Un album di inediti di successo che ora esce in una nuova versione, un tour sold out nei palazzetti, la consacrazione televisiva con il ruolo di giudice a The Voice Of Italy: Max Pezzali quest’anno non si è fermato un attimo. E, nonostante 25 anni di onorata carriera, cose da imparare ne ha ancora. Per prima cosa come funziona in TV. Ora The Voice è quasi finito, e gli abbiamo chiesto di raccontarci com’è andata, cosa cambierebbe e cosa cambierà nei talent televisivi, passando per Drake, Manuel Agnelli e I Cani.
È appena uscito Astronave Max New Mission 2016, una riedizione del tuo album uscito un anno fa. Un motivo per festeggiare questo anno di super successo, tra tour sold out e tv…
Assolutamente, ma è anche un modo per rimanere in giro. L’album era andato bene, poi c’è stata la parentesi di The Voice, nella quale mi sono buttato con l’entusiasmo di un bambino. Ma ora è tempo di ripartire con la musica. Ho fatto la versione 2.0 dell’album anche perché ormai i dischi non finiscono nel momento in cui li pubblichi. Hanno un ciclo vitale molto diverso rispetto ad anni fa. Non è più solo un evento – tutte le regole che conoscevamo non ci sono più, bisogna sperimentare.
Per questo uno dei due inediti, Due Anime, l’ha scritto Niccolò Contessa de I Cani?
Sì, è così, anche se in questo caso i responsabili siete voi! Io e Niccolò ci siamo conosciuti alla festa di Rolling Stone, qualche anno fa. Io sono un fan del suo modo di scrivere, credo sia uno degli autori migliori che abbia mai conosciuto. Canzoni come Corso Trieste, Baby Soldato… ha fatto fare un passo avanti alla scrittura italiana.
Cosa ne pensi dei nuovi esponenti dell’indie? Parlo soprattutto della scena romana, Calcutta, TheGiornalisti…
Io sono felice già del fatto che a Roma stia succedendo qualcosa, te lo dico per una questione affettiva. Ho sempre pensato che Roma fosse rimasta in una condizione autoreferenziale, un po’ sconnessa da quello che succedeva in giro. Spero che finalmente si stia muovendo qualcosa di importante, al di là de I Cani.
Invece in TV com’è andata? Ormai The Voice sta finendo, possiamo fare un bilancio?
Mi sono divertito molto. Quello che mi ha arricchito di più è stato sicuramente quello che è successo dietro le quinte. Quello che “si vede” appartiene a una logica televisiva, da prima serata su rete generalista. Devi avere un certo linguaggio. Quello che succede in sala prove invece è molto più rappresentativo di quello che è The Voice: quando sei con i ragazzi, con il direttore creativo, con il vocal coach, e insieme si ragiona su quali sono i punti di forza e i punti deboli, cercando di dare brani che possano valorizzare i concorrenti.
Che effetto ti ha fatto la TV in questo ruolo?
Ho dovuto accettare il fatto di essere entrato in un territorio non mio. Non sei a casa tua, sei esposto a molte critiche. Per me è stato formativo capire le dinamiche che ci sono dietro un programma televisivo che ha nella musica l’ingrediente principale. Capisci che esiste una logica televisiva che è più importante della situazione musicale. Devi sempre cercare di mediare tra te e le persone che invece stanno facendo solo televisione.
Un giudice riesce a imporre la sua personalità all’interno di un contesto del genere o è più forte la macchina della produzione?
Fosse per me direi ai ragazzi: «Senti, divertiamoci con questo pezzo». Ma poi devi confrontarti con altre dinamiche. A volte riesci a fare quello che vuoi, a volte no. In linea di massima è prevalente il meccanismo televisivo. Da esterno e da non televisivo credo che si dovrebbe osare di più, se però sei massimalista televisione non la fai. Alcuni meccanismi li capisci solo quando sei dentro.
Cosa ne pensi del caso Manuel Agnelli? È stato molto criticato da quando ha annunciato di essere uno dei giudici di X Factor.
Proprio perché sto capendo come funzionano queste cose posso dirti che la polemica è parte del gioco. Capisco che certe scelte vengono fatte per fomentare un interesse, anche negativo, purché se ne parli. Noi che veniamo dalla musica non abbiamo la velocità di ragionamento che c’è in televisione. Calcoliamo meno e certe cose le capiamo dopo. Secondo me ci sarà una rivalutazione da parte di chi critica Manuel Agnelli.
Pensi che i talent stiano raggiungendo un punto di saturazione dal punto di vista televisivo ma anche per l’industria musicale?
Sì. Come in ogni tipo di industria, e in questo caso ne sono coinvolte due, quando arriva una novità così deflagrante come sono stati i talent, da Amici a X Factor, cambia tutto. Ora però è diventata un’abitudine, ma sopratutto si sta verificando un effetto: è consuetudine, per chi inizia a suonare, pensare che quello sia l’unico sbocco possibile. Si ragiona e si ascolta musica in funzione di quello. I ragazzi vanno a lezione di canto pensando ai pezzi che potrebbero funzionare in quel contesto. Il talent quindi non è più un mezzo per raccontare la propria storia, ma diventa una carriera a parte. Ci sono persone che sono concorrenti di talent professionisti. Da noi c’erano ragazzi di Amici, per dire. Quando tutto è prevedibile non è più reality, è un training per piacere alle giurie. La voce e l’interpretazione sono una parte. Il resto è personalità, e la personalità la fai con i pezzi e con il gusto. I ragazzi crescono con una mentalità televisiva, ed è pericolosa perché rimani in un recinto dal quale è difficile uscire. Cosa interessa del talent? L’artista o il caso umano che c’è dietro?
E quindi cosa succederà?
Dovranno cambiare alcune regole. O si andrà totalmente verso la televisione, in cui si punta solo sullo storytelling e l’esibizione diventa il momento conclusivo, quello dell’applauso, oppure il talent deve iniziare a puntare sull’identità.
I classici del futuro nascono dalle canzoni, e qualcuno deve saperle scrivere
Tipo un talent per soli cantautori?
Certo. A quel punto diventerebbe un programma per un pubblico di nicchia, ma potrebbe diventare musicalmente interessante e soprattutto duraturo. Altrimenti diventa un insieme di gente che fa Ed Sheeran, gli One Direction o i pezzi delle cantanti nere del passato. Sempre le stesse cose. Bisogna puntare sull’artista a 360°. È meglio uno che canta benissimo i pezzi degli altri o uno che ha qualcosa da dire e magari e ha una identità precisa? I classici del futuro nascono dalle canzoni, e qualcuno deve saperle scrivere.
Da grande fan dell’hip-hop old school, potendo sognare, cosa vorresti vedere eseguito sul palco di The Voice?
Bring The Noise in versione mista Public Enemy/Anthrax e farlo passare come un classico qualunque, a livello della Sugar Hill Gang.
Cosa ti piace delle ultime grandi uscite dell’hip hop/r’n’b? Drake, Kanye, ma anche Beyoncé.
Ho ascoltato e sto ascoltando molto gli ultimi due di Kanye e Drake, sono un grandissimo fan di 40 (il produttore di Drake, ndr) che ha prodotto molte tracce di Views. Ho visto una video intervista a 40, in cui spiega che il suo studio è una “production room”, dove si costruiscono fisicamente tutti i pezzi. Lui dice che è inutile fare dei livelli di suono complicati che non lasciano spazio alla voce. Costruisce tutto intorno alla voce di Drake. Mi piace tantissimo la finta tendenza minimal di questo periodo… strutturalmente i brani sono molto meno rigidi, non c’è la ricerca di un ritornello, è tutto più sperimentale ed è coraggioso se sei un artista di quel calibro. 40 dice che tutti i discografici gli dicevano che era una cosa contro le regole. Ma loro l’hanno fatto. Sembrava che tutto fosse già stato scritto nella storia dell’hip hop, invece qualcuno che osa e se ne sbatte c’è ancora.
Anche le release dei dischi ormai non hanno più una logica precisa. O meglio, c’è ma non si vede. Non sono annunciati, escono nel bel mezzo della notte o con tracklist in continuo aggiornamento.
Vero. È come se improvvisamente fossero cadute tutte le regole. È un segnale che dovremmo cogliere anche noi piccoli… È inutile avere delle regole di mercato per un mercato che non esiste più come lo conoscevamo prima. Se provi a osare ci sono buone probabilità che sia un disastro, ma se non provi non succederà mai niente.
Quindi il prossimo disco lo farai uscire a caso?
Sì! Non annunciato, a caso, e senza suoni sotto. Solo lontanissimi!