Naturalmente controcorrente, provocatrice per vocazione, cantautrice simbolo degli anni ’80 che le hanno regalato il successo, quello vero. Rettore non ha mai smesso di immergersi nella modernità e di pensare al futuro. Ogni tanto, però, è giusto guardarsi anche indietro ed ecco arrivare Dadauffa. Memorie agitate, la prima autobiografia di Dada (come la chiamano tutti). Soprannome dolce, per un carattere tutt’altro che tenero, pronto a non mandarla a dire e a imporre il proprio pensiero. Ma è proprio questo il bello di Donatella (sì, lo so, non va chiamata così, ma solo Miss Rettore): essere sempre se stessa, non perdere mai l’identità. Così come i suoi brani cult Kobra, Splendido splendente, Lamette, Di notte specialmente, Io ho te, Donatella, che continuano a fare parte dell’immaginario musicale italico. Rettore, da Castelfranco Veneto con furore, ha fatto anche tanti altri pezzi, magari meno passati dalle radio o dalle tv, ma con degli spunti nuovi che andrebbero ripescati come Konkiglia, Caduta massi o L’onda del mar. Facciamo con lei un giro tra i ricordi.
Nel libro dici di aver pagato il non esserti tenuta un sassolino nella scarpa…
Sono un po’ la principessa sul pisello. Mi dà proprio fastidio il sassolino, me lo tolgo, ma poi pago le conseguenze.
In Dadauffa parli anche della malattia con ironia.
E distacco: non voglio che diventi un problema, non ci voglio pensare più.
Racconti anche di non pensare molto alla morte.
Io ci penso sempre.
Ma inizialmente no, hai iniziato a rifletterci dopo, non quando eri malata.
Sin da piccola ho pensato alla morte. Vivevo vicino all’ospedale e, ogni tanto, andavo pure all’obitorio a vedere i morti. Mi rendevo conto che tutti, prima o poi, saremmo finiti lì. Sono sempre stata molto cosciente di questo, della nostra fragilità, che la vita è un passaggio. Noi siamo un bel mistero, non sappiamo dove viviamo e dove andremo.
Ti definisci anche una sopravvissuta, visto il destino dei tuoi fratelli.
A parte mia sorella, che è morta soffocata per omissione di soccorso, gli altri nascevano e, non si sa come, per incuria morivano. Allora nascevano tanti figli, non c’era la cura di adesso che ne nascono di meno.
Quindi hai tirato fuori un carattere niente male…
Mi sono resa conto che, alle mie compagne, non veniva chiesto di fare certe cose perché il carico era distribuito tra fratelli. Io dovevo fare per quattro, per due maschi e due femmine. Invece volevo fare per me. Insomma, sono sopravvissuta.
E sei arrivata a cantare negli oratori con i Kobra, la tua prima band.
Gli oratori li chiamavamo i pidocchietti, spazi che non ci sono più per i ragazzi di adesso. Ora devono inventarsi i capannoni e i rave, che non sono salutari. Noi avevamo il sagrato e il campo da calcio della chiesa, il cinema dove vedere i film, dai cartoni ai musicarelli.
Hai parlato di rave. Che ne pensi della legge di cui si è discusso molto?
La possibilità di aggregarsi, ai giovani, bisogna darla non sono la notte, ma anche il pomeriggio. Da noi c’era, ad esempio, il bar Zatti con il biliardo, il ping pong… era frequentato da un sacco di giovani. Il pomeriggio eravamo tutti lì. Io ho iniziato a tre anni a mettere le 100 lire dentro il jukebox.
Scommetto che mettevi i Rolling Stones.
Hai voglia! E poi ero una rompicoglioni. Mi dicevano: “Ancora? Sempre questo pezzo?”
Restiamo sui Rolling Stones… cos’è successo per colpa di Mick Jagger?
Sono finita in collegio. Leggevo sempre le riviste Giovani e Ciao 2001. Giovani metteva i concerti che sarebbero avvenuti, e la lettera per partecipare ai concorsi Voci Nuove di Ravera. Potevi comprare i biglietti per i concerti tramite loro.
E tu?
Mi ero comprata i biglietti per il Palalido e quello del treno per andare a Milano. Dovevo vedere Mick Jagger.
Ce l’hai fatta?
No. Ho lasciato un biglietto dicendo che sarei andata vivere con Mick Jagger: era la mia vocazione. Mia mamma chiamò in stazione, arrivarono i carabinieri e mi chiesero il documento. Risposi che non ce l’avevo e che stavo aspettando mia zia. Alla richiesta del mio nome replicai che mi chiamavo Giusy. Loro domandarono: “Sicura di non chiamarti Donatella?”. E io: “No no”. Poi mia mamma arrivò nella stazione di Castelfranco Veneto, mi strappò il biglietto del concerto e me ne disse di tutti i colori: “Come ti permetti di farmi prendere un colpo? Vuoi andare da Mick Jagger? Ti dico io dove vai: dalle suore ad Asolo”.
E ci sei andata davvero, dalle suore, ma odiavi le uniformi.
Porca miseria! Mi avevano fatto il corredo: io ero la numero 2.
C’era una suora che ti metteva in castigo.
Due, la direttrice Suor Pier Tarcisia e la sua vice, Suor Valfrida. Erano una peggio di quell’altra… di una cattiveria. La madre badessa, invece, era favolosa.
Racconta un po’…
Era dolcissima, religiosa, mi guardava e mi chiedeva se andassero di moda le gonne corte. E io: “Eh sì, madre: è venuta fuori una signora che si chiama Mary Quant”. Lei si informava da me, che sapevo tutto quello che succedeva a Milano e a Londra.
A proposito di suore, hai visto che Suor Cristina ha lasciato l’abito?
Ma vaaaaa, quella mi è sempre stata sulle palle in una maniera… non ha mai avuto la vocazione.
Torniamo a parlare di te. La tua prima chance te l’ha data Carlo Croccolo. Ma è stato complicato.
Mia mamma non mi aiutava, ma Croccolo mi fece fare la prima audizione. Ho cantato nella basilica sconsacrata di Sant’Eufemia. Il provino l’ho fatto per la EMI con Corrado Bacchelli, futuro producer di Alan Sorrenti. Ero piccolissima, mi videro un po’ giovane. Poi mandai il nastro a Gianni Ravera per partecipare a Castrocaro. Mi rispose un po’ tardi dicendomi: “Le dispiacerebbe se, invece di Castrocaro, farà Sanremo Giovani?”. E io: “No no”.
Come andò la prima esperienza sanremese col brano Capelli sciolti?
Andavo ancora a scuola e fu una toccata e fuga. Eravamo io, mamma e le mie due zie. Al Festival c’erano Claudio Villa, Corrado, la Zanicchi che vinse con Ciao cara come stai?. Ero abituata a vederli in tv e mia mamma mi diceva: “Non montarti la testa”. Ma chi se la montava? E poi la notte russava e pensavo: “Questa non mi fa dormire”.
Il successo arriva, però, prima in Germania.
La Produttori Associati fece un contratto con la Telefunken Decca e il direttore generale Wolfgang. Cantavo Lailolà e La Berta. Feci successo.
In quel periodo c’erano i problemi alimentari, se non sbaglio.
Mangiavo per compensare. In Germania vedevo gli altri che mi amavano, ma io non amavo me stessa. Nel giro di un anno e mezzo iniziai a perdere peso. E adesso c’è l’altra trasformazione.
Quale?
Il nostro fisico cambia ed è arrivato l’autunno, con i suoi colori.
Le tue canzoni sono anche state di denuncia, femministe, contro il patriarcato. Penso a Oh Carmela.
Ma anche Lailolà è la liberazione sessuale femminile. Il mio corpo è il mio e me lo gestisco io. Tuttora deve essere così.
E invece?
Abbiamo fatto tanti passi indietro, tante rese, l’oscurantismo c’è ancora. Il politically correct è per toglierci le cose che abbiamo acquisito non senza morti e feriti. Invece io lotto per l’eutanasia e il testamento biologico. Non ho chiesto di nascere, ma voglio morire in santa pace, non che qualcuno decida di mantenermi in vita anche se non lo voglio.
Nel libro dici la tua sulle donne al potere, che ce ne sono state poche. Come vedi il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni?
Non la vedo male. Credo che, come donna, abbia tutto il mio appoggio morale.
Per cosa?
Per riuscire a fare quello che non hanno fatto gli uomini che, tra i vari compromessi storici, hanno distrutto la sinistra. Faccio gli auguri a Bonaccini, ma la prima cosa che deve fare è distruggere questo PD che non sa di nulla, che sa di muffa. Magari facesse risorgere un bel Partito Comunista Italiano. Ci deve essere il centro, la sinistra e la destra, o solo destra e sinistra. Punto. Basta con mezze verità e mezze bugie. I giovani non amano la politica.
Tu la amavi?
Mi interessavo, leggevo Marx, mi facevo anche due maroni, ma volevo capire.
Firmasti pure contro Occhetto quando voleva abolire il nome Partito Comunista.
E infatti avevo ragione. Non volevo si levasse la dicitura Partito Comunista Italiano, perché poteva nascere tanta fuffa, che è venuta fuori tutta.
Ma è vero che hai rifiutato di partecipare all’Eurovision?
Avevo molto successo nelle tv della Germania, ma dovevo avere la nazionalità tedesca. Per mia madre sarebbe stato l’ennesimo tradimento, per cui non lo feci.
Ma che succedeva quando gli artisti italiani andavano in Germania e trovavano una connazionale?
Lucio Battisti mi disse: “Ti devo conoscere?”. E io: “No, no, in Italia non sono nessuno”. Ma ero prima in classifica in tutta Europa, non solo in Germania. Evidentemente i discografici italiani non credevano in me, i tedeschi ci hanno investito e lavorato.
L’anno della svolta?
Il 1977. Mi videro quelli della casa discografica Ariston dove c’era la Vanoni, Iglesias… Mi convinsero ad andare e non sbagliai.
Si parla sempre delle tue hit, ma c’è qualcosa che non si sa, magari dei tuoi album?
Dopo Mina sono quella che ha venduto più 45 giri in Italia. Piacevo ai giovani.
E infatti eri “abbonata” al Festivalbar di Vittorio Salvetti, di cui eri grande amica.
Quando feci Sanremo con Ravera il Festival era prodotto anche da Gigante e Salvetti. Erano il Trio Lescano della musica italiana.
Cosa pensi del Festivalbar che non c’è più?
È sicuramente una perdita, ma era legato ai jukebox. Magari possono inventarsi i festival di Amazon o Spotify.
Ma Vittorio Salvetti, secondo te, è stato abbandonato dagli amici?
Non lo so, può darsi, ma lui era un’anima libera. Questo accade nel mondo degli esseri umani, non aveva tanti amici e si fidava anche poco. Al suo funerale mi aspettavo ci fosse il mondo della musica, perché lui ha aiutato tantissima gente. C’eravamo solo io, Red Canzian, Claudio Cecchetto, Gerry Scotti e Amadeus. Loro avevano un grandissimo rapporto con lui.
Quindi tanta ingratitudine.
Non lo so, lui ha fatto spazio a tanta gente, ma non voglio fare nomi. Solo mi sarei aspettata il mondo fuori dalla chiesa. Tanti devono a Salvetti il loro successo, la loro barca e la villa con piscina. Invece non si sono sentiti di stargli vicino. È un mondo ingrato e ingiusto.
Torniamo a Sanremo. Ma è vero che Kobra doveva partecipare in gara?
Volevano andasse, ma non me ne poteva frega’ de meno. Avevo avuto un gran successo con Splendido splendente. Andare a Sanremo nell’80 non era come andare adesso.
Cioè?
È sempre stata una rogna infinita: trucchi, trucchetti, trucchettini. La discografia era in un periodo molto florido: avrei fatto Festivalbar, Saint Vincent, la Villa d’Oro, c’erano molte manifestazioni.
Nel libro parli di censura su Kobra, per ovvi motivi. Però Pippo Baudo ti fece cantare Gaio a Domenica in.
Evidentemente non l’ha capita (ride). Delle volte ammaliavo per i miei look, la mia immagine. Ma quando portai il video di Benvenuto questi non hanno ascoltato minimamente il pezzo e l’hanno preso come sigla. Poi quando hanno letto il testo c’era chi mi diceva: “Oddio, perdo il lavoro!”. Cambiarono canzone e usarono la mia Estasi come sigla di Discoring.
Poi hai lasciato l’Ariston per la CGD.
Mi hanno fatto lasciare l’Ariston. Sono stata una stupida, a 27 anni dovevo sapere a cosa andare incontro. In realtà dovevo andare con la CBS. Invece – per non so quali magheggi – hanno fatto andare la Bertè in CBS e me alla CGD, ma entrambe stavamo benissimo dove stavamo prima.
Chi è stato l’artefice di questa cosa?
Roberto Vanè, che infatti non è citato nei ringraziamenti.
Come andò in CGD?
Il secondo giorno gli ho lasciato l’assegno, l’orologio che mi avevano dato, la sciarpa che mi avevano regalato. Dissi loro che mi ero sbagliata e di ridarmi il contratto. Ma non me lo ridiedero.
E da lì tante porte chiuse.
Mamma mia! E non solo…
Ah no?
Persi la Germania, persi la Francia, persi l’Inghilterra, l’Olanda… tutti i Paesi del Nord che avevano lavorato bene con Ariston. E non riuscirono neanche a recuperarli. In Italia funzionavano solo i Matia Bazar.
Un trattamento simile l’ha avuto anche Giuni Russo, con la quale hai duettato in Adrenalina.
Lei è stata lanciata dalla CGD e aveva un’altra motivazione.
Vale a dire?
Si sentiva primadonna. In Ariston mi sentivo la figlia prediletta. Giuni si sentiva primadonna, invece la primadonna era Loredana e questo non andava giù né a lei né alla CGD. Fu il motivo per cui Loredana se ne andò via.
Loredana Bertè se ne andò via dalla CGD per Giuni Russo?
Sì, c’era animosità.
E tu con Giuni come ti trovavi?
Benissimo. Facevamo i gorgheggi nei bagni. Prima li facevo con Antonella Ruggiero dei Matia Bazar, quando stavo in Ariston. Poi con Giuni. Ci siamo molto divertite.
Converrai con me, però, che un’artista come Giuni Russo è stata messa un po’ all’angolo e non ha avuto le occasioni che meritava.
Non le erano proprio date, ma ha avuto Battiato che l’ha amata e adorata.
Torniamo a Sanremo. Finalmente ci hai fatto pace, tu che non lo amavi particolarmente.
Perché è cambiato Sanremo, non perché sono cambiata io. Anche se quest’anno stanno cercando di farlo tornare quello che era prima. E sbagliano.
In che senso?
L’armonia creata con gli artisti negli ultimi Festival era una goduria. Non c’erano manager e uffici stampa che si mettevano in mezzo. Parlavamo tra noi artisti. È stato bellissimo. Quest’anno ci saranno di nuovo gli uffici stampa, invece sai che bello era ritrovarsi in camerino insieme? Ci scambiavamo l’acqua scrivendo i nomi sopra per non confonderci, non c’era acredine, era una cooperativa, ci davamo una mano l’un l’altro in un liquido amniotico che si chiamava musica. Ci davamo consigli. Andavamo al missaggio per vedere come si sentiva. Ci si aiutava. Adesso metteranno bocca il solito discografico e il solito ufficio stampa e si perderà l’armonia.
La scorsa edizione eri in gara con Chimica. Come ti sei presentata?
È stato divertente, perché Ciao Ciao era scritta per me.
Ah.
Amadeus mi aveva invitato e gli ho mandato il pezzo cantato da Veronica della Rappresentante di Lista perché aveva fretta di sentirlo. Lui ha detto: “Ma io questa canzone la voglio cantata dalla Rappresentante di Lista. Tu cerca un altro pezzo”. C’era questa ragazza romana, Ditonellapiaga, con Chimica, un brano carino e un po’ maliziosetto. Anche se non diceva “culo” come Ciao Ciao. È andata così.
Ma non ho capito: Ciao Ciao dovevi cantarlo insieme alla Rappresentante di Lista?
No, da sola. È cambiato qualcosa, non c’era il verso “romperemo tutte le vetrine”, ma il pezzo era quello.
E come l’hai detto a Dario e Veronica?
“Guardate che Amadeus vi vuole a Sanremo”. Ma loro dovevano andare all’estero, non pensavano di andare al Festival. Ho detto loro che la Sony li voleva mandare a Sanremo. Loro dicevano che non era possibile, che erano sempre gli ultimi a sapere le cose.
Quest’anno hai provato ad andare al Festival?
Non ci ho provato, ho scritto il libro e sto preparando un disco di inediti che è quasi pronto.
Qualche anticipazione?
E no eh!
Ma ‘sta rivalità con Ditonellapiaga è vera o no?
Evidentemente la gente deve trovare per forza una rivalità. Io con Ditonellapiaga mi ammazzo di risate. È una fregnaccia dei giornalisti che non sanno cosa scrivere.
Devono trovarti una rivale per forza.
Lasciatemi solo la Bertè. È più che sufficiente. Con lei è risaputo che non ci salutiamo.
Non è una leggenda metropolitana, quindi…
Lo è stata, ma Loredana non è una cretina, sa che in fondo avere una rivale in questo campo di battaglia che è la vita e lo showbiz fa comodo. Come Coppi e Bartali, Loren e Lollobrigida. Ho cercato la rappacificazione, ma lei fa orecchie da mercante.
Ma questa rivalità che da finta è diventata vera quando ha avuto inizio?
Fu un’invenzione di un giornalista. Ha detto che non si parlava di nulla quell’estate e mi fa: “Perché non facciamo una rivalità tra te e la Bertè? Lei sarebbe d’accordo”. A me pareva una stronzata, ma così è stato.