Red Ronnie: «Il coronavirus? Un esperimento mediatico per distruggere l’Italia» | Rolling Stone Italia
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Red Ronnie: «Il coronavirus? Un esperimento mediatico per distruggere l’Italia»

WhatsApp che è meglio dei tg, Fidel che fa aspettare il presidente cileno per lui, Bob Marley che gli dice che la ganja va bene in Giamaica, ma non a Londra. Abbiamo fatto parlare a ruota libera il conduttore di ‘Roxy Bar’

Red Ronnie: «Il coronavirus? Un esperimento mediatico per distruggere l’Italia»

Red Ronnie

Foto press

Chi ha vissuto gli anni ’80 e ’90 non può non conoscere Red Ronnie, giornalista e conduttore che vanta, nella sua lunga carriera, almeno tre programmi cult: Bandiera gialla, Be Bop A Lula e Roxy Bar. Nelle sue trasmissioni ha svelato i pensieri e il lato più intimo degli artisti aprendo un dialogo. C’era la fila per il Roxy. Tutti volevano andare negli studi del Centergross di Bologna per esibirsi, ma va anche detto che Red Ronnie ha sfruttato la sua popolarità per fare conoscere alla massa anche artisti meno popolari o esordienti. Poi la musica e la tv sono cambiate, ma Red ha continuato a fare show sul web. Cosa che sta facendo anche oggi con il Barone Rosso, ogni lunedì, dalle 21 alle 24, in diretta su RoxyBar.tv.  

Iniziamo dal Roxy Bar. Perché non l’hai più fatto? Quando TMC2 si trasformò in MTV, sembrava che Campo dall’Orto volesse traghettare lo show sul nuovo canale.
Campo dall’Orto stava bluffando: non poteva tollerare di portare su MTV un programma che aveva sempre battuto MTV. Mi rassicurò dicendo che ci sarei andato perché non cercassi altre reti. Abbiamo avuto degli incontri, poi a settembre non ha risposto neppure alle mail: aveva ottenuto che non avessi cercato altre collocazioni, ma non voleva portarlo su MTV.

Poi, però, hai fatto Yesterday su Rete 4.
Abbiamo fatto due anni di i-Tim Tour, dove si esibivano artisti emergenti come i Negramaro che hanno iniziato lì la loro carriera. Poi feci Yesterday, ma da quell’esperienza non ho più fatto tv.

Come mai?
Ero vegetariano ed erano altri tempi. Avevo rinunciato a fare pubblicità a prodotti dannosi per la salute come carne, latticini e alcol. Ero considerato un alieno. Altri motivi non li so.

Sei sempre stato critico verso i talent show. Ti hanno mai chiamato a fare il giudice?
Ho chiuso immediatamente ai talent e si è saputo subito. Per farti un esempio: Francesco Facchinetti aveva usato mio materiale della sua prima apparizione televisiva su Italia 1. Quando ho fatto presente questa cosa mi ha detto di non farmi alcun problema: mi avrebbero chiamato a X Factor, pagando anche per l’uso del materiale. Ho detto di no. Non partecipo a un talent neanche come ospite. E poi, se dico che sono la rovina della musica, non sarò mai chiamato.

Talent a parte, ci sono giovani che riescono a farsi strada…
Sono molto pochi. È chiaro che se nei talent impedisci ai gruppi di fare musica propria, e in televisione vediamo solo artisti usciti dai talent, rimane ben poco spazio. Poi ci sono fenomeni come Mannarino, di grande successo. Ma ogni volta che muore un grande artista come Lucio Dalla, De André o Pino Daniele ci si chiede chi li sostituirà.

Non ci sono?
Ai nuovi Dalla, Daniele e De André non è permesso esprimersi, neanche dal vivo. Mentre i cantautori nascono dai live, dalle Feste dell’Unità. Oggi nei locali ci va solo chi fa cover e chi è famoso.

È per questo che ti amareggiò molto quando la giunta Pisapia tolse il tuo LiveMI, dedicato ai nuovi talenti?
Fui aggredito da una campagna mediatica pazzesca, avevo un post contro di me ogni secondo. Dall’America mi chiamavano chiedendo cosa stesse succedendo. Avevo detto semplicemente che mi dispiaceva che Pisapia avrebbe cancellato LiveMI. Il fatto che abbia avuto ragione poco conta.

Forse questa aggressione mediatica era dovuta dal fatto che qualcuno pensava fossi vicino alla destra…
Non sono né di destra né di sinistra, sono anarchico, ma avevo trovato qualcuno che dava delle opportunità, come la Moratti, con la quale feci il Museo Rock’n’Music Planet, 800 mq in Piazza Duomo per sei mesi. Con l’avvento di Pisapia – della sinistra che si arroga il diritto di essere l’unica a dare spazio alla cultura – è stato cancellato tutto per fare i soliti concerti di quelli che piacciono a loro come Capossela e Bregović. Bravissimi artisti, ma ce ne sono molti altri. La Moratti mi ha permesso di fare operazioni musicali con artisti giovani e di portare a Milano il museo del rock. A Bologna, che è la mia città, hanno dichiarato che l’avevo tradita, quando è dal 1990 che propongo una mostra, un museo e non mi hanno mai dato uno spazio. Purtroppo la cultura, in mano agli assessorati di sinistra, funziona che ci sono dei soldi e si chiamano cortigiani e collusi. Non chiamano chi ha competenze. Quando ho venduto a Christie’s parte delle mie memorabilia, mi hanno dedicato un’intera pagina del catalogo, per spiegare la mia storia, per comprendere come mai avessi quella che era considerata la più grande collezione privata al mondo.

Ok, ma perché se la sono presa così tanto con te per la collaborazione con la Moratti?
Perché le davo credibilità. Quando hanno fatto il negoziato politico per farla fuori – anche partiti che, in teoria, dovevano appoggiarla – mi hanno offerto di svincolarmi dalla Moratti.

E tu?
Ho voluto mantenere un impegno preso. Per questo mi hanno punito.

Ti hanno accostato alla destra anche perché, ultimamente, ha rilasciato dichiarazioni su Salvini su diversi temi, anche sui migranti.
Non ho mai difeso Salvini sui migranti. Però non sono molto convinto che l’Europa faccia i nostri interessi. E lì dicono che sono sovranista anche se questo termine, guarda caso, è sparito.

Però Salvini è venuto anche al Barone Rosso.
Ho invitato Salvini perché era a Bologna e visto che, tra tutti i politici che conosco, è l’unico che ama la musica, acclarato anche dalle citazioni che fa. Doveva rimanere 10 minuti per vedere com’era il programma, ma non voleva più andare via. Prima di Salvini, per due anni, ho invitato il ministro Franceschini e non è mai venuto. Il mio scopo è aiutare la musica. E ci si è resi conto solo recentemente, con il coronavirus, delle proteste dei musicisti. Quando si fanno dei decreti dove le richieste della musica vengono ignorate e si pensa al monopattino elettrico, significa che musica e cultura non interessano ai politici. L’unico che ha proposto una legge per costringere le radio a trasmettere musica italiana e di artisti emergenti è stato Alessandro Morelli, della Lega.

Con Paul McCartney. Foto per gentile concessione di Red Ronnie

Che idea ti sei fatto sul coronavirus? Com’è stata gestita la comunicazione?
Sono contro le fake news e quindi sono contro le notizie di telegiornali e programmi tv. Quando un virologo si presenta i primi di febbraio e dice che il coronavirus non sarebbe arrivato in Italia, continuando a pontificare, deve sparire dai radar. Questo ha portato a uno stravolgimento della comunicazione che non è più nei tg.

Onestamente, se ti riferisci a Burioni, non disse che il virus non sarebbe mai arrivato in Italia: era una delle possibilità, non una certezza. In quel momento, forse, non era ancora presente nel nostro Paese. E poi, se tg e tv, non sono attendibili, dove sarebbero le notizie non fake? 
Su WhatsApp, su internet. Sono fioriti esperti e complottisti, se vogliamo usare questa parola tanto cara al mainstream, che hanno avuto il merito di allontanare la gente dalla tv dei telegiornali faziosi ed edulcorati. Le informazioni che passano su WhatsApp non vengono minimamente considerate da virologi importanti, come è successo a Luc Montagnier che è stato ridicolizzato.

In realtà internet e WhatsApp sono la fucina delle notizie non attendibili, quindi vorrei capire qual è la base del tuo ragionamento. Perché ci avrebbero dovuto dare tante fake news?
Lo scopo era gettare l’Italia nella paura: le uniche notizie erano bollettini di guerra, tutti i giorni, senza considerare che un virus si combatte alzando le difese immunitarie. E gli unici due modi per alzarle sono non mangiare carne e latticini e non avere paura. La paura abbassa le difese immunitarie. Sono vegano dal 1995 e da allora non mi ammalo. Quindi non ho paura di prendere il coronavirus. È un esperimento di comunicazione mediatica per distruggere il nostro Paese e svenderlo. Abbiamo i più bei paesaggi che ci sono, arte, cultura, cibo, tutte cose bellissime che fanno appetito ai poteri che hanno denaro. Stiamo svendendo la nostra penisola con la disoccupazione, complici i politici che sono al governo.

Come si può risolvere questa situazione?
Essendo positivi, mangiando bene. Il numero dei morti è impressionante. Come mai hanno impedito di fare le autopsie? Come mai, quando hanno fatto le autopsie, si sono resi conto che intubare le persone è un errore e le uccide? Ci sono grandi responsabilità, ma adesso usciamo da questo argomento: qualcuno dovrà rispondere di queste cose.

Ok, voltiamo pagina e parliamo di musica: sul tuo sito ho visto le foto con i grandi della musica che hai intervistato. Chi ti manca?
Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, Elvis Presley e Michael Jackson.

Quale artista ti ha colpito maggiormente?
Nessuno. Per me sono tutte uguali. L’intervista che mi ha colpito di più è quella di un pittore, William Congdon.

Come mai?
Era uno spirito che stava per abbandonare questo pianeta e voleva lasciare una testimonianza che ho trovato splendida.

Con David Gilmour e Nick Mason dei Pink Floyd. Foto per gentile concessione di Red Ronnie

Con le star come ti rapporti?
Come persone che hanno fatto cose molto importanti nella musica, ma il mio approccio è sempre stato molto sereno. Per questo al Roxy Bar ho mescolato gli artisti importanti con quelli più giovani. Quando Nadio Delai, allora direttore di Rai 1, mi chiese di portare il programma sulla rete che dirigeva, gli dissi che lui non voleva il Roxy Bar.

Cosa voleva?
Artisti che in Rai non andavano, come De Gregori, o che da me venivano gratis, come Morandi. E poi gli ho detto che, se avessi fatto il Roxy Bar su Rai 1, sarebbe andato a vedere quali artisti facevano meno audience. Il mio concetto, invece, è che ci sono le star, ma anche i giovani.

D’accordo, ma ci saranno state star della musica che ti sono rimaste impresse.
David Bowie perché voleva essere intervistato da me e gli ho portato Lindsay Kemp in camerino. Oppure George Harrison che, mi ha detto la moglie Olivia, pensava che l’intervista con me fosse la migliore. Il manager di Paul McCartney mi chiese di visionare alcuni miei video perché aveva sentito che quello che facevo era bello. Gli ho detto che avrei potuto fargli vedere quello in cui do la chitarra acustica in mano a Keith Richards. Pensava che Richards me l’avesse tirata dietro, non credeva possibile che, invece, l’avesse semplicemente suonata. Mi domandava come avessi fatto.

Ti sei dato una spiegazione per questa sintonia con gli artisti?
Probabilmente erano in Italia, erano più rilassati e il mio approccio era normale. Semplicemente li facevo esprimere. Quando intervistai Paul McCartney aveva appena rilasciato dichiarazioni su George Harrison che avevano destato scalpore. I discografici ci vietarono di fare domande su quell’argomento. Chiesi di essere l’ultimo a incontrare McCartney in modo che, nel caso si fosse indispettito, non avrei messo in difficoltà i giornalisti dopo di me. Gli feci la domanda su Harrison e lui fu felicissimo: poteva chiarire. Stessa cosa con Bob Marley.

Cioè?
Ricordo che tutti i giornalisti si presentarono con la maglietta di Bob Marley, io con quella dei Ramones. Gli chiesi perché diceva «I love Selassié» (imperatore d’Etiopia dal 1930 al 1936 e dal 1941 al 1964, nda) che aveva anche ucciso degli studenti che protestavano, aveva fatto repressione. Lui mi disse: «Tu sei italiano? Quindi sei mafioso, mangi solo pizza?». Mi invitò a non ascoltare mai i giornali. Poi volle un’altra domanda: mentre gli altri gli leccavano il culo, con me aveva un confronto. Chiesi perché esaltava la ganja. Mi spiegò che prendere la ganja, che nasce in Giamaica, e portarla in una metropoli come Londra era pericoloso perché non è nel suo habitat naturale, come la cocaina dalle montagne della Bolivia. Lui usava la ganja perché era giamaicano e veniva dalla sua terra.

Altri artisti che hanno voluto dire la loro?
A Yoko Ono chiesi: «Ti rendi conto di essere la donna più odiata della storia del rock?». La sua manager fece per alzarsi, ma Yoko l’ha gelata con lo sguardo. Mi disse che lo sapeva, che se ne rendeva conto. Non è vero che gli artisti non vogliono rispondere: molte volte i cortigiani sono più censori del re.

Qualche piccola soddisfazione?
Quando conducevo Be Bop A Lula il promoter di George Michael mi disse che l’artista voleva essere intervistato da me. Gli feci notare che non ero in onda, ma non gliene importò nulla: Michael avrebbe accettato di fare interviste in Italia solo se lo avessi intervistato.

Come mai?
Gli avevano parlato bene di me Simon Le Bon e Boy George. Avevo una credibilità, non leccavo il culo e non cercavo lo scoop: c’era un dialogo. Mi interessava entrare dentro una persona, dargli la possibilità di esprimersi.

Con David Bowie. Foto per gentile concessione di Red Ronnie

Prima hai detto di aver portato Lindsay Kemp nel camerino di David Bowie. Spiega un po’…
Kemp ha insegnato a Bowie la teatralità. Sono stati anche amanti. Quando era a Bologna mi disse che soffriva molto perché non aveva più potuto incontrare Bowie. Così, quando Bowie mi accordò un’intervista, chiesi a Lindsay di venire con me, senza assicurargli nulla: non volevo fare forzature.

Che successe?
Tutto l’entourage di Bowie quando ha visto Lindsay è andato in sbattimento. Alla fine dell’intervista dissi a Bowie che, fuori dal camerino, c’era Kemp. Lui, come sospettavo – e quindi i cortigiani andassero affanculo! – si illuminò, lo fece entrare e, molto rispettosamente, li ho lasciati soli. Ripresi solo Lindsay, nel backstage, mentre ballava felice come un bambino.

Vedo che hai pure incontrato Grace Jones.
Ha sconvolto tutti: le dissi che non aveva problemi a mostrare il suo corpo. E lei, per tutta risposta, mostrò le tette. Il discografico chiese cosa stesse facendo. Lei lo guardò domandando: «Qual è il problema?». Ti rendi conto di quanto gli artisti siano condizionati da entourage che, molte volte, sbagliano i rapporti.

E poi ci sono i tuoi amati Duran Duran.
Loro li intervistai perché mi piacevano musicalmente, siamo diventati amici e mi hanno permesso di girare tutto quello che facevano. Nick Rhodes dice che possiedo il footage più importante al mondo della band. E pensare che, quando chiesi di intervistarli, la responsabile EMI di Londra, mi disse che erano finiti.

Ah sì?
Disse che il primo singolo Planet Earth era andato benino, ma il secondo, Careless Memories, non aveva funzionato. Li volli incontrare lo stesso, ci divertimmo tanto, ma quando l’anno successivo tornai a Londra per richiedere un’altra intervista, la stessa responsabile mi disse che era impossibile: erano la band più famosa del mondo.

E tu?
Mi feci portare da loro, anche se la promoter era convinta non mi avrebbero considerato. Quando arrivai negli studi della BBC c’erano ragazzine che urlavano e stavano rompendo i vetri. I Duran Duran riuscirono a divincolarsi e, quando mi videro, mi fecero una grande festa, mi chiamarono in camerino, invitandomi al loro live. Mi hanno pure permesso di filmare l’intero concerto italiano nell’87.

Dei loro rivali Spandau Ballet, invece?
Il rapporto con loro è nato e si è consolidato soprattutto con Tony Hadley. Li ho chiamati a Domenica In, convincendo la Carrà a farli esibire dal vivo. Recentemente mi hanno chiesto materiale per il documentario Soul Boys of the Western World dicendo che era il più bello.

Hai pure intervistato Fidel Castro.
Nel periodo in cui non ho fatto programmi tv in Italia, perché non mi era permesso. Il Roxy Bar era l’unico programma italiano trasmesso dalla tv cubana perché ritenuto altamente culturale. Ero molto amico del ministro della cultura, Abel Prieto, frequentavo Cuba, e una sera mi hanno portato da Fidel dicendomi che avrei dovuto conquistare l’intervista. Ero con un regista, di cui non ricordo il nome, e Gabriel García Márquez. Poco prima della cena chiesi l’intervista al Comandante sottolineando che il mio programma andava in onda sulla tv cubana. Lo sapeva e mi chiese se lo rubavano o glielo davo io. Affermai che glielo regalavo e lui disse che mi erano debitori. Il giorno dopo organizzammo l’intervista. Ha fatto aspettare il presidente del Cile, per parlare con me.

Con Pavarotti, gli U2 e Brian Eno. Foto per gentile concessione di Red Ronnie

Arriviamo a tre persone cui eri molto legato ai tempi del Roxy Bar: Pavarotti, Vasco e Jovanotti.
Ho portato la musica classica al Roxy Bar con Andrea Griminelli. Un esperimento cui non era abituato: il pubblico doveva conquistarselo. Dopo il primo Pavarotti & Friends Luciano fu scottato perché contestato per l’esibizione in playback. Andrea Griminelli mi mise in contatto con lui – la personalità musicale più conosciuta al mondo – che voleva una mano. Incontrai Luciano e gli posi delle condizioni.

Quali?
Che se voleva fare l’antitesi della lirica doveva fare il rap con Jovanotti sulla Mattinata di Leoncavallo. Poi gli proposi di venire a cantare al Roxy Bar. Lui non aveva mai cantato in programma tv, di solito riprendevano un suo concerto. Il giorno che Pavarotti si esibì al Roxy Bar c’era Nicoletta Mantovani che stava con lui, ma nessuno lo sapeva, Gianni Morandi con la figlia Marianna e Biagio Antonacci che si erano appena messi insieme. Così come Jovanotti e Francesca. Immagina lo scoop che avrei potuto fare se avessi ripreso, ma non l’ho fatto. Ho filmato, però, quando Pavarotti e Jovanotti sono andati al ristorante e si sono messi d’accordo.

Hai poi continuato a collaborare con Pavarotti.
Ci siamo messi in contatto con Simon Le Bon e i Cranberries. Luciano voleva Bono e siamo volati a Dublino negli studi di Bono. Lì ho intervistato Pavarotti e gli U2 che al Pavarotti & Friends avrebbero portato la canzone inedita Miss Sarajevo. Pavarotti era strepitoso.

Che mi dici di Vasco?
Siamo amici da quando eravamo concorrenti in radio. Entrambi abbiamo ricevuto il premio per le migliori emittenti libere ad Alassio. Ci fu un periodo in cui stavamo spesso insieme, gli ho fatto i primi video e gli ho procurato il regista Peter Christopherson, ex membro dei Throbbing Gristle, per quelli di C’è chi dice no e di Liberi liberi.

E di Jova?
Gli ho dato il primo Telegatto a Vota la voce. Siamo diventati amici, veniva a dormire a casa mia, io andavo da lui, gli ho fatto fare pace con Vasco Rossi. Dopo aver ascoltato Una tribù che balla il Blasco disse «Oh, finalmente qui nasce Jovanotti». E fu disposto a dirlo proprio sul palco di Vota la voce. Diede un credito a Jovanotti quando ai concerti di Vasco Rossi i fan dicevano «Chi non salta Jovanotti è!», per la canzone Vasco.

Li vedi ancora?
Vasco lo vedo ogni tanto. Jovanotti non viene a un mio programma da otto anni, non so cosa stanno facendo, cosa pensano, cosa amano.

Con Vasco Rossi. Foto per gentile concessione di Red Ronnie

Chi è nei tuoi radar oggi?
Edoardo Bennato e artisti giovani. Ci sono tante cantautrici come Micol che suona l’arpa rock. Il cantautorato femminile sta sfornando cose pazzesche. Questo coronavirus ha segnato una svolta storica. Voglio dare spazio ad artisti che non ti aspetti come Gigi D’Alessio, Massimo Varini o Elisa che sperimenta. Oppure invitare Giuseppe De Donno che con il plasma sta guarendo dal Covid-19. Il problema di oggi è che non c’è più la curiosità di ascoltare ciò che non si conosce. Chi guarda il mio Barone Rosso lo fa indipendentemente da chi c’è. Sono incuriositi.

Chi, tra gli artisti di oggi, ha potenzialità per restare?
Non saprei, purtroppo i talent hanno abituato le persone a fare le classifiche. Il mondo dei radio, dei media e della tv sono appannaggio di cantanti senza molta identità. C’è stata una strategia che ha tolto potere alla musica dopo il Live Aid.

Perché?
Aveva si metteva a rompere i coglioni con la cancellazione del debito.

E come avrebbe perso potere la musica?
L’hanno resa gratuita e hanno cambiato gli idoli: i calciatori al posto dei cantanti. Non è che si dice «Che dichiarazione illuminante che ha fatto quel calciatore!». È incredibile trovare ragazzi che fanno musica valida.

Perché incredibile?
Perché nonostante non ci sia spazio continuano a fare musica. La musica che ascolto oggi è tutta bella, perché tutti credono in quello che fanno. Chi fa musica oggi, visto che non si diventa più ricchi, ci crede davvero. Non ci sono più perditempo. E mi viene la frustrazione: io do loro spazio, ma le radio no.

Per quale motivo?
Le radio trasmettono solo brani di cui posseggono le edizioni musicali. Ci sono dei conflitti di interesse pazzeschi. C’è parecchio caos e corruzioni. In più la qualità tecnica è pessima. Prima c’era il vinile, poi i cd e adesso gli algoritmi che non ti aiutano a scoprire cose nuove. Sono servili e danno solo quello che potrebbe piacerci.