbe essere uno dei motivi per risuscitare oggi i Quintorigo. Aggiungo che è anche questione di entusiasmo, inizialmente intendevamo fare tre date, ma la risposta di vecchi fan e neo curiosi è stata tale da darci la motivazione per farne altre.

Se nel 1999 eravate per così dire rospi è anche per motivi strettamente musicali. Vi sentite ancora così?
Valentino Bianchi: È sempre peggio. Venticinque anni fa eravamo pesci fuor d’acqua, oggi siamo proprio degli alieni. Anche per questo vogliamo divertirci e vedere che effetto fa riproporre quel materiale, tornare in pista nella nostra prima veste.
John: Se posso aggiungere, da fruitore, quando assisto a un qualsiasi atto artistico, che magari può piacere a pochi, io sono contento che possa succedere, non so se mi spiego. Dunque la nostra responsabilità è riuscire a resistere in questo contesto culturale. Ecco un altro motivo per cui potrebbe essere importante questa nostra forma di resistenza.

Dietro ai Quintorigo c’era un pensiero musicale, una cosa di cui oggi sento una gran mancanza.
Valentino: Siamo sempre stati un gruppo da pochi ma buoni, e con un po’ d’immodestia ce lo diciamo da soli. Abbiamo sempre avuto un pubblico ristretto, però colto, curioso, spesso fatto di musicisti e musicofili d’ogni genere. Meglio i pochi ma buoni delle folle oceaniche si pigliano su un po’ di tutto.
John: Oggi avere un pensiero musicale non è solo inutile, è addirittura sbagliato, nel senso che è sconveniente dal punto di vista economico.
Valentino: E non è colpa dei ragazzi questa mancanza di cultura musicale, che però li rende incapaci distinguere ciò che è bello e ha uno spessore da un prodotto di uso e consumo rapido. Non sto dicendo che noi invece siamo chissà cosa, eh? Noi facciamo semplicemente quel che ci viene spontaneo e naturale mettendo a frutto le nostre conoscenze ed esercitando il buon gusto, cosa che a mio avviso qualsiasi artista dovrebbe fare.

Avendolo, il buon gusto.
Valentino: Se uno non ce l’ha, non è un artista.
John: Tanto più che i brani di Rospo e Grigio, i due album che la casa discografica ha deciso di stampare per la prima volta in vinile, a parte qualche eccezione sono fondamentalmente musica popolare, per non dire di intrattenimento. Essendo musicisti di formazione classica e con curiosità verso altri stili ci divertiamo a mettere assieme questi generi e le funzionalità che si portano dietro, ma fondamentalmente queste sono canzoni.

Sono canzoni, ma lontane dal mondo di Sanremo. Eppure ci siete stati due volte. Confessate, qualcuno di voi era imparentato con un alto prelato che vi raccomandava.
John: (Ride) Sicuramente! Da qualche parte ci sarà stato, anche se non lo abbiamo conosciuto…
Valentino: Un tempo c’era l’opportunità di arrivarci da illustri sconosciuti passando per l’Accademia della canzone di Sanremo. La seconda volta, e di questo andiamo orgogliosi, sono stati loro a farci capire che avrebbero gradito la nostra partecipazione perché la prima era stata d’impatto. Nessun cardinale in famiglia.

Peccato, perché era una bella storia. E come vi siete sentiti in quel contesto?
Valentino: John, questa è per te.
John: Era tutto così assurdo che alla fine possiamo dire di esserci divertiti.
Valentino: Vero.
John: Era chiaramente paradossale, ma è anche vero che forse all’epoca c’era meno omologazione di oggi o comunque parallelamente al pubblico di Sanremo esisteva anche, sebbene agli sgoccioli di un sistema politico-capitalistico (ridacchia), esisteva dicevo una grande nicchia di persone curiose che ascoltava un po’ tutti i generi. Dunque, sebbene fossimo decisamente fuor d’acqua, la nostra presenza poteva essere ancora plausibile.

E difatti vi pubblicava una major, la Universal.
John: E i nostri colleghi tutto sommato ci stimavano… o ci schifavano, ma per altri motivi.

Dimmi di chi vi schifava.
John: Non vorrei che passassimo per presuntuosi, ma ricordo di aver sentito più volte l’affermazione al negativo: sono troppo bravi. Come fosse un reato, come se fosse sbagliato.

Forse troppo bravi per arrivare a tanta gente?
John: Perché mai dovrebbe essere così?

Ma voi vi pensavate nicchia fin dal principio o ce l’avevate l’ambizione d’arrivare a tanta gente?
John: È intrinseca nella nostra proposta, che non è velleitaria. È chiaro che abbiamo anche pezzi ostici, la cui funzionalità è altra dal puro intrattenimento, ma molte – ribadisco – erano canzoni. Ed erano canzoni figlie del loro tempo, erano vicine al sentire comune, eravamo ragazzini esattamente come gli altri.

Forse non ragazzini, eravate più verso i 30, no?
Valentino: Ehi, io ne avevo 25! Eravamo un po’ ingenui e provinciali, e forse un po’ idealisti. Pensavamo che la nostra proposta potesse non sfigurare in un contenitore del genere. E così è andata. Dopodiché, come dice John, se coerentemente, onestamente, un artista propone il meglio di sé a un pubblico che sia minimo o massimo, va bene, è giusto. Perché dovrei proporre la mia musica solo a una ristretta cerchia, a un’élite? Perché dovrei lavorare e scrivere per pochi? La nostra idea di pop è questa. E non scordiamo che quando il mondo era una cosa seria, musicisti come Jimi Hendrix a Woodstock suonavano davanti a centinaia di migliaia di persone…
John: Jimi Hendrix voleva fare un disco con Miles Davis.
Valentino: Solo che è morto prima. Il mago della chitarra rock cercava il mago della tromba jazz senza farsi grossi problemi. Ci si incontra. La musica è una.

Ai tempi del secondo album Grigio era cambiato qualcosa?
John: Abbiamo schiacciato il pedale, fondamentalmente.

C’è anche un terzo album del quintetto, che è In cattività, che però non viene ristampato.
John: Ecco, parliamone, deve essere ristampato. (Sussurra) È bellissimo.

Qual è il punto più alto e quale il più basso della storia del Quintorigo con John?
John: Il punto più alto: la possibilità di continuare a fare il nostro tipo di musica. Ci sono artisti che sono schiavi della loro popolarità e dei loro brani che più hanno venduto. Anche noi come tanti abbiamo ricevuto pressioni, ma abbiamo sempre fatto orecchie da mercante, abbiamo cercato di difenderci con le unghie e coi denti. Ma adesso sono curioso di sentire quello di Valentino…
Valentino: Il Primo maggio di fronte a tutta quella gente è un punto alto, è stato emozionante. Ma pensando ai tre dischi, direi Grigio perché è quello più vicino alla forma canzone, forse il più pop dei tre. È un disco che abbiamo dovuto realizzare in tempi abbastanza stretti ed è particolarmente ben riuscito. Il primo ha avuto un’incubazione forse di dieci anni, perché c’è finito quello che erano i Quintorigo fin da ragazzini. E il terzo è stato un esperimento, per certi versi anche una provocazione, una reazione alla discografica che ci voleva ancora più pop.

E il punto più basso?
Valentino: Quando il giocattolo si è rotto per tutta una serie di comprensibilissime esigenze personali e abbiamo continuato sotto altre specie.

Traduco: siete andati avanti senza John.
Valentino: Guarda, io provo ancora un po’ di tristezza, di amarezza, un brivido negativo se ripenso a quando abbiamo deciso definitivamente di prendere due strade diverse.

Il motivo per cui lo avete deciso?
Valentino: Questo non lo puoi chiedere… Comunque non è una questione di donne.

Vi giravano attorno groupie o solo studentesse di conservatorio?
John: Valentino intende che non c’era una Yoko Ono (risate).
Valentino: L’ho buttata sul ridere… C’erano principalmente delle divergenze artistiche. Esigenze diverse. Ritmi di lavoro che non andavano bene a tutti.

Mi sembri un po’ vago. Qual erano le due posizioni che hanno portato alla separazione?
Valentino: Tu che dici, John?
John: Credo che Valentino abbia già detto molto. Se volessimo cogliere la provocazione per intero, e naturalmente io non mi esimo da nulla, diciamo che essendo i Quintorigo come dicevamo una band pop, si sono create nel bene e nel male le dinamiche tipiche del pop, quelle che scardinano gli equilibri.
Valentino: Voglio aggiungere una cosa se posso.
John: Devi.
Valentino: La nostra collaborazione ha sempre avuto una componente dialettica molto accesa ed è un bene perché il fatto che ci scannassimo per un accordo…
John: Ma anche per una nota…
Valentino: Sì, ci scannavamo per una nota e questa cosa ha migliorato la qualità della musica. Quando sei giovane e suoni nei pub, questa cosa ha un impatto modesto sulla tua vita. Diventa più pesante quando la convivenza si fa lunga e forzata, dopo quattro o cinque anni di lavoro intenso si sente il peso del fatto di prendere le decisioni democraticamente alla fine di discussioni sofferte. Sono nate idiosincrasie di uno nei confronti dell’altro. A volte c’è stato qualche momento di fastidio, comprensibile. Forse lo stress. Facciamo così: è stato lo stress.

Dopo tanti anni a suonare a stretto contatto avete iniziato a non sopportarvi, cosa peraltro normale. Si può dire?
John: Si può dire.

Mi pare di capire che c’erano anche divergenze su dove portare il gruppo.
John: A quel punto lì, sì.
Valentino: Forse anche quello.

Tu John volevi portare? E gli altri cosa volevano fare?
John: Le fazioni non erano divise così, le carte erano mescolate tanto è vero che ultimamente sono spesso d’accordo con Valentino e sono anzi molto contento di poterlo dire qui, cosa che non ci diciamo mai. Stiamo facendo coming out, è bello parlarne in questi termini con questa franchezza, lo trovo costruttivo.
Valentino: Vero.

E le fazioni?
John: Io volevo fare qualcosa di meno ripetitivo possibile. Volevo cambiare, cosa che ancora auspico, non lo nego. Non vorrei ricadessimo nella fatica dell’epoca, ma mi piacerebbe fare brani nuovi con tutte le esperienze che in questi anni ci hanno arricchiti.

Questa è una notizia: avete intenzione di fare musica nuova. Intanto state provando, giusto?
Valentino: Stiamo ripristinando il materiale dei primi due dischi. Non stiamo facendo materiale nuovo. Ci sembra il modo più semplice per riallacciare la relazione, poi se tutto funziona come mi sembra sicuramente ci verrà la voglia di scrivere, di registrare cose nuove.

E che effetto vi fa risuonare le canzoni dei primi due dischi?
John: (Ride) Fatta salva qualche ingenuità tardo adolescenziale, a me piacciono da morire.
Valentino: Suonano di brutto.
John: Sarà che siamo vecchi, ma sembrano sempreverdi.

Quante ore ci vogliono per tornare sul palco assieme dopo tanti anni?
Valentino: Quante ce ne vorrebbero o quante ce ne dobbiamo far bastare visti gli impegni di tutti? Forse il rammarico è non poter provare di più, ma abbiamo la maturità e il buon senso per ottimizzare le tempistiche. Finora abbiamo fatto due lunghe sessioni di prove, faremo altre due giornate in un contesto analogo in un club a Cesena con la strumentazione, l’attrezzatura, l’impianto, gli effetti. Per come vengono i brani, potrebbero bastare. Saranno i concerti che ci roderanno. Nel senso di rodare, eh, non di rodere.

Giusto specificarlo. Userete i vecchi arrangiamenti?
Valentino: Fondamentalmente sì, tolta qualcosina che ci è venuta voglia di correggere o cambiare. Non per pigrizia, ma per onestà: vogliamo cercare di riproporre in maniera filologica i Quintorigo di 25 anni fa. Poi ci sarà tempo e l’intenzione di riarrangiare qualcosa.
John: È sostanzialmente la celebrazione di Rospo e di Grigio. In quanto agli arrangiamenti, è stato speso così tanto tempo a suo tempo che crediamo che suonino giusti così. Ci si è lavorato in maniera certosina, ci sembra che suonino ancora come dovrebbero, questo non sottintende che siano belli, diciamo che sono al massimo della nostra potenzialità.

Quando vi siete ritrovati avete parlato apertamente di quel che vi aveva separati?
Valentino: No no, non si fa così. Per usare una metafora, siamo subiti andati a letto senza porci problemi. Due che sono stati assieme per tanto tempo e poi si mollano, quando si rivedono non è che si siedono assieme a un tavolino e aprono il dibattito. Lo sappiamo già quello che è successo. Non c’è bisogno di riviverlo. Non ci sono secondo me nodi insoluti. Abbiamo fatto la cosa più naturale, che per uscire dalla metafora non è trombare, ma prendere gli strumenti e suonare.

Che poi siamo lì. Vi eravate più frequentati in tutti questi anni?
Valentino: Ci si beccava in giro a volte, senza astio, senza problemi. Anzi, forse ciascuno dentro di sé il pensierino di fare qualcosa assieme negli ultimi anni era venuto, di sicuro a me e ai tre che sono con me. Anche se poi non si aveva la forza di alzare la cornetta del telefono e proporlo. Nessun rammarico, però, per quello che non è stato negli ultimi anni.

Valentino, li hai sentiti i dischi di John?
Valentino: Sì, certo.

Come ti sembrano? Mi fai una recensione che poi chiedo a John di parlare dei dischi dei Quintorigo senza di lui?
Valentino: Mi sono piaciuti molto. L’approccio di John è estremamente meticoloso e c’è una ricerca encomiabile di originalità. Sai cosa mancava? I Quintorigo. Dai, questa è una battuta…

John, tocca a te parlare dei loro dischi.
John: Ma io sono commosso dalle parole di Valentino…

Lo vedo che lo sei veramente…
John: Tu non hai idea dell’outing che ci stai costringendo a fare oggi.
Valentino: Io non sono commosso perché sono un cinquantenne con un cuore di pietra, ma ci vado vicino.

John, non vorrei rovinare questo bel momento chiedendoti di nuovo dei loro dischi senza di te, ma lo farò.
John: Orca miseria… Molte cose non mi sono dispiaciute, nello specifico le cose meno pop, mi riferisco ad esempio al progetto Mingus, che credo sia tra le ultime produzioni dei Quattroquinti…
Ecco, io non riesco neanche a chiamarli Quintorigo come se fosse altro da me, per quello che mi fa soffrire.

E quindi li chiami Quattroquinti…
John: Beh, sì. E i Quintorigo siamo noi.

Fino a ieri i Quintorigo avevano un cantante chiamato Alessio Velliscig. È contento di questa reunion?
Valentino: Ma tu non sei un giornalista, sei un torturatore (ride). Alessio è una persona splendida, è uno del mestiere, non ha avuto nulla da ridire, è nell’interesse di tutti che il progetto vada avanti. Dire che cosa c’è nell’immediato futuro è difficile. Abbiamo basse aspettative, certo il riscontro che c’è stato è significativo, non possiamo far finta di niente, abbiamo celebrato il sold out, ci sono state prenotazioni, c’è grande aspettativa sui social. Poteva non essere così. Questo esperimento che al momento è a tempo determinato imprimerà una direzione al futuro, che potrebbe anche essere famiglia allargata con varie collaborazioni. Ma non lo so, eh, sto parlando a braccio. Vedremo.
John: È come dice Valentino: stiamo a vedere.

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