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Rondodasosa: «Non sono un maranza, aiuto i ragazzi della mia comunità»

Intervista al driller di San Siro, che collabora con Central Cee e punta al mercato internazionale, dopo il primo concerto a Milano: «Spero si sia capito che ai miei live non succede nulla di pericoloso»
Rondodasosa intervista

Foto: dddoblew

«Non mi hanno fatto mai suonare nella mia città. Dovevo fare questo concerto il giorno di Halloween, per l’uscita del mio album, ma qualcuno da là sopra ha deciso di annullarlo perché sono visto come un personaggio che incita all’odio e alla violenza. Spero che dopo stasera tutti abbiano capito che ai miei live non succede nulla di pericoloso, sia il mio staff che i mei fan sono qui per divertirsi». Inizia così l’intervista a Rondodasosa in un camerino trasformato in street party dopo il concerto al Fabrique di Milano, prima tappa di un tour che lo porterà in Germania, Canada e Spagna.

Ha aperto la serata uscendo da un bara – «fa parte del concept del disco disco Trenches Baby». mi spiega Mattia Barbieri aka Rondodasosa – anche se il suo immaginario non è per nulla dark. Sul palco coperto di luci blu, il colore della sua crew, le hit che tutti i ragazzi cantano a memoria hanno come coreografia moto da cross e ballerini, spari di pistola come passaggio tra un pezzo e l’altro mentre sul videowall scorrono immagini videogioco di auto da corsa. Ha portato on stage quelli della Seven 7oo, il collettivo artistico di cui fa parte insieme a Vale Pain, Neima Ezza e altri. Una crew con una doppia anima: se da un lato i testi delle loro canzoni e l’immaginario dei loro videoclip esprimono un’attitudine gangsta a volto coperto dal balaclava, dall’altro questi ragazzi di Piazza Selinunte (quartiere San Siro, zona 7 di Milano) sono una sorta di esperimento sociale modello Zulu Nation, l’associazione di Afrika Bambaataa che a metà degli anni ’70 cercava di salvare i ragazzi dalle strade con l’hip hop.

Di questo aspetto, del lavoro che da tempo fa con la comunità Kairos di Don Burgio, Rondodasosa non parla spesso, forse non si accompagna bene ai dettami della drill, ma a domanda risponde: «Se possiamo fare del bene, se riusciamo ad aiutare la gente, ci siamo. Adesso insieme agli altri di Seven 7oo e a Don Burgio stiamo costruendo un centro per i ragazzi della nostra zona, siamo andati dal sindaco che ci ha fatto delle promesse che poi non ha mantenuto, quindi ci siamo mossi da soli».

E da soli affrontano il pregiudizio di stampa e opinione pubblica che spesso li dipinge come criminali, o semplicemente come “maranza” che fanno danni per strada e i bulli su TikTok: «Io non sono un maranza, non abbraccio quello stile di vita, ai media piace generalizzare. I fatti di stasera parlano da soli, ho influenzato un’intera generazione che a sua volta a portato una vibe in Italia che non è mai esistita: adesso i ragazzini invece che fumarsi le canne al parco e fare le cazzate si trovano in piazza Gae Aulenti e fanno i raduni di sturdy (il ballo della drill reso popolare da Pop Smoke, ndr)».

Mattia tra l’altro è l’unico tra i ragazzi di Seven 7oo a non essere un italiano di seconda e terza generazione, e in una delle rarissime interviste che ha concesso prima di questa aveva detto anche di essersi avvicinato alla religione islamica: «Sono cresciuto in una zona dove ero l’unico italiano e mi ha colpito la forza dei valori dell’Islam, riesce a creare un senso di comunità, a fare stare insieme le persone. In Italia manca la multiculturalità, si vuole preservare il fatto di essere italiani e basta, ma tanto il cambiamento sta già succedendo, le seconde generazioni ci sono già e, che altri lo vogliano o no, non si potrà fermare. Perché ti devo impedire di venire in Italia? Noi siamo sempre andati in giro negli altri paesi, siamo emigrati in America, ovunque, siamo tutti abitanti di questa terra». Ci tiene a precisare che non vuole parlare di politica, anche se quello che mi sta dicendo è politico, e – a proposito delle rime di un suo pezzo Sin Cara in cui dice “Sono stato con i randagi / Sono stato con Beppe Sala” – gli chiedo oggi Rondo dove sta, dove vuole stare: «Io sto coi randagi».

Dal pubblico Rondo viene acclamato come il re della drill in Italia, uno che grazie alla capacità di fiutare quale fosse la strada da prendere a livello di suono, di rap, di collaborazioni e di estetica, è riuscito da subito a entrare in contatto con la scena internazionale, facendosi notare da gente come Central Cee e Drake. Ma stasera ha avuto l’occasione di mostrarsi per la prima volta al pubblico della sua città in un Fabrique pieno zeppo: «Prima di oggi non mi era mai arrivato così forte l’impatto con i miei fan, è come se li avessi visti tutti in faccia e sono davvero contento, anche se l’obiettivo è sempre quello di prendersi il mondo, non accontentarsi, arrivare fin dove si riesce».

Parla quasi sempre al plurale, da intendersi sia come collettivo Seven 7oo che come vera e propria comunità drill: «Non guardiamo a quello che fanno gli altri rapper italiani, le esperienze e i contatti internazionali ci hanno un dato una forte motivazione, che ci ha reso sempre più affamati, vogliamo prenderci l’estero perché abbiamo visto quello che accade fuori dall’Italia ed è trenta volte più grande, quindi perché non sognare? Piano piano ci stiamo riuscendo, conquisteremo anche l’America». Prima di Drake e Central Cee il Rondo ragazzino ascoltava anche il rap italiano, e questo in parte lo ha formato: «Mi piacevano i Dogo, Marracash, Bassi Maestro, Joe Cassano, Inoki, Emis Killa, alle medie tutta l’old school mi ha trasmesso una bella vibe».

Nonostante i precedenti noti a tutti i fan di Rondo e agli osservatori della scena, in questo live – tra i pezzi banger e altri accompagnati dal piano – non c’è spazio per i dissing rivolti ai colleghi: «Io disso solo quando mi rompono il cazzo; rispondo e basta». Per quanto riguarda il mondo della musica le parole di Rondo restano quelle che ha messo in apertura a una sua celebre hit, “I have a message for Italian Industry, suck my dick”: «A parte le persone che c’erano stasera sul palco (oltre ai suoi Seven 7oo c’erano Capo Plaza e Anna, nda), e a parte Lazza che mi ha sempre supportato, dagli altri non mi aspetto nulla, questa nostra nuova generazione si prenderà tutto e sarà diverso, aiuteremo le persone. Quelli di oggi non hanno mai aiutato nessuno, sono stati squali che non hanno voluto che qualcuno salisse più in alto di loro. Noi invece saliremo tutti insieme».

Magari, appunto, uscendo dall’Italia: «All’estero non c’è il pregiudizio nei nostri confronti che c’è qui, ho una delle miglior fanbase del paese, quelli che mi seguono non vanno mai a scrivere sotto i post degli altri che fanno schifo, se uno mi insulta non gli rispondono, sono superiori. Non è una fanbase tossica, i ragazzini si vestono tutti di blu come me, madri e padri mi sostengono. Perché sanno che la rivalsa è la mia battaglia, sono io da solo contro tutti, e questa cosa mi piace, mi dà forza, chi mi segue la sente».

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