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Sammy Hagar vuole far pace con Alex Van Halen: «Non mi porterò questo peso nella tomba»

Mentre si prepara a una residency a Las Vegas in cui suona anche i pezzi dei Van Halen, il cantante rivendica il suo ruolo nella storia del gruppo e rivela che pubblicherà una canzone dedicata a Eddie scritta con Joe Satriani

Foto: Scott Dudelson/Getty Images

Nel 2025 Sammy Hagar porterà il suo show Best of All Worlds a Las Vegas per una residency al Dolby Live at Park MGM. Come nel tour dell’estate scorsa, con lui ci saranno il bassista Michael Anthony, il chitarrista Joe Satriani, il batterista Kenny Aronoff e il tastierista Rai Thistlethwayte. È un concerto pieno di classici dei Van Halen, ma c’è spazio anche per i pezzi dei Montrose e quelli solisti di Hagar e Satriani.

«La scaletta cambierà almeno un po’ ogni sera», spiega il cantante. «È una residency di quelle che spingono i fan a pensare: oh, no, questa l’han fatta venerdì sera, avrei dovuto scegliere quella data. Ci saranno un sacco di cose di quel tipo, di quelle che fanno emozionare la gente e pure me. Odio ripetere lo stesso set tutte le sere».

Abbiamo parlato con Hagar anche di come è stato cantare per la prima volta dopo 20 anni pezzi dell’era David Lee Roth, del lavoro incredibile fatto da Satriani per replicare le parti di Eddie Van Halen, di Aronoff che ha sostituito Jason Bonham a metà tour, di una nuova canzone scritta con Satriani, del fatto che Alex Van Halen non ha nominato Hagar nel suo libro e delle speranze di una riconciliazione con il batterista.

Il tour estivo è andato oltre le aspettative?
Sì, a livello economico, ma in fondo sapevamo che sarebbe successo, siamo andati alla grande al botteghino. Abbiamo venduto 250 mila biglietti per le 38 città solo il primo giorno. In alcuni posti abbiamo suonato davanti a 17, 18 mila persone. La sorpresa più grande è stata la risposta della gente. Sapevo che sarebbe stato bello e che la band era una bomba, ma quella gente… è stato come tornare ai vecchi tempi dei Van Halen. In tutta onestà posso paragonarlo a un tour dei Van Halen per le reazioni del pubblico, per ciò che abbiamo fatto, per le emozioni che mi ha fatto provare. È stato toccante.

Come è stato cantare Jump e Panama per la prima volta dopo 20 anni?
Panama la canto tutti i giorni, è fantastica. Mi piacciono le cover e a Cabo faccio sempre i Led Zeppelin, i Cream, gli Stones. Adoro suonare i miei pezzi preferiti e Panama è uno di questi. Mi piace fare Jump perché a differenza dei pezzi del mio periodo nei Van Halen non è in un registro molto alto e quindi cantarla alla fine della scaletta, dopo due ore e 10 sul palco, è un modo per concedere un po’ di tregua alla voce. È una bella canzone, non la suoniamo per intero, l’abbiamo fatta per i fan, sono contento per loro.

Hai mai pensato di inserire in scaletta altre canzoni dell’era di Dave?
Tre sono più che sufficienti. Se avessimo fatto solo un’ora e mezza di concerto, ne avrei fatta una, Panama. Ok, magari due, perché mi piace sentire Mikey che canta Ain’t Talkin’ ‘Bout Love, e poi come la suona Joe… erano anni che non veniva così bene. Sia chiaro che non sto criticando nessuno, sto solo dicendo che la portiamo a casa bene e in quel momento posso andare a riposarmi e a mettermi del ghiaccio sulle ginocchia e sulla schiena.

Eddie Van Halen con Sammy Hagar nel 2004. Foto: Jon Hill/Getty Images

Parliamo di Joe. Per molti versi è toccato a lui il lavoro più difficile, visto che deve suonare tutte le parti di Eddie Van Halen.
Chiaro, ma è bravissimo, concentrato, professionale. Ha preso la cosa molto sul serio. Lo guardavo ogni sera fare quei lunghi assoli come in 5150 coi fan che restavano a bocca aperta, come a dire: porca miseria, lo sta facendo sul serio. Ha dato un tocco personale alla musica e ha reso onore all’essenza delle canzoni e delle parti chitarristiche. Non le replica nota per nota, ma alcune parti erano quasi identiche, perché assoli come quelli di Jump e Ain’t Talkin’ ‘Bout Love sono iconici, mica puoi farli diversamente. A parte questo, Joe sapeva perfettamente in quali parti Eddie improvvisava e quindi lo ha fatto anche lui.

Un sacco di chitarristi su YouTube dimostrano di saper suonare alla perfezione Eruption, ma non li porteresti mai sul palco con te…
Ci sono dodicenni che sanno fare quella e altre canzoni, ma le scimmiottano, mentre Joe, che sa alla perfezione cosa faceva Eddie, le suona in senso musicale, le sente e le capisce. Eddie e Joe non hanno per nulla lo stesso stile. In tanti pensano: «Wow, è perfetto, è proprio uguale». No che non è uguale. Ci sono tizi in giro che suonano più simili a Eddie, ma io sapevo che Joe poteva farlo e adattarsi. Da quando abbiamo finito quel tour, Joe e io abbiamo scritto un pezzo. Non voglio dire troppo, ma stiamo per registrare una nuova canzone in occasione di questa residency. Gli ho detto: «Prendiamo l’essenza di 5150, di questa e di quell’altra e mischiamole», e lui ha spaccato. Sembra una canzone che avrei potuto scrivere insieme a Eddie. Ma Joe non copia nessuno: come ho detto, lui conosce bene il background di Eddie e quindi il suo stile. Quando sentirai l’intro del pezzo, te la farai addosso, amico mio. È al livello dei miei classici.

Forse non c’è bisogno di sottolinearlo, ma avere Mike nella band aggiunge un elemento fondamentale allo show.
Averlo lì mi permette di immergermi più a fondo nel mondo dei Van Halen, tornando a fare canzoni come Panama con lui al mio fianco. Al momento in buona sostanza ogni band leggendaria al mondo conta solamente due membri originali in formazione. Anzi, a volte non sono nemmeno due. Avere Mikey con la sua voce e tutto il resto, per me, ci legittima. Non stiamo tentando di essere i Van Halen, ma diamo ai fan dei Van Halen un sacco di amore.

Per Kenny non dev’essere stato facile entrare all’ultimo momento e imparare tutti quei pezzi.
Sì ed è per questo che è ancora nella band. È uno dei più grandi batteristi al mondo. Credo che abbia suonato in più dischi da un milione di copie vendute di qualsiasi altro musicista sulla Terra. È andato benissimo in questo tour e suona con Joe a tempo pieno. Tenere insieme la band del Best of All Worlds è difficile perché Jason fa le sue cose, Joe ha i suoi impegni, idem Mike ed io. Quindi, nell’ottica di organizzare al meglio le cose, è utile che gli impegni di Kenny coincidano con quelli di Joe. Ho suonato con lui nei Chickenfoot e anche in quell’occasione mi ha sbalordito.

Quando Jason Bonham è dovuto tornare nel Regno Unito per problemi famigliari, avete chiamato Kenny e gli avete detto: «Abbiamo bisogno che ti presenti subito e impari 24 canzoni»?
È andata esattamente così. Jason non era sicuro di quando sarebbe partito, ma noi continuavamo a dirgli che avevamo bisogno di saperlo. Poi all’improvviso: «Mia madre è peggiorata, devo andare». Era un day off e ho subito chiamato Kenny. Gli ho mandato una registrazione dal vivo del set. È arrivato alle 6 del mattino, è andato a dormire, si è svegliato a mezzogiorno, è salito sul palco, ha sistemato la batteria con un assistente, ha piazzato le sue cose e ha provato la scaletta un paio di volte. Quando siamo arrivati per il soundcheck abbiamo parlato dei dubbi che aveva. La sera stessa abbiamo suonato a Cincinnati. È stato fantastico, cazzo.

Com’è nata la residency a Las Vegas?
Ho lavorato sodo per arrivarci e mi congratulo con me stesso. Possiedo dei ristoranti a Las Vegas. Ho il Cabo Wabo, il Sammy’s Beach Bar & Grill all’aeroporto e l’Island al Palms, per il periodo estivo. Ho pensato che volevo entrare nel giro di Las Vegas, ma come farlo? Ho fatto lì una residency di 14 show un paio di anni fa, subito dopo il Covid. Il pubblico portava le mascherine e tutto il resto. Ho tenuto 14 spettacoli per sole mille persone a sera, ma tutti sold out, boom, boom, boom, boom, boom. Poi ho partecipato al Birthday Bash e ho fatto due serate al Pearl. C’erano 5000 posti a sedere e abbiamo fatto il tutto esaurito in un giorno, anzi in un’ora. Così l’MGM mi ha chiesto di esibirmi in un locale più grande, con un’altra residency. Era esattamente ciò a cui puntavo. Sono il ragazzo più fortunato del mondo. Le cose mi succedono e basta, cazzo. Dopo il tour ero lì che pensavo: questa band sarebbe perfetta per una residency. Perché abbiamo tantissime canzoni tra cui scegliere, tutto il repertorio dei Van Halen, soprattutto quello del periodo con me… mi sento come se fosse roba mia, ora, perché nessun altro può farla. Nessuno può proporre quei pezzi, a parte le cover band. Io e Mikey ci sentiamo padroni di quel repertorio e sentiamo l’obbligo, nei confronti della musica e dei fan, di continuare a suonarlo. È stato il tour più dispendioso a cui abbia mai preso parte. È costato più del Monsters of Rock Tour dei Van Halen.

Perché?
Per via della produzione. Avrei potuto farlo  al risparmio, ma volevo che fosse come un concerto dei Van Halen. Volevo che la gente dicesse: «Wow, questo è il migliore show dei Van Halen che abbia mai visto». Ho speso una quantità enorme di denaro per la produzione e per sei, sette camion e sette bus. È una cifra enorme per gli standard attuali di un tour in auditorium. Praticamente costa come un tour negli stadi. E poi pago molto bene i miei musicisti, forse meglio di chiunque altro, perché non voglio doverli sostituire e non mi va di faticare troppo. Mi serviva proprio una residency. Anche perché quando sei in tour non puoi fare le prove e non puoi inserire nuove canzoni in scaletta, non c’è tempo per farlo. O sei in viaggio o, quando sei a letto, pensi: ma vaffanculo, non voglio andare alle prove. Nella nuova residency suoneremo il mercoledì, il venerdì e il sabato di ogni settimana e avremo il giovedì libero. Negli orari di chiusura del locale potremo andarci e provare a cambiare le scalette.

Quali sono le canzoni che non avete fatto nel tour estivo e che speri di suonare?
Sono parecchie. Love Walks In, la canzone del film Twister, Humans Being, Don’t Tell Me What Love Can Do, Can’t Stop Loving You… i pezzi meno noti. Questo per quanto riguarda le canzoni dei Van Halen. Da parte mia, direi Three Lock Box, Fall in Love Again e Your Love’s Driving Me Crazy. Voglio fare qualcosa dei Montrose. Voglio suonare Rock Candy, Bad Motor Scooter e Space Station #5. E anche roba dei Chickenfoot, perché fondamentalmente siamo i Chickenfoot con un tastierista. Ogni sera faremo una canzone diversa dei Chickenfoot, una dei Montrose e un paio dei Van Halen. Anche Mikey farà cose differenti. Suoneremo Ain’t Talkin’ ‘Bout Love, ma a volte inseriremo Runnin’ With the Devil, anche quella è forte. C’è molto materiale e in nove show spero che riusciremo a proporre tante canzoni diverse.

Ci saranno altri concerti se i primi nove andranno bene?
Vediamo come va. Vorrei, ma c’è un problema: potrebbe non piacermi rimanere nello stesso posto ogni sera. Non l’ho mai fatto, a parte in un localino, che era come il Cabo Wabo, dove ho suonato un set diverso ogni sera e la metà delle volte ho anche avuto musicisti diversi. Questa è una location più grande, con una grande produzione, e potrei arrivare a dire: stiamo suonando sempre le stesse canzoni. Potrebbe iniziare a infastidirmi, ma vedremo.

Magari potreste riportare in giro lo show. Mi piacerebbe vederlo al Garden e in altre arene.
Ci ho pensato, ma non so cosa voglio fare, amico. Odio dirlo e non vorrei allarmare nessuno, ma sto invecchiando. Andare on the road mi preoccupa, perché sul palco mi muovo molto. Non posso farne a meno. Non riesco a stare lì e cantare e basta, e poi queste canzoni sono difficili. Tra i viaggi, imbarcarsi su un aereo tutti i giorni, dormire in una stanza d’albergo scomoda, il riscaldamento, l’aria condizionata… sono preoccupato per la voce. Il tour mi è piaciuto, l’energia mi ha dato la spinta per andare avanti, ma c’è un motivo se ci siamo fermati. Mi serviva una pausa, le ginocchia mi stavano uccidendo. Per metà del tempo ho dovuto prendere degli antinfiammatori e non mi piace quella roba. Non voglio andare là fuori e non riuscire a fare il mio lavoro. Una residency potrebbe essere la soluzione, perché elimina i viaggi.

Foto: Robert Knight Archive/Redferns

Sia tu che Wolfgang Van Halen eravate alla Rock and Roll Hall of Fame il mese scorso. Hai avuto modo di incontrarlo?
Sì. Sono entrato nel camerino di Ozzy per salutare lui, alcuni ragazzi e Maynard [James Keenan]. C’era anche Wolfie, i nostri sguardi si sono incrociati e lui è scattato in piedi. Ci siamo abbracciati e a tutti e due è venuta la pelle d’oca. È buffo. Ogni volta che lo incontro e ci abbracciamo, mi viene la pelle d’oca perché mi sembra Eddie. Sento che lui è la cosa più vicina a Eddie su questo pianeta. Gli somiglia, se lo guardi negli occhi. Fa i suoi stessi gesti. Prende il dito e si scosta i capelli dal viso come faceva Eddie. L’ha fatto mentre parlavamo, gli ho detto: «Non riesco nemmeno a guardarti, Wolf. Mi vengono le lacrime agli occhi». Sì, mi piace lui e quel che sta facendo.

Di sicuro hai letto il libro di Alex Van Halen. Chiude la sua narrazione nel 1984, non ti nomina, dice che l’essenza dei Van Halen si è esaurita quando Dave se n’è andato ed è sembrato molto riluttante a pronunciare il tuo nome anche durante le interviste.
È una cosa triste. Non ho letto il libro per intero, ho visto degli estratti e ho ascoltato alcune interviste. Mi si spezza il cuore se penso a quello che Alex sta passando, la morte del fratello, il fatto di non aver mai più suonato con nessun altro in vita sua e poi il suo stato di salute… quando ho visto quanto è messo male, ho capito: non c’è da stupirsi se non mi risponde quando gli chiedo se vuole venire a suonare con noi. Non è in grado e questo mi strazia, mi metto nei suoi panni e penso: e se io non potessi più cantare e suonare? Questa è la cosa che ho fatto per tutta la vita, a cui ho votato la mia esistenza, quella che mi ha reso ricco e famoso e mi ha dato la vita più bella del mondo: e se all’improvviso non potessi più farla? Tanto per cominciare mi sembrerebbe di derubare i fan. Mettendomi nei suoi panni, ti dico: mi dispiace tanto per lui.

Vorrei che un giorno mi spiegasse perché mi ha escluso dal libro, è una cosa che non capisco del tutto. So che è amareggiato per alcune cose, ma mi viene da dire che se non gl’interessa quel periodo della band, questo mi dà una giustificazione in più per dire che mi appartiene, perché nessun altro può proporre quel materiale e lui non può più farlo per conto suo. Per me e Mike è più facile e anzi abbiamo l’obbligo di mantenere viva questa musica, è troppo bella per gettarla via. Basta vedere come reagiscono i fan. Sono felici.

Prima di farsi male alla schiena, Alex stava parlando con Dave della possibilità di fare un tour. Secondo lui, tutto è andato a monte perché Dave non voleva fare un omaggio a Ed nel bel mezzo del set. Tu sai il motivo?
È vero. Puro ego del cazzo. «Questo è il mio show. Di cosa stai parlando?». È sbagliato. Io ho evitato di parlare troppo di Eddie durante il Best of All Worlds. Non volevamo sembrasse che cercassimo di approfittare della sua morte. Sto molto attento a questa cosa. Ci sono degli hater, là fuori, che la interpreterebbero male, tipo: «Guarda, sta speculando sulla morte di Eddie». Eh no. Abbiamo mostrato una foto di Eddie sullo schermo un paio di volte e ho detto un paio di belle cose, ma non era un tributo a Eddie. Se avessi voluto farlo, avrei radunato tutti i più grandi chitarristi sulla piazza, Steve Vai e gli altri, li avrei portati sul palco e ognuno avrebbe suonato un pezzo di Eddie. Sarebbe stato tutto incentrato sulla sua persona. Invece no, al centro ci sono la musica dei Van Halen e la mia storia. Come ho già detto, ho fatto sette mie canzoni. Credo sia importante che si sappia: se avessi messo in scena un tributo ai Van Halen, l’avrei chiamato Van Halen o Van Hagar. Ma questa è una celebrazione per i fan della musica e delle mie canzoni.

Dimmi qualcosa in più a proposito del nuovo brano che hai scritto con Joe. Uscirà come singolo?
Credo di sì, ci stiamo lavorando proprio ora. Mike e io abbiamo appena finito il basso e i cori. Io ho fatto una traccia di voce principale, ma non so se è già definitiva. Joe ha terminato le sue parti e Kenny ha suonato la batteria. È stato emozionante cantarla, perché parla di Eddie. Il modo migliore per descriverla è dire che è un ringraziamento a lui, ai fan e a quell’epoca.

Uscirà prima della residency a Las Vegas?
Spero di sì. Dovrebbe uscire all’inizio dell’anno, forse a febbraio o marzo.

Qualche settimana fa ho intervistato Art Garfunkel e mi ha raccontato di aver fatto pace con Paul Simon dopo un decennio di dissapori. Si sono messi lì, hanno parlato, hanno pianto e si sono abbracciati. Sono ottantenni, dimostra che per te e Alex non è mai troppo tardi.
Nella mia lista di cose da fare ho scritto che non mi porterò questo peso nella tomba, né voglio che Al lo faccia. Ho offerto il ramoscello d’ulivo molte volte e l’ho appena detto a Irving Azoff. Voglio anche riconoscere i meriti di Alex per il libro: è scritto in modo toccante, c’è dell’anima, ad esempio nelle parti sulla loro infanzia. È come una lettera d’amore al fratello, lo trovo emozionante. Gli voglio bene per questo. Capisco anche che, probabilmente, non avrebbe potuto raccontare tutto in un solo libro, sarebbe diventato un tomo come la Bibbia o un dizionario, quindi forse ha in mente di scrivere un secondo volume. Chi lo sa… Ma vorrei che ritornassimo amici. Non voglio suonare in una band con Al, non sto chiedendo questo e vedo che non è più in grado di farlo. Se lo fosse, sarei felicissimo di suonare con lui, ma non è quello che vado cercando. Vorrei solo che tornassimo amici.

Da Rolling Stone US.

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