Sanremo, tratta bene Rkomi | Rolling Stone Italia
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Sanremo, tratta bene Rkomi

Ha fatto l'album più venduto/ascoltato del 2021 e Sanremo lo renderà ancora più popolare. E allora preghiamo il santissimo festival che non ce lo restituisca come uno che fa i duetti con Ana Mena

Sanremo, tratta bene Rkomi

Rkomi

Foto press

Era stato organizzato tutto alla grande, dalla casa discografica, come routine promozionale per il lancio della nuova versione del già fortunatissimo album di Rkomi Taxi Driver, a cui è stata aggiunta una manciata di brani in più (non solo quelli sanremesi, tra il brano in gara Insuperabile e la cover di Fegato, fegato spappolato di Vasco Rossi pro Ariston, ma anche qualcosa in più). La chiacchierata con lui l’avremmo dovuta fare a zonzo per Milano su una Ford Mustang vintage, effettivamente abbastanza notevole e spettacolare, tanto per avere quello spunto narrativo in più e, insomma, soprattutto comunicare quell’aura di glamour che deve per forza circondare i personaggi del pop d’altissimo livello oppure quelli del rap che ce l’hanno fatta.

Ecco: Rkomi, guarda un po’, riesce ad essere entrambe le cose. Già. Ormai lui è pop di successo – i numeri pazzeschi di Taxi Driver prima versione parlano chiaro, e con questi numeri lui a Sanremo nel 2022 ci entra dalla porta principale – però al tempo stesso solo persone insane di mente o disoneste intellettualmente disconoscerebbero le sue radici 100% hip hop, che sono fortissime: i primi dischi, le collaborazioni, i compagni di strada dei primi passi e dell’ascesa (Izi, Tedua, Shablo, Roccia Music, eccetera eccetera).

La grande differenza, rispetto a un tempo, è che questi ibridi possono esistere. Gli ircocervi metà pop metà rap oggi sono prestigiosi e diffusissimi nani da giardino e sono come quel colore che, in determinate stagioni e determinate collezioni, sta improvvisamente bene su tutto. Rkomi andava tipo in seconda elementare quando ci fu invece una gran cagnara, nella scena alternativa e in quella hip hop di casa nostra attorno al fatto Neffa smetteva col rap e si metteva a fare canzoni pop. Se la vissero male in tanti, e se la visse male Neffa per primo (che un po’ non voleva rilasciare interviste e parlarne con gli amici, un po’ inseguiva le interviste e gli amici per sillabare come lui non si sentisse un traditore e come comunque quella era la cosa giusta da fare perché il rap era un giogo). Psicodramma. E oggi? Oggi, Rkomi può diventare al 100% un cantante pop – un nuovo Carboni, diciamo, anche se ne ha di strada da fare prima di affinare così tanto la sua poetica e anche la sua musica – senza che nessuno abbia niente da ridire. È normale, è naturale.

Anzi constatano in molti e constata lui stesso, parlando con noi durante l’intervista, quasi a volersi e volerci rassicurare: «Comunque c’è molto rap nel mio modo di scrivere canzoni, credo. No?». C’è Mirko, ce n’è, non ti preoccupare. Ed è effettivamente proprio questo – quasi sicuramente – il motivo per cui il tuo pop funziona, conquista, fa i numeri, è rilevante per così tante persone: è questa combinazione. Ha un fresco sapore di immediatezza, ha il senso dei tempi. E li ha senza bisogno di fare il personaggio, senza bisogno di parlare per forza su una Ford Mustang vintage per sentirsi più grosso, importante, protetto, considerato. Di comune accordo, saltiamo la possibilità del giro nella macchina clamorosa e ci mettiamo subito a parlare, registratore aperto.

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È diventato incredibilmente maturo e posato, Rkomi. Non è più il giovane rapper di talento che in maniera rabbiosa e talora scomposta elabora una poetica bellissima ma dolorosa, un’architettura intima e intimista ma brutalmente incendiaria. È altro, da un po’ di anni. E ora è molto più sereno. Come dice lui stesso a un certo punto della nostra conversazione, quanto appunto parliamo di “tradimento” nei confronti del rap (Fibra ci ha costruito un album sopra, sulla problematicità di ‘sto concetto, figuriamoci): «Ma tu tradisci il rap se te ne esci, se lo abbandoni o lo fai in un altro modo, o tradisci te stesso se ci stai dentro a forza sempre in una specifica maniera? No, perché tra l’altro a 40 anni ci devo arrivare io, non chi punta il dito imponendo questo o quello».

E quest’ultima è una frase davvero fulminante. Lenita peraltro un attimo dopo, come già anticipato prima, da «e comunque credo che ci sia ancora molto rap nel mio modo di scrivere». Ce n’è Mirko, ce n’è. Non ti preoccupare. E ce n’è non come calcolata mossa strategica, come modo furbo per rendersi più accattivante verso il nuovo pubblico del pop, voglioso tanto di morbidezza quanto di quel tocco piccante di street credibility, da combinare in una ricetta che funzioni, rassicuri e vada bene un po’ per tutti. No: in Rkomi c’è davvero. I calcoli, alla peggio, li hanno fatti altri. Ma in lui c’è davvero. Con massima onestà e naturalezza.

Ma ormai c’è molto altro. Nel suo pantheon attuale cita Plant e Ozzy, cita Vedder e Jack White, ma cita anche – ehi, questa è notevole – i Primus. Cita poi i Morphine (notevole anche questa!) e David Bowie, e accetta pure l’imbeccata della discografica seduta a cinque, sei metri da noi che urla alla fine di questo elenco «Trent Reznor! Trent Reznor!», e lui non ci prova nemmeno a contraddirla, anzi sottolinea: «Sì, Reznor, assolutamente, anzi, forse è quello che mi ispira di più», e pazienza se il mefistofelico tremendismo dei NIN, mmh, ci sembra (ancora) un po’ distante dall’Rkomi cantore del pop contemporaneo per tutti (tipo Vasco: non a caso al Teatro Ariston farà un suo medley con la pregiata compagnia dei Calibro 35).

Insomma: artisticamente parlando, è una bestia strana Rkomi. Ha un passato da pericoloso, nervoso e sboccato rapper e un presente da rassicurante cantautore in grado di sintonizzarsi comunque non banalmente con un pubblico vasto. Oh, il sapersi sintonizzare con un pubblico vasto non va sminuito: è un arte, un pregio, un dono – ed è un qualcosa che tutti vorrebbero, anche quelli che lo negano, e che invece pochi hanno e ottengono, e quei pochi devono comunque lavorare come matti, oltre ad essere fortunati. Ad ogni modo: ha dei riferimenti artistici interessanti e non scontati, questo nuovo protagonista del pop chiamato Rkomi (all’elenco di prima, va aggiunta anche «Marina Abramović, ho imparato a conoscerla e a studiare tutto quello che ha fatto e ne sono rimasto folgorato»), ma li tiene a bada o li centellina in dose omeopatica per ottenere alla fin fine una musica che parli a tutti.

Sì, artisticamente parlando è una bestia strana; ma umanamente parlando, Rkomi è semplicemente una bella persona. Ti dà proprio questa idea qui. Non ti comunica calcolo, opportunismo, furberia, arrivismo; ti comunica semmai il fatto di essere uno che ha visto i demoni e ha fatto una vita difficile (come raccontato più volte, e l’ha ribadito anche a noi «Ho fatto molti lavori manuali, il lavapiatti, il cameriere…»), ma con sangue freddo e autodisciplina invece di rimestare nel disagio e crogiolarvicisi dentro se n’è tirato fuori passo dopo passo lavorando sodo, in maniera metodica ascoltando non solo i discografici, gli amici famosi e i consulenti d’immagine, ma anche e soprattutto se stesso, con tanto buon senso, e con un tocco robusto di onore, dignità e senso del dovere.

Tanto da arrivare a dire oggi che il suo essere un musicista è «un lavoro. Sì, è un lavoro». Sicuro sicuro, Mirko? «Oddio, forse di per sé la musica non lo è per forza. Ma lo diventa, nel momento in cui è la cosa che ti fa portare i soldi a casa. È brutto da dire?». No. Anzi, finalmente qualcuno che lo dice. «È che visto da fuori spesso non sembra un lavoro e spesso questa accade anche per colpa nostra, di noi che facciamo musica e la facciamo a un certo livello. Ogni tanto mi sembra che noi artisti per primi, qualche volta, non capiamo quanto la musica sia una cosa seria. Di sicuro è valso per me, all’inizio: non ne ero del tutto consapevole. Poi ho iniziato a vedere più cose, a conoscere più persone; e ho capito ad esempio che io non posso non conoscere la musica, intendo proprio tecnicamente. Da lì, la decisione di prendere lezioni di pianoforte, come sto facendo adesso, e altre cose ancora poi, che ora non mi va di dire. Magari fra qualche anno mi stufo di voler approfondire questo o quello, ma ora come ora sento molto il fatto che la musica, anzi, il fatto di suonarla e portarla in giro sia qualcosa di – come dire? – sacro. E va rispettato come tale: con l’impegno, con l’approfondimento».

Una pausa, e poi riprende: «Il palco poi è il luogo dove ti metti a nudo, dove ti viene proprio chiesto di farlo: più ci riesci a farlo e più sei bravo. Sfruttiamola, questa cosa! Ma sfruttiamola da persone preparate, per sfruttarla bene. Sfruttiamola da persone curiose, anche. Ti dicevo della Abramović, no? Ecco, ora sto pensando a un’idea futura di live che sia molto teatrale, che nasca da tutta una serie di idee su spazio e luogo su cui lei mi ha fatto riflettere…». Ehi ehi ehi: dopo anni in cui chi voleva essere atipico nel pop citava sì la Abramović, ma palesemente lo faceva per far vedere quanto era acculturato e superiore (quella che gli scienziati e i medici chiamano morganite), oggi invece abbiamo Rkomi che la cita con naturalezza e in modo innocente, non per épater la bourgeoisie, ma perché vuole condividere delle scoperte inaspettate e stimolanti che ha fatto. Punto. Molto meglio così, forse.

La copertina della nuova versione di ‘Taxi Driver’ che uscirà venerdì 28 (‘Insuperabile’ sarà pubblicata durante Sanremo, la cover di Vasco il 5 febbraio)

Ecco: uno dei motivi per cui Rkomi dev’essersi sfilato quasi completamente dal gioco del rap – in cui era bravissimo – è probabilmente perché non si trovava e trova a suo agio a dover essere sempre in gara con qualcosa o qualcuno, sempre lì a dover dimostrare questo o quell’altro. Piuttosto, si è messo di buzzo buono (la musica che diventa lavoro, appunto); ha lavorato su se stesso; e si è fidato e affidato a un determinato nucleo di persone (che inizialmente l’aveva intercettato per il suo talento nel rap, ma ha capito che lui in quella storia era sì un talento naturale, ma non ci stava del tutto bene), nucleo che nella nostra chiacchierata Mirko cita, evoca, ringrazia, magnifica più volte, includendo sia i soci del giorno uno che i grandi professionisti delle major che gli si sono avvicinati successivamente. Ha preso tutto questo, l’ha messo insieme e, semplicemente, ha funzionato. «Magari un po’ anche perché un po’ di talento ce l’ho», chiosa, ma quasi scusandosi di questa chiosa.

«Io sento comunque che sono ancora lontano dal raggiungere il massimo e il meglio di quello che potrei fare, con la mia scrittura. E ci sto lavorando tanto. Ora faccio uscire questa nuova versione di Taxi Driver, perché comunque volevo aggiungere dei colori che forse mancavano nella prima versione dell’album, ma il mio prossimo disco voglio che sia ancora più maturo». Più maturo? «Più maturo sia nella scelta dei temi che delle parole, ma soprattutto proprio come modo di scrivere, come struttura: a oggi la mia caratteristica è sempre stata il flusso di coscienza, lo so. Ed evidentemente la cosa ha avuto un suo perché. Ma voglio e posso fare ancora meglio». E potresti riuscirci, caro Rkomi, soprattutto se in questo 2022 uscirai vivo da quel tritacarne che è Sanremo, a cui partecipi per la prima volta, tu bestia strana del pop. «Me lo stanno dicendo tutti, che è una cosa abbastanza assurda andare lì. Boh? Io davvero non so cosa aspettarmi».

Ciao, Sanremo: Rkomi è il nuovo che avanza, come vedi, ma è anche e soprattutto una bella persona, una persona emotivamente onesta e rispettosa: nonostante le radici hip hop, o forse invece proprio per esse. Trattalo bene. Rispettalo. Provaci. E non restituircelo come uno che fa solo i duetti con Ana Mena, o il giudice nei talent. Sarebbe un peccato.

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