«Credo che stessi cercando un termine forte, che avesse lo stesso impatto di parole bomba tipo Ultramega Ok». Seduto in una sala riunioni di Universal Music Italia, Cristiano Godano prova a risalire all’origine del titolo Catartica, il primo album dei Marlene Kuntz pubblicato nella primavera del 1994, esattamente 30 anni fa.
«Ricordo che eravamo in viaggio in macchina, oso dire dalle parti di La Spezia», racconta Godano, «stavamo andando a registrare il disco e mi è venuta questa idea, che con un po’ di timidezza ho comunicato agli altri perché, quando proponi i titoli di canzoni e dischi, passi al vaglio del giudizio di gente spietata, che non te ne lascia passare una, a meno che non la condivida totalmente».
Con Godano, oggi come allora, c’è Riccardo Tesio, membro fondatore e chitarrista dei Marlene Kuntz. Insieme partiranno a breve per l’ennesimo tour, una serie di date per celebrare appunto il 30esimo anniversario di Catartica, suonando quasi tutte le canzoni del loro disco d’esordio e qualche pezzo tratto dai due album successivi, Il vile e Ho ucciso paranoia. Primo appuntamento il 12 marzo a Livorno e poi una sfilza di altre date, molte delle quali già sold out, a dimostrazione di un affetto smodato da parte dei fan soprattutto per il primo periodo dei Marlene Kuntz, quello più rumoroso e, forse, più venerato, mitizzato.
In occasione dei 30 anni di Catartica, venerdì 8 marzo esce una ristampa dell’album, riproposto in diverse versioni, compreso un sontuoso box con doppio LP, CD e addirittura cassetta: Demosonici, ossia un nastro con i primi tre demo della band, da cui spunta anche un pezzo inedito risalente alle prime schitarrate in sala prove, Fine della danza, su cui torneremo più tardi.
Ne abbiamo approfittato dunque per riascoltare tutto Catartica insieme a chi l’ha scritto, registrato, sudato – Godano e Tesio – e, canzone dopo canzone, farci raccontare da loro storie, aneddoti, riflessioni sull’album di debutto di un gruppo che ha fatto la storia del rock alternativo italiano, degli anni ’90 e non solo.
M.K.
Il primo pezzo di Catartica è una sorta di biglietto da visita, piuttosto violento considerato quel “fai attenzione al cranio” che fa venire in mente certi slogan battaglieri della politica extra-parlamentare stradaiola anni ’70/80.
«Il testo di M.K. è molto influenzato dal rap», spiega Cristiano Godano: «Molti passaggi dei miei cantati su Catartica, anche in Nuotando nell’aria, per esempio, arrivano da lì». Si ferma a cantare sottovoce, battendo la mano sul tavolo: “Pelle, è-la-tua-proprio-quella-che-mi-manca”, per poi proseguire: «Ascoltavo e amavo i Public Enemy e una certa violenza e una certa scansione ritmica erano tipiche di quel linguaggio. Peraltro, già all’epoca ebbi l’onore di fare un’intervista in pubblico con Alberto Campo come moderatore e con noi c’erano due ragazzi studiosi della Crusca che mi fecero già notare l’uso delle figure retoriche nei miei testi, citando proprio M.K. in apertura di disco, dove c’è un anagramma: “cranio-carino”. Per me fu un’emozione impagabile».
E poi c’era quel richiamo: “Ehi critichino!”. Con chi ce l’avevano i Marlene Kuntz non ancora trentenni? «Era rivolto a tutti quelli che non ci cagavano», ricorda Godano. «Eravamo arrabbiati».
«Perché sulle riviste di settore si parlava molto di rap italiano e poco di rock, che era completamente dimenticato», prosegue a bassa voce, sempre riflessivo, Riccardo Tesio. Ma vale ancora come business card del gruppo? «M.K. era più una provocazione, che tutto sommato regge tutt’oggi».
Festa mesta
“Complimenti per la festa! Una festa del cazzo”. È uno dei versi più famosi dei Marlene Kuntz ed è scritto bello grande sulla locandina del tour celebrativo di Catartica. È diventato quasi un modo di dire, un tormentone tra i fan dei Marlene Kuntz, e magari qualcuno cresciuto nella seconda metà degli anni ’90 se lo lascia sfuggire come battuta senza neanche rendersi conto che sono parole di Festa mesta. Chissà se c’era la consapevolezza di aver scritto un anthem.
«Non potevo averne la consapevolezza allora» risponde Godano: «Festa mesta è uno degli ultimi pezzi del repertorio pre-Catartica. Già ai tempi però ricevevo input da gente che mi diceva: “Sei un poeta”, e anche in funzione di questi complimenti ho poi sviluppato quella consapevolezza che mi ha portato a scrivere una canzone anthem come Cometa: “Sono fuori come una cometa, sono la tua polvere inquieta”, che ha forse lo stesso impatto di Festa mesta, anche se non è un pezzo altrettanto famoso».
Sonica
«Io sono dentro quella roba lì», dice Cristiano Godano rispondendo a una domanda su Orso, il protagonista di Sonica, quello che “si sposta goffamente con passo irregolare”: «È un personaggio che ha problemi con la sua camminata perché ha la testa piena di frastuoni».
E il frastuono a cui pensiamo, quando leggiamo il titolo Sonica e parliamo dei Marlene Kuntz negli anni ’90, è il sound dei Sonic Youth. Dunque, a questo punto, passiamo in rassegna influenze musicali, ascolti, strumenti, concerti visti dal vivo.
«Quando siamo arrivati a registrare Catartica» ricorda Riccardo Tesio «ero già stato influenzato dalle cose che mi aveva fatto ascoltare Cristiano, ma prima ero un metallaro, ascoltavo Metallica, Megadeth e poco altro. È Cristiano che mi ha fatto conoscere il noise. All’inizio ero diffidente: io ero un chitarrista rigoroso e preciso e il noise, per definizione, è sperimentale e imprevedibile. Ma quando stavamo registrando Catartica il mio gruppo preferito erano i Pixies, nella mia testa ormai c’era già quel suono».
«Ci sono molti pezzi che riconducono al mondo dei Sonic Youth», spiega Cristiano Godano: «Io sono stato folgorato da Bad Moon Rising: mi ha aperto un mondo, amo tutto quello che hanno fatto dopo, loro sono dei capisaldi, però ero già influenzato molto anche da Nick Cave e le cose più blues. Al di là del nome, credo che Sonica possa essere connessa col mondo dei Sonic Youth perché, per esempio, la suono con la bacchetta infilata tra le corde della chitarra, una cosa che vidi fare dal vivo a Thurston Moore e Lee Ranaldo».
«Sentivi i dischi» riprende Tesio «e ti dicevi, boh, come fanno ste cose?! Poi vedendolo fare dal vivo ti si apriva un mondo, vedi anche l’uso e il controllo dei feedback su Catartica, dove ce ne sono tanti».
Nuotando nell’aria
Forse è il pezzo più accessibile dei Marlene Kuntz nell’era Catartica. Forse è anche il loro pezzo più famoso, sicuramente per merito della colonna sonora di un film culto in quel periodo, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, tratto dall’omonimo romanzo di Enrico Brizzi.
Mentre scrivevate quel riff, quando stavate registrando la canzone, vi eravate accorti di avere in mano una hit alternative? «Direi di no», risponde senza esitare Riccardo Tesio. «Il riff l’ho scritto io sulle corde basse della chitarra: è uno dei pochi pezzi con l’accordatura standard, ma in quel periodo mi ero studiato un paio di libri di chitarra jazz con accordi di nona, undicesima, e quindi in questo pezzo ci sono un po’ di cose particolari, non molto comuni nel rock».
«Brizzi era un nostro fan», ricorda Cristiano Godano, «se ne uscì addirittura con un’affermazione che ci ha sempre imbarazzati: “L’unica vera band rock italiana”. Credo avesse dato lui stesso indicazioni più precise alla produzione per la colonna sonora… Ma io non connetto l’esplosione di Nuotando nell’aria a quel film. Eravamo al centro di un’avventura che stava esplodendo, ci rendevamo conto che stavano accadendo delle cose che cercavamo da tempo, come fare un disco e andare in giro a suonare, ma in modo naïf recepivamo tutto senza metabolizzare».
«Io non ho in mente un’esplosione», conclude il discorso Tesio, «ma una crescita lenta, per fortuna non lentissima. Accadeva una cosa, poi un’altra e nel frattempo un’altra ancora».
Poche settimane fa, i Marlene Kuntz hanno pubblicato un video di Nuotando nell’aria montato con immagini vintage. A un certo punto si vede un loro live durante il quale i ragazzi nel pubblico pogano, mentre c’è una prima fila composta unicamente da ragazze. Chi sono? Che fine hanno fatto quelle donne?
«Tra loro c’è la ragazza che poi diventerà mia moglie», risponde con un timido sorriso Riccardo Tesio. «È l’ultima che si vede nella carrellata, con gli occhi chiusi, sognanti», precisa divertito Godano, «che lo guarda come l’angelo della rivelazione».
Giù giù giù
Al momento questa canzone non è inserita nella scaletta dei live del tour celebrativo di Catartica, la set list è stata pubblicata parzialmente nei giorni scorsi. Probabile che arrivi il momento anche per questo pezzo, un altro di notevole violenza: “Pressare, schiacciare, il tuo muso contro questo muro”.
«Giù giù giù è un pezzo che adoro», ammette Cristiano Godano. «La musica è ringhiosa, punk, violentissima, bisognava quindi essere all’altezza e trovai il motivo per arrabbiarmi. Il testo è uno dei più esplicativi, lo spiego nel mio libro Nuotando nell’aria in cui racconto la genesi dei testi dei Marlene».
«La strofa molto ritmica, il ritornello con gli accordi lunghi, il suono della chitarra». riprende pacato Riccardo Tesio. «C’è sicuramente l’influenza degli Helmet».
Lieve
Fra tutte le canzoni di Catartica, forse Lieve è la più determinante per l’affermazione dei Marlene Kuntz nella scena rock alternativa italiana degli anni ’90. Il merito è degli allora CSI, Gianni Maroccolo e Giovanni Lindo Ferretti, per cui una cover del pezzo finì nel loro live acustico In quiete.
«Gianni Maroccolo ne è convinto, e ci sta che abbia ragione», ricorda sorridendo Cristiano Godano, usando tutti i condizionali del caso. «Qualcuno, tipo il produttore Marco Lega, riteneva di non dover fare entrare Lieve nel disco. Quando facevo il cantato cercavo un effetto melodico, qualcosa che combaciasse con il suono di gruppi tipo i Charlatans, ed è lo stesso approccio melodico che c’è anche in Fuoco su di te. Ma sentivo i risolini di Luca Bergia nella mia testa e percepivo il distacco degli altri: era come se l’eccesso di melodia nel mio cantato per loro non andasse bene… Detto ciò, credo che proprio Maroccolo si sia giustamente opposto: “Ragazzi, voi siete matti a non volerla mettere nel disco!”».
Prosegue poi Godano: «Ero ancora al lavoro e mi arrivò la telefonata di Ferretti, che mi raccontava per filo e per segno quello che aveva attraversato in quel periodo, era stato in ospedale, non stava bene. Ci disse che il nostro disco lo aveva aiutato a uscirne, e lui stesso mi comunicò che i CSI avevano deciso di fare una cover di Lieve, e ciò diventò un buon veicolo promozionale. C’è ancora qualcuno in giro per l’Italia che pensa che quel pezzo sia dei CSI… Non tanti, ma qualcuno c’è».
A questo punto, raccontiamo brevemente cos’è stato il C.P.I, ossia il Consorzio Produttori Indipendenti, una delle istituzioni più vivaci del rock alternativo italiano degli anni ’90. «Un’idea bellissima», dice Riccardo Tesio, «quella di sfruttare l’analogia Consorzio Suonatori Indipendenti-Consorzio Produttori Indipendenti, creando un marchio e tirando fuori un’etichetta virtuale che metteva insieme realtà diverse come I Dischi del Mulo di Zamboni, che aveva appena realizzato il disco dei Disciplinatha; Baracca e Burattini di Paolo Bedini, che aveva sotto la sua ala gli Yo Yo Mundi; e Sonica di Maroccolo, che aveva registrato Catartica. Questa idea ha attirato l’attenzione dei giornalisti e di conseguenza del pubblico, perché in quei giorni c’era un pubblico numeroso e attento a questo tipo di uscite. È stato un bellissimo quinquennio, diciamo tra il 1994 e il 2000, poi l’attenzione è diminuita, ma credo sia fisiologico».
Forse, davvero, i Marlene Kuntz sono gli unici veri sopravvissuti di quell’epoca. Quantomeno, l’unica band del fu Consorzio Produttori Indipendenti ad aver pubblicato costantemente album anche nel XXI secolo, arrivando poi a un pubblico ben più ampio – mainstream – considerate, per esempio, la collaborazione con Skin per La canzone che scrivo per te o la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2012.
«La nostra generazione ha fatto miracoli, aiutata dall’esplosione di Nevermind dei Nirvana», dice convinto Cristiano Godano. «E noi, i CSI e gli Afterhours siamo riusciti allora a creare un movimento».
Perché, dunque, tante band di quel giro si sono perse per strada, non hanno retto il trascorrere del tempo? «Nei Marlene Kuntz c’è un mix di componenti come lealtà e amicizia che sono importanti, decisivi. Abbiamo avuto molti litigi, ma di natura artistica, sempre costruttivi. Non c’è mai stata una lite figlia dell’invidia o del disagio legato al lavoro, credo sia rimarchevole e credo sia uno dei motivi per cui siamo ancora qui».
Trasudamerica
«Il testo è frutto di pura immaginazione», spiega Cristiano Godano. «Trasudamerica è uno dei miei rari tentativi riusciti di essere più narrativo che poetico: la poesia è un’esternazione di sentimenti, mentre qui c’è una fantasia a cui provo a dare corpo, immaginando cose non mi riguardano».
Insomma, la foto dei quattro suonatori col sombrero e Federica non sono realtà, esistevano solo nella testa di Godano e, ora, solo in questa canzone.
Fuoco su di te
A questo punto dell’ascolto del disco, lo ammettiamo, iniziamo a divagare più di quanto già fatto durante le canzoni precedenti (e infatti, chiacchierando di Lieve, Cristiano aveva comunque tirato in ballo le aperture melodiche di Fuoco su di te).
Sul tavolo abbiamo una vecchia copia della rivista Rumore con in copertina proprio i Marlene Kuntz, una cover story dell’aprile 1995 dedicata al successo di Catartica e l’imminente uscita dell’album successivo, Il vile. Ovviamente, in quell’intervista si raccontava anche del ruolo della marginalità geografica nella storia di un gruppo come loro, tanto che il titolo del servizio era Provincia sonica.
«Eravamo una band di Cuneo e lentamente ci siamo resi conto che questo era un plusvalore», racconta a tal proposito Cristiano Godano. «Ci connotava molto dando delle coordinate precise: i Marlene Kuntz di Cuneo, come Paolo Conte di Asti».
«Paolo Bedini, che ci organizzava i concerti ai tempi», ricorda Riccardo Tesio, «diceva che Catartica era una cosa marziana, diversa da quello che ci si aspettava da un disco italiano. Noi, per essere degli esordienti, salivamo sul palco con molta più competenza rispetto ad altri. E lui ce lo faceva notare: “Avete fatto la gavetta in provincia di Cuneo, un luogo marginale. Arrivate da non si sa dove, salite sul palco, spaccate tutto e poi scomparite”. Il fatto di esserci formati lontano dai riflettori di Milano, Roma o Torino, ci ha resi in qualche modo sorprendenti sul palco. Ma avevamo iniziato a suonare anche e soprattutto per uscire dalla provincia».
Merry X-Mas
Scherziamo sul fatto che il pezzo è leggermente fuori-stagione e, forse per questo motivo, è al momento escluso dalla scaletta di questo tour che, per i fan, sarà una grande festa e tutto tranne che mesta.
L’attacco di Merry X-Mas ha, per via dei feedback, qualcosa che ricorda London degli Smiths, ma Godano non ha alcun dubbio al riguardo: «È un pezzo figlio dei Soundgarden», dice canticchiando il riff del pezzo. Dopo Ultramega Ok, eccoci servita la seconda dose di grunge deluxe.
Gioia (che mi do)
Escludiamo l’auto-erotismo? Ci ridiamo su e, dopo che Cristiano accenna «ho scritto qualche parola senza avere troppo il controllo di quello che stavo scrivendo», iniziamo a parlare della gioia che possono dare gli eredi – gli artisti, le band – che hanno riconosciuto l’influenza di Catartica e dei Marlene Kuntz sul loro lavoro.
«Sono innumerevoli le volte che tramite i social la gente ci ringrazia per la compagnia che gli abbiamo fatto dal punto di vista poetico, mi ringraziano per l’intensità delle mie parole e per essere stato decisivo per la loro crescita», dice Cristiano Godano, sinceramente compiaciuto e riconoscente. «Possono sembrare esternazioni eccessive, ma io acquisisco tutto questo con estremo orgoglio».
Parlando di colleghi, invece, Riccardo Tesio ricorda che «nel primo disco dei Verdena puoi riscontrare sonorità simili alle nostre, ma in realtà molti, vedendoci, si sono detti: “Se ce l’hanno fatta loro, ce la possiamo fare anche noi”. In questo senso forse siamo stati un’ispirazione: il rock italiano all’epoca era un po’ in disgrazia e il nostro modo di suonare e scrivere i testi è stato un po’ un rinascimento del rock italiano».
Canzone di domani
Su questo pezzo, l’undicesimo della tracklist di Catartica, ne approfittiamo per chiudere il cerchio, ossia capire se e dove c’è continuità tra l’album d’esordio di 30 anni fa e Karma Clima, l’ultimo disco dei Marlene Kuntz. Cos’hanno in comune, qual è il tratto distintivo della storia dei Marlene?
«L’intensità con cui facciamo sempre le nostre cose», risponde deciso Cristiano Godano: «Per Karma Clima avevamo incaricato Davide Arneodo di proporci sonorità che non partissero dalle chitarre nel tentativo di sperimentare. L’unica cosa che avevo detto a Davide è stata: “Carta bianca, ma manteniamo la nostra cifra stilistica: l’intensità”. Sono dischi agli antipodi: Catartica è ruspante, arrembante, urgente, mentre Karma Clima è arrivato dopo 30 anni di consapevolezze e maturazione».
Mala mela
Qui si torna a parlare di feedback, il peccato originale dei Marlene Kuntz. «Ricordo una sessione di Mala mela», racconta Riccardo Tesio, «l’avevamo suonata tutta e alla fine il nostro produttore, Marco Lega, disse: “Adesso sopra questa sessione facciamo una passata di feedback”».
E quindi torniamo su un altro tratto distintivo dei Marlene Kuntz: le chitarre di Godano e Tesio. Quando avete capito che funzionavate bene insieme, che eravate in qualche modo complementari e indispensabili l’uno all’altro? «Ci sono stati tre o quattro mesi di interregno, incomprensioni, guardate in cagnesco», ricorda Cristiano Godano, «ma poi è subentrata l’intelligenza: entrambi abbiamo capito che l’altro faceva qualcosa che non ci apparteneva, ma era proprio questo che creava la magia di un sound non facilmente riscontrabile altrove».
E con che chitarre avete registrato Catartica? «Non avevamo ancora molti strumenti buoni», risponde Tesio. «Per registrare Catartica avevo portato una Les Paul di mio fratello, una chitarra molto bella. Ma ci sono almeno tre chitarre. E anche a livello di amplificatori abbiamo cercato di mettere insieme quello che eravamo riusciti a recuperare… È per questo che l’album suona abbastanza eterogeneo».
«In questi giorni mi sono imbattuto nell’Ibanez che usavo all’epoca», racconta Godano. «È ancora in buono stato, perfettamente funzionante, così ho deciso di usarla per questo tour».
1° 2° 3°
Un altro pezzo molto violento di Catartica. Prima che arrivi il terzo verso nelle casse, Cristiano Godano prova a recitarlo, ma non ricorda le parole, esita: «“Terzo, provai con la pistola… Sparai parole come…” Un conto è quando le canto, ma dirle è diverso».
MERDA, CARLO, ABORTO, le scriviamo in maiuscolo come nel booklet dell’album. «C’è molto Nick Cave in quel pezzo, è stata una delle nostre prime canzoni nonché il loro biglietto da visita», continua Godano. «Gli mancava un cantante, entro in sala prove e sento questa cosa suonata all’infinito, in loop, cinque minuti di piripiripì, era psichedelia. Ho pensato: “Minchia, ma questi sono matti?!”».
Non ti scordo più
Sono gli ultimi minuti di Catartica, uno strumentale che riprende l’intro del disco. Tra quei matti in sala prove citati poco sopra c’era il batterista Luca Bergia. Poco prima di Karma Clima, Bergia aveva deciso di prendersi una pausa dal gruppo, ora non c’è più. Avrebbe suonato per questo tour celebrativo?
«Sarebbe dipeso da lui», risponde Cristiano, «Aveva bisogno di recuperare se stesso, gli abbiamo dato tutto il tempo di cui aveva bisogno, non vedevamo l’ora… Certo che sarebbe stato bello averlo con noi».
Fine della danza
Troviamo infine il tempo per ascoltare anche l’inedito presente nel box di Catartica, una canzone rimasta in qualche cassetto per oltre 30 anni. Quando parte Fine della danza, vengono subito in mente i Gun Club. Cristiano Godano si illumina: «Questo è totalmente Thin White Rope!».
«Per Catartica avevamo 22 o 23 pezzi, sul disco ne sono finiti 13», aggiunge Riccardo Tesio. «Alcuni poi sono stati messi sui dischi successivi. Invece, La fine della danza mi è sempre piaciuto molto, ma non è mai stata registrata veramente bene… Forse la inseriremo in scaletta dal vivo».
Ecco, quali saranno quindi le altre canzoni suonate durante l’imminente tour, a parte i pezzi di Catartica? «C’è un pezzo come Ape Regina che è tanto che non suoniamo e sono certo i nostri fan aspettino», risponde Godano. «Quest’estate mi sono ritrovato a chiacchierare con Alberto dei Verdena e mi raccontava che per lui era impressionante vedere con quanta rabbia la cantavo… Ma sto entrando in un’ottica mentale di preparazione a questa esplosione fisica che dovrò gestire. E quindi faremo anche canzoni come L’agguato o Infinità, che mi permetteranno di rifiatare».
A sudare tanto sul palco, con Godano e Tesio, ci saranno gli attuali Marlene: Luca Lagash al basso, Davide Arneodo alle tastiere e Sergio Carnevale alla batteria. Ma che effetto fa suonare oggi le canzoni di Catartica, pezzi scritti più di 30 anni fa, così arrabbiati, violenti, rumorosi? I due vecchi amici rispondono contemporaneamente, ghignando: «Ci divertiamo!».