Thom Yorke ha un consiglio da dare al se stesso giovane e irrequieto, quella specie di umanoide di 20 anni che insieme alla sua band ha creato Ok Computer, il capolavoro di fine millennio scorso: «Cerca di essere più positivo, cazzo», dice ridendo. Il frontman dei Radiohead, 48 anni, ha superato da un pezzo il periodo in cui si nascondeva sul tour bus e sfogava il suo dolore e le sue paure nel suo quaderno. Adesso balla sul palco e fa persino il dj nei club.
Al momento è seduto da Little Dom, un ristorante italiano nel quartiere Los Feliz a Los Angeles. Indossa una giacca jeans scolorita con il colletto rialzato, una maglietta bianca e quelli che hanno tutta l’aria di essere pantaloni di pelle. I suoi lunghi capelli sono raccolti in una crocchia, e ha una barba grigia molto stilosa. Ordina un tè, e più tardi berrà anche un espresso. In mano ha un iPhone con un adesivo che riassume la risposta a qualsiasi domanda: FUCK WHAT YOU HEARD. I Radiohead hanno appena concluso il tour in America, suonando davanti a 90mila persone nel secondo weekend del Coachella. Una settimana prima l’impianto audio si è spento due volte durante il concerto, come a Glastonbury nel 1997. Allora Thom era sceso dal palco «pronto a uccidere qualcuno», come ricorda oggi. Al Coachella invece l’ha messa sul ridere: «Mi piacerebbe raccontarvi una barzelletta», ha detto al pubblico, «ma noi siamo i Radiohead, quindi fottetevi!».
L’impianto che salta «è una specie di incubo ricorrente: suoni, dai tutto te stesso, e nessuno ti sente». Ultimamente Yorke ha passato molto tempo ad affrontare gli incubi della precedente versione di se stesso. In occasione del 20° anniversario di Ok Computer ha ripreso in mano i demo, i quaderni dei testi e i suoi diari per cercare qualcosa da inserire nell’edizione deluxe dell’album: «È stata un’esperienza molto difficile. Tornare indietro, rileggere quello che mi passava per la testa in quegli anni, una vera follia». In quei quaderni c’erano testi scritti a mano, istruzioni per usare un inalatore («Non devi farti prendere dal panico»), disegni di aerei, elicotteri, automobili, scale mobili e altri mezzi di trasporto: i pensieri più nascosti di un ragazzo di 27 anni che stava andando fuori di testa dopo aver vissuto su un autobus per quasi quattro anni di fila.
«Ero catatonico. Avevo una sensazione perenne di claustrofobia, mi sembrava di aver perso il senso della realtà». I testi di Ok Computer che parlano di incidenti stradali, aerei che cadono, androidi paranoici e rapimenti alieni, senza contare un robot dalla voce sinistra che dice che gli uomini non sono altro che «maiali in una gabbia di antibiotici» hanno generato nel pubblico una sensazione di inquietudine verso il 21° secolo che stava per arrivare e le conseguenze dell’accelerazione esponenziale della tecnologia, in un momento in cui i cercapersone diventavano cellulari e i computer contenitori di notizie e pornografia. «Avevo la sensazione che si stesse arrivando a un sovraccarico di informazioni, il che è ironico, considerando che adesso è molto peggio».
Raccontavano anche i suoi demoni personali, la fatica di far parte di una band che non si concedeva neanche un attimo di riposo e, più in profondità insicurezze che risalivano alla sua infanzia. Ok Computer è uscito nel 1997, un’epoca in cui la musica era frammentata in una serie di sottogeneri molto diversi tra loro, e il guitar rock sembrava destinato a scomparire (il chitarrista Jonny Greenwood ricorda: «Le rock band sembravano già una cosa vecchia»). In questo contesto, il terzo album dei Radiohead ha assunto un significato: è diventato l’ultimo capolavoro del movimento alt-rock, e un modo per ricordare che esisteva per le band la possibilità di portare avanti l’eredità dei Beatles, usando lo studio di registrazione per costruire dichiarazioni artistiche importanti, usando suoni mai sentiti prima.
«Hanno buttato fuori dalla finestra tutto quello che sapevano. Hanno decontestualizzato e reimmaginato cosa vuole dire essere una band, facendosi guidare dall’urgenza di creare qualcosa di nuovo», dice Michael Stipe. «Avevamo molta fiducia in noi stessi, ed eravamo anche molto stupidi», dice il bassista Colin Greenwood, «forse stupidità non è il termine giusto, era mancanza di esperienza. Quando hai 24 o 25 anni, non sai cosa voglia dire sbagliare, perché pensi di poter fare tutto. È una sensazione fantastica». Ok Computer ha trasformato i Radiohead da band di culto a una delle più importanti rock band del mondo, ma il suo successo, in puro stile anni ’90, ha lasciato Thom Yorke più sconcertato di prima: «Mi guardavo allo specchio e dicevo: “Fai schifo. Tutto quello che fai fa schifo. Non lo fare. Fa schifo”». Per un minuto, Thom si è perso.