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Sanremo 2024, Mahmood scherza: «Se vinco anche stavolta mi tirano i pomodori»

Dopo tre vittorie su tre, arriva all'Ariston con 'Tuta gold', brano street dal ritmo baile funk («non confondetelo con il reggaeton!») scritto dopo un rave e che anticipa 'Nei letti degli altri', l'album in uscita tra immaginari robotici, clubbing e romantica empatia: «È la mia maturità emotiva»

Foto: Giulia Bersani

Come possono stare assieme tre mondi differenti come le tute di acetato, Gundam e il palco di Sanremo? Difficile immaginare tre cose più distanti tra loro, ma quello che abbiamo capito in questi anni, e più o meno da quella Soldi che conquistò l’Ariston nel 2019, è che un artista in grado di poter ricucire tra loro universi equidistanti è Mahmood.

«Se vinco anche stavolta mi tirano i pomodori, farebbe ridere», scherza – e sarà un po’ questo il suo mood di giornata – Alessandro Mahmood durante la conferenza di lancio per la sua terza (quarta se si conta un Sanremo Giovani) volta al Festival («ci tornerei tutti gli anni», chiosa) dove la tuta acetata non è un’anticipazione del suo look («fossi in voi non sarei comunque tranquillo»), ma la Tuta gold che dà il titolo al brano in gara. La tuta gold «è una metafora, significa l’essersi fortificati negli anni, per me è una corazza» che ricorda l’estetica di molti partecipanti ai grandi free party, l’immaginario a cui Mahmood si è riferito ripensando a un rave da poco vissuto a Berlino: «In questi anni ho avuto la fortuna di viaggiare molto, da Berlino all’America, e ho avuto modo di vedere molti dj set. Il clubbing sarà una parte fondamentale anche del mio nuovo disco (Nei letti degli altri, in uscita il 16 febbraio, nda), soprattutto nell’intro che ho scritto con una mia amica dj berlinese, Slim Soledad».

Non è quindi un caso che nella canzone si sentano le ritmiche brasiliane del baile funk («non confondiamolo con il reggaeton, il movimento della cassa è diverso!») e la cassa dritta tanto cara a noi europei. Il tutto condito da un’ambientazione di strada (le botte fuori dalle scuole medie, lo spaccino con cinque cellulari, i party nei capannoni) a metà tra autobiografia e fiction. E lui spiega: «Non sono né un rapper né un trapper, quindi coloro questi racconti con il mio immaginario, quello dei “fiori” e dello “zucchero nel gilet”, per parlare dei vizi».

Foto: Giulia Bersani

In Tuta gold ci sono «gli errori e le relazioni del passato» che hanno portato al Mahmood di oggi, tema ricorrente anche in Nei letti degli altri, il terzo album del musicista italo-egiziano dopo Gioventù bruciata («essenziale») e Ghettolimpo («sperimentale»), un lavoro che lo stesso artista definisce, in una parola sola, «empatico». «Il nucleo è il letto, inteso come porto sicuro, luogo di autoanalisi. È dove torniamo, tradiamo e veniamo traditi», spiega dell’album, aggiungendo: «Rappresenta la mia maturazione emotiva. La mia vita da adulto. Parlo anche di mio padre perché ora ho la serenità per farlo, l’ho superata. O del ritorno da mia madre dopo che la mia prima casa in affitto è bruciata. Ma anche di scene di altri, quadri di vite differenti filtrati attraverso il mio immaginario».

Proprio quell’immaginario che lo mostra sulla copertina dell’album in versione post-umana grazie alla creatività di Fredrick Heyman, già al lavoro con artisti visionari come Arca, Beyoncé, Björk e che richiama i grandi amori di Mahmood, ovvero la cultura giapponese fatta di anime, manga e robot, tra «Ghost in the Shell e il mondo robotic/cyborg». Non a caso nella copertina tiene in mano un action figure di Gundam («la prima che ho portato nella casa nuova, ma se dovessi scegliere come anime il mio preferito rimane Inuyasha». Il vocabolario invece è il solito, capace di unire la cultura pop dei Pokémon (se vi chiedete quale sia il suo preferito: «Milotic, la regina del lago», scelta coerente dopo aver fatto il doppiatore nell’action movie La sirenetta) a riferimenti hip come OnlyFans, passando per il solito romantico intimismo di “più che un threesome volevo dei fiori”.

Ma come si sta Nei letti degli altri? «A volte si sta bene, a volte si sta meno male, a volte si sta tanto, a volte poco. Dipende sempre chi sono gli altri». Alcuni di quegli “altri” ce li racconta: nel disco infatti ci sarà spazio per Tedua e Chiello («è la prima volta che non canto il ritornello di un mio pezzo, ma sono un suo grande fan») in un brano dal titolo Paradiso, ma anche Michelangelo alla produzione e uno special featuring straniero che uscirà un po’ più avanti e che non riesce a trattenere: «Kk, lo dico, è Angèle», il talento belga (qui la nostra intervista) già al fianco di Dua Lipa per Fever. Un meritato traguardo che inaugurerà un nuovo tour europeo di 15 date in partenza il 4 aprile dal Lussemburgo e che passerà per Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Polonia e Spagna per concludersi con una doppia data a Milano prima di un’estate di concerti in tutta la penisola.

Ma prima – e soprattutto – Sanremo. Che dopo tre successi di fila (con Gioventù bruciata a Sanremo Giovani e tra i big con Soldi e Brividi in collaborazione Blanco), è quasi casa sua. Quest’anno per la serata delle cover ha scelto Come è profondo il mare di Lucio Dalla: «Una delle canzoni più belle di sempre. C’è questo tema molto forte della libertà, del pensiero che è come il mare che non puoi recintare. Questo tema della libertà è molto legato al mio immaginario, come ad esempio Icaro è libero di Ghettolimpo». Al suo fianco, per la prima volta nella storia di Sanremo, un gruppo di canto a tenore, un preciso canto corale sardo, i Teneros di Bitti, una scelta che lo riporta alla terra della madre e che richiama simbolicamente quella Tuta gold scritta proprio sull’isola insieme a Katoo.

Le aspettative? «Non parliamo di vittoria, ma naturalmente voglio alzare l’asticella delle mie performance. Quel palco mette giusto poco poco di ansia. E allora sai che ti dico? Vorrei dormire bene questa volta. Io dormo solo su materassi duri, e gli scorsi anni me li davano soffici e non dormivo mai. Quindi quest’anno voglio riuscire dormire. E sì, voglio fare bei sogni».

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