Cosa hanno in comune Peter Doherty e Morgan? Apparentemente nulla, in realtà moltissimo. È bastato farli incontrare per averne la riprova. Non ci credete? Eppure, l’impensabile è accaduto a margine (e anche durante) di una delle folli serate del Dirty Mondays di Milano, dove non ci siamo lasciati scappare l’occasione di immortalare il momento. Non solo con una foto – che comunque c’è, un bacio tra i due piuttosto iconico – ma anche con un video che era pensato come una intervista: Morgan l’ha iniziata con tutti i crismi ma poi, fatalmente, fra qualche birra e alcune sigarette, è scivolata in un dialogo intimista fra due artisti che ormai – o forse mai – hanno saputo distinguere la musica dalla vita, nel bene e nel male. Meno male, visti i risultati, dirà qualcuno.
Un bohémien inglese e uno scapigliato italiano, il rischio che non si annusassero era altissimo. Invece è bastato uno sguardo per instaurare una incredibile sinergia. Morgan arriva al Teatro Principe e quando si trova di fronte a Doherty fa un movimento circolare come per studiarlo. Doherty, dal canto suo, rimane immobile ma, dopo averlo squadrato dall’alto in basso, si apre in un sorriso. A quel punto Morgan risponde con una strizzata d’occhio e i due si abbracciano. Non è servito neppure parlarsi e la connessione era già stabilita.
Dove vogliamo fare l’intervista? Rompiamo l’idillio. Ma come, dove? Non certo in un posto così formale come un teatro, puntualizzano all’unisono. «Andiamo in un bar», propone Pete, che è appena arrivato dall’aeroporto. «Ce n’è uno qui di fronte» risponde Morgan, che fa valere la conoscenza del territorio. E così, in un tavolo sotto un dehor senza nessuno sfavillare di aperitivi milanesi, fra l’indifferenza generale degli avventori (e chi poteva aspettarsi una compagnia simile?) si svolgerà uno degli incontri più bizzarri e inaspettatamente profondi ai quali ci è capitato di partecipare.
«Posso dirtelo? Sei fighissimo stasera», esordisce Pete, attratto dalla giacca di Morgan, un capo di sartoria intarsiato e cucito su sua ispirazione. «Io? Grazie», risponde stupito, e rilancia facendogli notare di indossare anche un simbolo che sicuramente ha un valore per entrambi: «Sai cos’è questo? È un fiocco anarchico». Pete chiede di provarlo ma, sconsolato, si accorge vedendosi allo specchio che su una t-shirt non fa un grande effetto: «Non sta molto bene senza la camicia».
Sono soltanto i convenevoli, prima che Morgan affondi il colpo con una domanda da ko: «Sei felice?». Doherty è colpito, ma non affondato: «E tu sei felice?», prova a svicolare. Ma a quel punto Morgan replica sicuro: «Credo di sì». E lo sollecita di nuovo: «Se dovessi morire adesso, saresti sereno?». E Pete, senza esitazione, finalmente si lascia andare: «Posso dirti di sì, in questo posto esatto». Ne seguirà una stretta di mano, una specie di patto di sangue, e un dialogo successivo che riserverà diverse sorprese. Dal desiderio di Doherty di fare l’attore («per me è facile indossare i panni di qualcun altro»), alla sua visione del «liberal-capitalismo che sta opprimendo la società», a un modo per reagire condiviso («un pessimismo attivo»).
E ancora, i soldi, più quelli persi (da tutti e due) che quelli risparmiati, le droghe («quando smetti perdi il mondo, ma guadagni te stesso»), le donne e l’amore («prima o poi finirà, lo sai?» lo provoca Morgan, ma lui – che si è appena sposato – non ha dubbi: «Non è possibile»), mentre nel frattempo le pinte si svuotano e il posacenere è sempre più stracolmo. Si incontreranno citando Chomski, Marx, Brecht, duettano su un brano di Ziggy Stardust e declamando un verso della Divina Commedia da parte di Morgan con grande ammirazione di Pete. «Si vede che ami la poesia, è come se la sentissi dentro».
Il tempo è scaduto, purtroppo. Doherty è atteso per la serata, dove si esibirà in un dj set. Morgan parteciperà, salirà sul palco: altri abbracci, dialoghi fitti che solo loro si portano dentro (come è giusto che sia) e alla fine Morgan che, sulla via del ritorno a casa, ci ammetterà: «Pete Doherty è una persona gentile e molto curiosa, praticamente mi ha ricordato quello che viene insegnato come l’ideale del “fanciullino” nella poetica di Giovanni Pascoli. È stata una bella occasione fargli delle domande, mi sono riconosciuto». Siamo sicuri che sia accaduto lo stesso anche per Pete.