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Senti come suona l’America di Sam Shepard portata in Italia da Clementi e Nuccini

Nel nuovo progetto musical-letterario 'Motel Chronicles', Emidio Clementi e Corrado Nuccini riprendono i racconti dello scrittore e commediografo statunitense. È la California, ma sembra l'Emilia-Romagna

Foto: Laura Bessega

Nel libro Motel Chronicles Sam Shepard ricorda di quando Nina Simone si esibiva al Village Gate, nightclub nel Greenwich Village a New York dove lui, non riuscendo ancora a raggranellare abbastanza soldi con il teatro, faceva il cameriere. “Il suo spettacolo mirava alla gola di un pubblico bianco. Poi al cuore. Era una raffica mortale a quei tempi. Ma a stendermi era sentirla cantare You’d Be So Nice to Come Home To. Da pelle d’oca. Magari ero in giro a raccogliere i bicchieri di Whiskey Sour e lei attaccava una specie di frana dissonante al pianoforte, con la sua voce spettrale che si insinuava in quell’ammasso di accordi. Non potevo fare a meno di alzare gli occhi verso il palco. Restavo lì immobile a fissarla per tutta la durata del pezzo, mentre le mie mani continuavano a lavorare”.

Già solo da questo frammento si può cogliere il potente lirismo insito nella prosa del drammaturgo, scrittore, attore e sceneggiatore americano morto di SLA nel 2017, che con la musica ha avuto a che fare in più modi, basti dire che in gioventù fu percussionista negli Holy Modal Rounders e che, oltre alla pièce teatrale Cowboy Mouth con Patti Smith, sua amante e poi amica fino alla fine, sono per metà sue le parole di Brownsville Girl di Bob Dylan.

Anche per questo l’album Motel Chronicles di Emidio “Mimì” Clementi e Corrado Nuccini, in uscita venerdì 14 aprile, è da considerarsi un tributo coerente a una mente geniale e instancabile che tra gli anni ’60 e il 2016 – anno dell’ultima apparizione pubblica nel film Il coraggio degli ultimi di James Franco – ha conquistato una moltitudine di premi tra cui un Pulitzer nel ’79 per l’opera teatrale Buried Child e una candidatura agli Oscar nel 1984 come protagonista di Uomini veri di Philip Kaufman, oltre ad avere co-firmato le sceneggiature di due capolavori del cinema come Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni e Paris, Texas di Wim Wenders.

Terzo capitolo di una trilogia musical-letteraria che tra il 2015 e il 2017 ha visto i due emiliani – di nascita Nuccini, d’adozione Clementi – omaggiare Emanuel Carnevali e il suo Notturno americano e i Quattro quartetti di T. S. Eliot, il disco nasce dalla selezione di alcuni estratti del libro di Shepard edito in Italia da Il Saggiatore e originariamente, nel 1982, dalla City Lights di Ferlinghetti: non un romanzo, ma una raccolta di racconti, poesie, testi brevi. Il risultato sono dieci istantanee di un’America spietata e crepuscolare prodotte da Giacomo Fiorenza, impreziosite dallo spoken word di Clementi e sonorizzate da Nuccini assieme al fondatore dei Massimo Volume e a una folta schiera di amici e colleghi, da Emanuele Reverberi (tromba, violino) a Fabio Rondanini (batteria), passando per l’ensemble d’archi Concordanze.

«Shepard ha una forma di scrittura che si avvicina alla canzone, come Carnevali ed Eliot lo abbiamo scelto perché ci piace, ma anche per le potenzialità musicali», spiega Clementi, classe ’67, voce e basso dei Massimo Volume, nonché autore di romanzi e racconti. «Personalmente Motel Chronicles non l’ho solo amato: negli ultimi 30 anni, quando c’era da rimettermi a scrivere testi o da cercare una nuova idea di racconto, sono sempre tornato a Shepard perché è la narrativa come la intendo io. Una narrativa che si nutre di un’attenzione forte nei confronti dell’ambiente, della volontà di cercare, scoprire e individuare tutto quello che di contraddittorio e di particolare c’è nel contesto che si vive ogni giorno. Parliamo di uno scrittore che a noi può apparire esotico, in fondo rappresenta l’America, e un’America che forse è stata fin troppo raccontata. Però è anche vero che lui parla del suo spazio con uno sguardo solerte verso le cose di tutti i giorni e così, alla fine, la sua Homestead Valley diventa la nostra Casaleggio».

Dal canto suo, Nuccini, classe ’74, una laurea in Lettere, da più di 20 anni chitarra e voce dei Giardini di Mirò e dal 2020 direttore artistico di Ferrara sotto le stelle, afferma di essere legato all’immaginario creato da Shepard sul grande schermo: «Come tanti ho incontrato Motel Chronicles inconsapevolmente attraverso molte cose presenti in Paris, Texas: la scena dei dinosauri immortalata nel film di Wenders è qualcosa di assolutamente iconico, un crocevia perfetto tra musica, letteratura e cinema. Ciò detto, è molto bella la sua scrittura, perché è una sintesi tra narrativa e poesia che quasi solo gli americani sono riusciti a creare. Penso a Carver: quel tipo di letteratura lì riesce sempre a essere poesia non nella forma in cui ce la immaginiamo, ma in quanto capace di avvicinarti alle cose con un significato estremamente poetico. E i brani di Motel Chronicles inclusi in questo disco ruotano tutti attorno a figure profondamente poetiche, emanazioni di quello che non può che essere stato un viaggio di ricerca importante: l’uomo che nutre i suoi animali domestici e non riesce a dare da mangiare a se stesso, l’uccello che si schianta in un parcheggio, una madre e un figlio in macchina che d’un tratto si ritrovano di fronte degli enormi dinosauri spuntati in mezzo al nulla…».

Foto: Laura Bessega

Motel, parcheggi, strade statali, praterie, fienili, sabbia rovente, fili d’erba. L’ascolto di Motel Chronicles è un viaggio in un’America sconfinata, popolata da personaggi inquieti che conoscono la solitudine, l’alienazione, il senso di smarrimento, alla ricerca di risposte che la vita non riesce a dare. E se quello di Shepard è uno sguardo che abbraccia orizzonti ampi, ma capace di catturare l’intimità umana che li attraversa, Clementi e Nuccini quello sguardo lo rendono attraverso atmosfere sonore nebbiose, dilatate, in cui rimbomba la potenza della vita, ma anche il vuoto feroce di una quotidianità spogliata di speranza e di futuro, dove una ragazzina corre dietro a un pezzo di cellophane in uno spiazzo deserto pregandolo di fermarsi, dove l’unico desiderio di un uomo è di rimanere catatonico per mezz’ora ogni mattina, dove ci sono uomini ossessionati dal giudizio delle donne e donne ossessionate dal giudizio degli uomini, dove un uccello si schianta sul suolo per aver confuso il riflesso dell’asfalto con la superficie di un lago, dove si compiono delitti efferati e “qualunque luce è meglio del buio”. I testi sono brevi e fulminanti, la musica che li accompagna fonde l’elemento americano con il trip hop della Bristol anni ’90, citazioni tex-mex con momenti orchestrali a base di archi e fiati, il tutto arricchito con voci, sampling, field recording, sintetizzatori analogici quali il Roland Juno-60, il Little Phatty e il MicroKorg.

«Quando abbiamo iniziato a pensare a questo progetto gli spunti musicali erano molti», dice Clementi. «Uno è quello messicano, perché Shepard ha vissuto molto in California, territorio contaminato culturalmente dal Messico. Poi c’è il country & western, ma per evitare il rischio di tratteggiare un’America un po’ da cartolina abbiamo sentito il bisogno di riequilibrare tutto questo con una musica più vicina a noi».

Continua Nuccini: «Musicalmente qui c’è una differenza rispetto al progetto legato ai Quattro quartetti di Eliot, che era un materiale letterario votato, sì, alla forza poetica, ma in particolar modo al ritmo, per cui per renderlo bastava un viaggio che girasse attorno all’elettronica. Quello di Shepard è un universo più ricco, lui ha questa capacità di portarti in pochi minuti altrove, in spazi incredibili, ma anche di abbandonarti, in quell’altrove. Di qui la nostra esigenza di non mollare l’ascoltatore dopo magari averlo condotto da solo tra i dinosauri con un cubetto di ghiaccio in bocca e, dunque, di comporre delle strumentali caratterizzate anche da una certa forza epica e da quel senso di drammaturgia tipico della musica da viaggio e da film».

È un linguaggio evocativo, ma tutt’altro che astratto e, anzi, ricolmo di dettagli, quello di Shepard. Qualità che si ritrovano nella musica di questo album atipico, realizzato attraverso incastri e stratificazioni di suoni. «L’approccio che porto avanti nella musica che faccio sia con Mimì, sia con i Giardini di Mirò, sia quando lavoro con la musica per immagini, con le sonorizzazioni e anche nella divulgazione con workshop su musica e immagini nelle scuole, mi ha consentito di sviluppare nel tempo un’abilità nell’uso di linguaggi che sono alternativi rispetto a quelli solitamente utilizzati nel rock e nel pop», sottolinea Nuccini. «Registrazioni ambientali, musica elettronica e atmosfere ambient fanno parte di un lessico centrale anche in Motel Chronicles. Non vorrei addentrarmi troppo nei particolari, ma se proprio vogliamo svelare qualche curiosità a chi lo ascolterà, il disco nasce con il taglio di un pezzo degli Hermanos Gutiérrez, duo prevalentemente strumentale di musica tex-mex, in cui c’è una voce che dice “te entrego el corazón”, che non so nemmeno bene cosa voglia dire, ma che mi ha molto suggestionato. Poi a un certo punto, nel primo estratto dell’album, Se ne sta immobile accanto alla valigia sfasciata, c’è un campionamento di La Anunciante, brano di Chris Watson da El Tren Fantasma, suo disco del 2011 molto famoso tra gli appassionati di field recording. Il brano è la storia di questo treno che in Messico gira su una sorta di un binario morto, perché con una sola direzione, e sotto si sente una voce pronunciare la frase “última llamada para el tren fantasma”, voce che ho recuperato perché stava benissimo con gli spazi aperti, i landscape, la ricerca di nuovi territori che contraddistinguono la letteratura di Shepard».

Tornando ai testi, va detto che quelli recitati da Clementi sono stati da lui stesso tradotti e riadattati ad hoc per questo progetto pubblicato sia in digitale, sia in vinile, che dopo l’anteprima live dello scorso 25 marzo all’Efesto di Bologna, sarà presentato dal vivo il 13 aprile allo sPAZIO211 di Torino, il 16 al Biko di Milano, il 21 al Lumière di Pisa, il 29 al MAT di Terlizzi (Ba), il 3 maggio al Monk di Roma. «Tradurre è stato faticoso perché la traduzione è sempre un tradimento e allora ti ritrovi inevitabilmente a chiederti che tipo di tradimento puoi e vuoi operare. Shepard per dare ritmo alla scrittura ricorre molto all’aggettivazione, però è un’aggettivazione che in italiano diventerebbe ampollosa e suonerebbe un po’ strana. Per cui spesso ho dovuto compiere delle scelte rispetto a quale aggettivo selezionare tra i tre o quattro attaccati a un sostantivo, e non è stato facile. Ma sono orgoglioso del risultato e soprattutto mi è piaciuto dare una mia voce a un autore che sento così vicino, che ho sempre letto tradotto da altri e che adesso è diventato un po’ più mio».

Quanto all’immagine di copertina, uno scatto del fotografo americano Josh Sinn, lui e Nuccini la descrivono come «una promessa di viaggio». «Abbiamo fatto una ricerca e ci siamo resi conto che l’immaginario americano è talmente codificato che piazzare sulla cover un neon con scritto “motel” sarebbe stato banale», osserva Corrado. «Invece questa foto ci ha colpiti per la prospettiva laterale e le luci molto profonde. È tutto merito del curatore dell’artwork, Tommaso Belletti: è lui che ci ha fatto conoscere Sinn, autore anche della fotografia sul retro, portandoci in un mondo americano un po’ alla Breaking Bad e simili, e però inserito in una visione personale. Non volevamo un paesaggio riconoscibile, volevamo quell’America lì, intrisa di quella solitudine che si prova anche nei paesaggi emiliani o altrove: in fondo quella fotografia potrebbe essere stata scattata a Brisighella».

È una boutade, ma che scaturisce da una riflessione seria sull’universalità delle visioni di Sam Shepard e su quella che Nuccini definisce «un’autofiction che non si limita al racconto della propria vita, ma che in quest’ultimo trova un pretesto per narrare qualcosa di universale». «Ultimamente mi sono appassionato ai film del regista francese Melville e mi sembra che nascano da un’operazione affine a quella che noi abbiamo messo in campo qui», commenta Clementi. «Come Melville inquadra la Costa Azzurra o i quartieri di Parigi come se fossero l’America, mentre in realtà è la Francia, guardando la nostra immagine di copertina ci si può chiedere se è Brisighella o il profondo Midwest. Si tratta di vedere lo spazio attorno a noi in una maniera diversa ed è il motivo per cui, come si diceva prima, Shepard è esotico, ma ha uno sguardo che un po’ ci appartiene».

Uno sguardo anche senza tempo: «La sua scrittura trascende il periodo storico in cui ha vissuto; il suo momento d’oro sono stati gli anni ’80, ma i suoi testi potrebbero essere di due secoli fa e tra cent’anni ancora ci parleranno. Non è questione di schiettezza o sincerità, il grande valore della sua opera sta nella sua capacità di carpire quell’ambiguità della realtà che ci circonda, che è l’ambiguità che esiste da quando l’uomo è sulla Terra».

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