Sono passati quasi vent’anni dal boom dei Justice, dall’album di debutto Cross, da hit come D.A.N.C.E., Phantom e Waters of Nazareth, dai remix per U2, Kanye West e Britney Spears. Il resto della carriera del duo formato da Gaspard Augé e Xavier de Rosnay è stato un salto carpiato sul posto dopo l’altro. Hyperdrama, il nuovo album, è solo il quarto capitolo della storia quasi ventennale di un duo che sembra aver già scritto le sue pagine più importanti. Ascoltare il disco è come ritrovare un amico che non vedevi da tempo e con cui hai condiviso gran parte delle serate giovanili.
Hyperdrama è anche un album maturo, è a suo modo il Random Access Memories di Augé e de Rosnay. Con l’ausilio di ospiti come Tame Impala, Thundercat, Miguel, è il lavoro di un gruppo che vuole guardare al futuro senza dimenticare il passato, come dicono i versi di Incognito, “It’s forever, nothing feels better”, o come dimostra il sample di Dear Brian di Chris Rainbow, nel loro personale tributo alla French touch e ad Alan Braxe.
Dopo il debutto live dell’album al Coachella e lo show al Primavera Sound, i due torneranno in Italia il 14 giugno, al Nameless Festival. Come sono andate esattamente le cose con la scrittura del nuovo album ce lo siamo fatti raccontare direttamente da loro.
Ne è passato di tempo dal vostro ultimo album in studio Woman del 2016 e dalle rielaborazioni di Woman Worldwide. Che cosa è successo ai Justice nel frattempo? Come ci arriviamo a Hyperdrama?
Xavier de Rosnay: Siamo stati in tour per circa due anni, poi abbiamo lavorato al nostro film Iris: A Space Opera by Justice. Gaspard nel frattempo ha realizzato un album da solista, Escapades, mentre io mi sono preso una vacanza. Arriviamo così al 2020, quando abbiamo iniziato a pensare a Hyperdrama. In pratica non ci siamo mai davvero fermati. Siamo stati solo un po’ lenti a fare le cose, questo perché scriviamo, produciamo, registriamo, mixiamo noi. Ci vuole tempo e ci piace prenderci quello giusto per farlo.
Nella produzione e nelle collaborazioni mi è sembrato di ascoltare una versione più matura e quasi pop dei Justice.
De Rosnay: Beh, speriamo non troppo matura. Abbiamo cercato di trovare l’equilibrio tra la spontaneità e il lavoro di rifinitura sui dettagli. Cerchiamo di non essere troppo tecnici o smanettoni, ma allo stesso tempo, e perché un lavoro venga fuori bene, serve esserlo.
Sì, intendevo maturo perché c’è sempre un tocco disco che si combina alle origini della electro francese più classica. Torna anche quel blend rock dei vostri esordi e si arriva persino a riferimenti gabber. C’è molto del vostro passato, quindi, ma soprattutto, c’è in maniera più pensata.
De Rosnay: Capisco perché brani come Generator possano ricordare l’energia dell’esordio. Allo stesso tempo però non cerchiamo mai di rifare qualcosa che abbiamo già fatto in passato. Ci piace sperimentare col nuovo, nonostante poi il nucleo di ciò che facciamo sia simile per ogni album.
Chi ascolta i Justice, oggi? Sono le stesse persone dei vostri esordi o si tratta di un pubblico diverso?
Gaspard Augé: Per noi non esiste un ascoltatore ideale, speriamo anzi di avere un pubblico sempre variegato in termini di età e background. Quello che ci piace di questo album è che è abbastanza vario, potrebbero apprezzarlo potenzialmente molte persone. So che è un po’ romantico pensarlo, ma ci piace l’idea che il pubblico lo ascolti dall’inizio alla fine.
C’è la sensazione che i momenti tradizionalmente euforici del vostro suono stavolta si mescolino ad altri lati più dolci e quasi glam.
De Rosnay: È un album che parla del mondo delle sensazioni, sensazioni direi quasi fisiche. Come l’emozione di guardare un bel dipinto dal vivo o di mangiare qualcosa di stravagante per la prima volta. O guardare un film che ti colpisce anche se non ha una trama. È un’ora di pura fantasia, senza una narrazione precisa. Per il modo in cui si sviluppa e le direzioni che prende, per i suoi movimenti, le sue texture, è come una grande macchia che si espande. Poi chiunque ci potrà vedere la sua, di storia: vogliamo possa rimanere aperto all’interpretazione.
Il disco ha il feeling di un lavoro “da band”, forse perché sono molto gli ospiti che popolano questa storia: Tame Impala, qui alla voce in Neverender e in One Night/All Night, oltre che Thundercat, Miguel e Connan Mockasin. La loro presenza ha influenzato la direzione di questo lavoro?
De Rosnay: È stato come scegliere dei personaggi per un romanzo o degli interpreti per il ruolo di un film. Con ciascuno abbiamo avuto l’opportunità di registrare insieme in studio durante tutto il processo. L’obiettivo per ciascun ospite era lo stesso: fare buona musica, ma soprattutto farla senza dare importanza al fatto che il pezzo potesse risultare più Thundercat o più Justice, più Tame Impala o più Miguel. E questo anche grazie al fatto che sono tutti venuti a registrare nello stato mentale giusto, senza cercare di proteggere qualcosa, di mettere in risalto il loro. Speriamo che venga fuori il carattere corale, che non sembrino featuring in senso stretto. È una parola che non ci piace nemmeno. In Hyperdrama i brani non appaiono come Justice feat. qualcuno. Al contrario: quell’artista è i Justice, anche solo per una canzone.
In Dear Alan c’è un tributo alla leggenda del French touch Alan Braxe. Ci sono invece nuove ispirazioni, rispetto al vostro passato, che hanno influenzato Hyperdrama?
De Rosnay: Di solito non lasciamo che ispirazioni particolari influenzino la nascita di un disco. Incorporare elementi attuali nella tua musica la fa diventare datata quando esce. Se ci pensi, abbiamo iniziato a lavorare al disco nel 2020. Se nel 2020 avessimo pensato «ah, sì, questa cosa suona bene, dovremmo farla anche noi», quelle idee ora apparterrebbero a un’altra generazione.
Il live show è partito dal Coachella e ha dietro un lavoro particolarmente importante, frutto di diversi mesi di perfezionamento curato insieme al vostro collaboratore di lunga data, il lighting designer Vincent Lérisson. Innanzitutto, com’è andata? E dato che aspettiamo di vederlo anche in Italia, sa noi ci sarà lo stesso set-up visto in California e questo weekend al Primavera Sound?
De Rosnay: È stato importante tornare sul palco. E sì, quello che abbiamo portato al Coachella è quello che prevediamo per tutte le altre date. Ovviamente, ci sono state cose che non avremo ovunque, come gli schermi laterali giganti, per esempio, che non sono parte del nostro set-up.
Il suono dei Justice è stato influente per la musica elettronica degli ultimi vent’anni. Siete stati spesso paragonati ai Daft Punk. Come avete vissuto questa cosa?
De Rosnay: La nostra musica è sempre stata diversa da quella dei Daft Punk, che ovviamente ci sono sempre piaciuti molto. Vale il discorso fatto per Hyperdrama: molte persone avevano bisogno di vedere dei legami tra noi e quello che il resto della scena dell’etichetta Ed Banger stava facendo. È comprensibile, perché venivamo tutti da lì, condividiamo una sensibilità comune. Anche se loro sono un po’ più grandi di noi, siamo cresciuti ascoltando la stessa musica. Ma ecco, sia loro che il resto della scena sono stati influenzati dalla Chicago house, reinterpretata con la sensibilità francese e con altre ispirazioni. La nostra musica, invece, è sempre stata più disco, funk o rock and roll, realizzata con mezzi elettronici. Fondamentalmente, è stata l’opposto.
Cosa accomunava quella scena?
De Rosnay: Esiste una certa sensibilità romantica riguardo alle cose. Per il resto, noi nello specifico siamo stati influenzati moltissimo da artisti come Jackson and His Computerband o Mr. Oizo, che ci hanno fatto capire che era possibile fare elettronica in quel modo, all’inizio dell’era della musica fatta col laptop.
La storia dell’etichetta Ed Banger ha influenzato la musica da club del recente passato, in Europa e non solo. Quanto è cambiata quell’idea di musica? È replicabile?
De Rosnay: Sì, naturalmente potrebbe essere replicata. Anzi: probabilmente esiste già, ma esiste senza di noi. Deve essere qualcosa fatta da giovani, non può nascere quando sei più vecchio o quando hai già realizzato un paio di album, perché gran parte di quello spirito è legato alla giovinezza e alla spontaneità. Penso che ci siano molte nuove influenze emergenti, come tutta la scena della PC Music, che sono nate in maniera analoga: giovani artisti che facevano le cose a modo loro. Ora sono diventati incredibilmente influenti, stanno producendo grandi dischi pop. E questo vuol dire che sì, esisterà ancora qualcosa con quel carattere, semplicemente noi non ne facciamo più parte.