Se non avete ancora sentito nominare Sampa the Great (o se l’avete confusa con il suo quasi-omonimo Sampha), è ora di rimediare, perché tra qualche giorno, più precisamente il 9 settembre, il suo secondo album As Above, So Below uscirà in tutto il mondo ed è probabilmente destinato a essere uno dei più chiacchierati della stagione autunnale, tra gli appassionati di artisti emergenti. Tanto per darvi la misura della sua popolarità in ascesa, non solo è stata la protagonista di uno dei più apprezzati episodi della serie Tiny Desk Concert di NPR, con quasi mezzo milione di visualizzazioni; non solo ha già suonato in tutti i principali festival internazionali, tra cui il Coachella; ma addirittura un suo brano, Energy, è stato incluso da Barack Obama nella sua tradizionale playlist estiva.
Potrebbero sembrare risultati da poco, ma se si considera l’aspetto geografico non è affatto così. Sampa Tembo – questo il suo nome all’anagrafe – non è cresciuta in America o in Europa, nell’ombelico dell’industria musicale: è nata in Zambia e ha passato gran parte della sua vita dividendosi tra il suo Paese di origine e il Botswana. Dopo una breve parentesi statunitense e qualche anno a Sidney, è tornata a vivere stabilmente in Zambia dopo la pandemia, dove risiede ancora la sua famiglia. «Considero lo Zambia casa mia, anche se ho vissuto a lungo altrove» spiega. «Da una parte è strano essere tornata, perché non mi era ancora capitato di essere Sampa the Great nel mio Paese: ho cominciato a fare musica e a sperimentare la fama quando vivevo in Australia». In realtà al momento casa la vede poco: praticamente vive in tour, tant’è che quando la incontriamo si trova a Milano per un concerto. «È un periodo super intenso. A volte la mia mente vorrebbe continuare ad andare a mille, ma il mio corpo mi manda chiaramente dei segnali per rallentare» dice. «Adoro tutto, ma è un peccato andare ai festival senza neanche poter vedere gli show degli altri artisti, o visitare Paesi dove non sono mai stata, come l’Italia, e fare solo toccata e fuga. Vorrei avere più tempo per queste cose».
In occasione del suo debutto con The Great Mixtape del 2015, e ancor più con l’album d’esordio The Return del 2019, l’Australia aveva cercato in un certo senso di intestarsi il suo successo: ovunque, sulla stampa come in radio o in tv, veniva definita un’artista hip hop australiana, e ha addirittura vinto numerosi ARIA Music Awards, ovvero i premi che l’industria musicale locale assegna ai migliori progetti nazionali. Nonostante tutta la gratitudine per il Paese in cui ha brevemente abitato, però, Sampa non è affatto d’accordo. «Per essere precisi, anche la definizione “artista hip hop” mi sta abbastanza stretta, perché tendo a mescolare molto i generi» puntualizza. «E riguardo alla mia nazionalità, io sono zambiana, e ci tengo a sottolinearlo: la mia terra rappresenta tantissimo per me, tutte le mie ispirazioni vengono da lì. L’Africa è già stata abbastanza marginalizzata, nella storia dell’uomo: non facciamolo anche adesso. La mia è musica africana».
In Australia ci è finita quasi per caso. «Avevo già vissuto un paio d’anni negli Stati Uniti, ma lo shock culturale era stato davvero enorme» ricorda. «Dovevo andare all’estero per completare la mia istruzione, ma non me la sentivo di lasciare di nuovo lo Zambia: mi sono chiusa in me stessa, l’America ai tempi mi aveva dato proprio una brutta vibrazione». Un peccato, ammette lei stessa, perché c’è un mondo intero da esplorare là fuori. «A spronarmi a riprovarci è stata mia sorella, che voleva trasferirsi in Australia per l’università. Alla fine sono andata con lei, anche se abbiamo sempre vissuto in città diverse, per via delle borse di studio che avevamo vinto». Quella di Sampa è per studiare ingegneria del suono. «All’inizio mio padre era contrario all’idea che facessi l’artista. Era una sorta di compromesso, il nostro: per la serie, prima prendi il diploma e poi vediamo» racconta. «Ma a furia di registrare gli altri, ho capito che avrei dovuto buttarmi. Ero io che dovevo essere al microfono, non loro!». Così una sera sua sorella la trascina a una serata open mic dove si esibiscono musicisti emergenti, soprattutto della scena jazz e hip hop. «Ero imbarazzatissima e volevo scappare via, ma lei e le sue amiche mi hanno quasi bullizzata: “Ci siamo truccate, ci siamo pettinate e siamo uscite, e lo abbiamo fatto per te: ora sali su quel palco!”» ride. «La reazione del pubblico è stata così straordinaria che ho capito che potevo farcela davvero. Ma è stata dura. Non avevo esperienza, non avevo progetti all’attivo, era un salto nel buio. Non sapevo se la mia musica avrebbe funzionato».
La sua musica funziona eccome: con il suo mix di rap, soul, reggae e sonorità africane, fin dall’inizio la critica la paragona a Lauryn Hill. «Un complimento enorme, anche se trovo sia meglio tenersi alla larga da certe comparazioni: preferisco essere me stessa e avere modo di costruirmi un’identità tutta mia» spiega Sampa. «Ovviamente Ms. Hill è un grande punto di riferimento per me. Ho avuto la fortuna di incontrarla in un paio di occasioni, e mi ha sempre consigliato di essere me stessa, di cercare di scrollarmi di dosso la pressione che l’industria cerca di mettere addosso a noi artiste donne: i tentativi di controllo sul nostro aspetto, il nostro sound e tutto il resto». Fa fatica a riconoscersi nelle etichette canoniche, e definisce ciò che fa una «musica ibrida, che unisce tutto ciò che ho ascoltato e amato crescendo». In primis, la tradizione del suo paese. «Adoro la kalindula, una fusione di rock psichedelico e musica tradizionale zambiana, e il cosiddetto Zam rock, a cui mi sono ispirata per una canzone del mio nuovo album, Never Forget» dice. Uno dei suoi zii, ha scoperto di recente, faceva parte dei Witch, una band della scena kalindula che girava parecchio dalle sue parti, prima che lei nascesse. La sua è una famiglia molto musicale, tant’è che al momento i coristi della sua band sono sua sorella minore e suo cugino. «Abbiamo sempre suonato insieme, crescendo, e dopo essermi ritrasferita in Zambia, con il tour alle porte, ci è sembrato naturale che si unissero a me. È fantastico, perché non avevo ancora avuto modo di far capire ai miei cosa significava questa nuova carriera artistica: ora invece ne sono testimoni diretti».
Il titolo dell’album in uscita, l’ottimo As Above, So Below, significa “Ciò che vedi è ciò che sono”. «Ora che vivo di nuovo in Zambia, la mia personalità artistica corrisponde perfettamente alla mia personalità nel privato: non ho niente da nascondere, sono genuina al 100%!» esclama Sampa orgogliosa. Dentro c’è tutto ciò che ha raccontato in questa chiacchierata: la sbruffonaggine della rapper sicura di sé, la fragilità della cantante soul, la globalizzazione del sound e le tipicità locali. Soprattutto, c’è la voglia di far emergere uno spirito africano che forse in occidente non cogliamo ancora appieno, e una certa dose di incredulità, perché nonostante i successi ottenuti, a Sampa e alla sua famiglia sembra ancora incredibile che qualcuno che arriva dall’Africa riesca a ottenere così tanto, confessa candidamente. Un messaggio che si evince bene in brani come Tilibobo, uno dei più riusciti del disco. Prende il nome da un’espressione che dal Malawi si è estesa nel confinante Zambia: «Vuol dire letteralmente “Qui va tutto bene”, “stiamo bene”» traduce per noi. «Rappresenta alla perfezione la popolazione dell’Africa, che affronta continuamente problemi di ogni tipo: con i governi, per via del clima e della povertà… Eppure, nonostante le difficoltà, siamo sempre in piedi e abbiamo ancora voglia di stupirci e di essere felici». Di essere grandi, oseremmo dire. L’augurio migliore che si può fare a Sampa e a tutti coloro che affrontano il suo stesso percorso.