Sembrano sempre dei giovincelli, ma il tempo passa anche per gli Skunk Anansie, che spengono le 25 candeline con 25live@25, il nuovo album live che, attraverso i brani più rappresentativi della loro carriera, esalta la loro formidabile presenza dal vivo. In pratica Skin & co. hanno messo insieme le registrazioni dei concerti più cazzuti che hanno tenuto nel corso degli anni.
Il risultato è un disco che celebra, in maniera non convenzionale, la formazione rock che ha saputo sparigliare le carte con temi politici e canzoni che sono – volenti o nolenti – entrate nell’immaginario collettivo. E poi gli Skunk si sono subito distinti: in un panorama musicale fatto (quasi) esclusivamente da componenti bianchi, loro hanno messo una frontwoman nera a urlare la loro rabbia contro i benpensanti e le convenzioni da rottamare. Multiculturalità e inclusione sono temi che, infatti, sono nel DNA della band, che si è foraggiata di sonorità nuove, in un’evoluzione continua. Oltre al disco sono stati annunciati anche i live che partono il 4 luglio da Nichelino (TO), per poi proseguire a Bologna (il 5), a Legnano (il 7) e a Roma (l’8). Ulteriori occasione per vedere un gruppo che, negli anni, è rimasto vero, autentico. Ed è proprio da qui che parte l’intervista con Skin.
È difficile rimanere autentici?
Per niente. Non penso sia una cosa di cui preoccuparsi, bisogna semplicemente essere sé stessi. Essere autentici, alla fine, è semplice. Diventa difficile quando si diventa famosi.
Perché?
Alle persone piace ripeterti – continuamente – cosa significhi essere famoso. Ecco, in quel momento bisogna stare con i piedi per terra e sapere cosa si vuole, il motivo per cui si ha successo.
Be’ tu sei una che ha avuto successo perché hai sempre combattuto molto. Ma contro chi?
Contro tutti. Ci sono state cose che per gli Skunk Anansie, come band, è stato difficile dover fare.
Tipo?
Avere una cantante come me, la musica rock e avere successo. Perché gli inglesi odiano quando hai successo. Quindi, ecco, bisogna combattere contro tante cose. Ma fa parte del gioco, la vita deve essere una lotta.
Ah sì?
La vita è così, se fosse semplice perché si dovrebbe lottare? Bisogna combattere. Sono convinta che la vita non dovrebbe essere semplice, non dovrebbe essere facile. Anzi, è interessante quando si commettono errori e bisogna sputare sangue per ottenere alcune cose.
E il risultato è…?
…che quando combatti per qualcosa, quel qualcosa ha più valore.
Voi avete molto lottato per imporvi, per suonare i vostri brani. Ecco, a questo proposito, quali sono state le canzoni più difficili da scrivere?
Penso quelle che riguardano la politica, perché hanno molte trappole.
Per esempio?
Possono sembrare banali e con dei cliché. Credo, però, che abbiano successo perché ci si butta dentro tutto quello che si pensa quando si è incazzati. Sono come delle reazioni a quello che sta accadendo. Le migliori canzoni sulla politica sono state scritte negli anni ‘70, si parlava del nemico pubblico. Ed erano anche tristi, in un certo senso. Quindi per scrivere una canzone sulla politica che sia autentica devo esprimere me stessa, far uscire fuori la mia voce, cosa abbastanza difficile. Per questo dico che ci si può fregare con le proprie mani.
Restiamo sulla musica. Hai definito la musica degli Skunk Anansie come Clit Rock. Cosa significa?
(Ride, ndr) Era una battuta. Un tempo si parlava sempre di brit pop, così ho pensato a questo gioco di parole: perché non definirsi clit pop? La prima volta l’ho detto tanto per scherzare, ma le persone mi hanno presa sul serio.
Sì eh?
Pensa che c’è un Clit Rock Festival a Londra. È proprio un grande festival musicale. Da noi, a Londra, va molto di moda creare questo tipo di parole, per questo motivo abbiamo deciso di mantenere questa definizione, eravamo anche un po’ sarcastici. E poi non esisteva nessun’altra band che si definiva in questo modo.
Clit rock o non clit rock. Che vuol dire, per te, essere rock oggi? Ha ancora valore?
Un rocker è una persona che vuole suonare degli strumenti veri con tanta passione. Si deve essere veri e suonare al limite per rendere il tutto movimentato, dar gusto a quello che si fa. Secondo me, chi vuole vivere una vita normale, non può far parte di una rock band.
Spiega un po’…
Fare musica rock vuol dire vivere al limite e portarsi una sorta di rabbia dentro. Vuol dire fare le cose a modo tuo e creare un sound, usare strumenti veri, come le chitarre o la batteria, che sono strumenti naturali. Perché, sai, quando suoni la chitarra il tuo corpo diventa un tutt’uno con lo strumento, è come sentirsi lo strumento. Questa cosa non succede quando si fa musica usando dei programmi al computer. È come essere un artigiano e gli strumenti musicali diventano parte dell’anima, di chi li suona.
E quando canti?
È la stessa cosa: quando canto sono completamente me stessa, sento la mia voce, sono io al 100%. È proprio questa la ragione per cui amo fare musica rock: si vive al limite, c’è la passione, un fuoco, c’è l’aggressività, una forte energia. Ed è tutto completamente autentico, viene dal cuore. Si crea un feeling che, con il computer, non si può trasmettere.
Ti sei sempre esposta su temi sociali e politici. Quanto è importante per un artista prendere posizione?
Un artista deve anche essere un individuo. Sono cresciuta a Brixton e lì sono successe tante cose. Nel 1991, quando avevo 14 anni, hanno distrutto tutto e la polizia ha iniziato a fermare le persone di colore, specialmente quelle giovani, gli adolescenti che facevano sentire la loro voce. Quando si cresce in un contesto simile, non si possono scrivere canzoni d’amore per tutta la tua vita.
Però tu le scrivi.
Sì, voglio dire che scrivo anche canzoni d’amore, ma non rappresentano del tutto quello che io sono realmente, come sono cresciuta, il posto da dove vengo. Penso di essere una rappresentante diretta, una testimone oculare, un prodotto rappresentativo dell’ambiente in cui sono vissuta, della mia infanzia. Se si è così coinvolti, si ha per forza qualcosa da dire, sulla merda che ci hanno buttato addosso e la merda che hanno cercato di buttare addosso ai neri dagli anni ‘80 agli anni ‘90. Ho scritto di cose che ho visto con i miei occhi e ho potuto sentire con le mie orecchie.
Mi fai un esempio?
Ho visto i bambini a King’s Cross, in questa zona multietnica di Londra. Per questo, nelle mie canzoni, parlo della nascita del razzismo e dell’antisemitismo, che comincia con i bambini e poi si evolve. Comunque non decido di scrivere una canzone sulla politica, succede e basta.
Restiamo in tema politica. Cosa pensi della situazione mondiale che vira verso destra?
Sono preoccupata. Anzi, ho paura, sono veramente spaventata. Questa cosa di Trump ha avuto un effetto domino: c’è un presidente americano razzista, sessista e omofobico. Le persone guardano a lui, lo prendono come esempio e lui fomenta questo odio, lo diffonde nel mondo.
Anche in Inghilterra ci sono stati riflessi di questa situazione.
Lo si vede con la Brexit che è legata alla paura dell’immigrazione. C’è chi fomenta la paura degli inglesi, terrorizzati dall’arrivo di migranti dalla Siria. Voglio dire, come faranno ad arrivare qui? La nostra è un’isola. Arriveranno dal mare? Arriveranno in barca e moriranno. In realtà, poi, in Inghilterra c’è un tasso di immigrazione molto basso.
Insomma non mi sembri d’accordissimo con Farage.
Credo che Nigel Farage abbia diffuso questa paura tra i britannici, dicendo stare attenti perché i migranti dalla Siria sarebbero arrivati in Gran Bretagna. E poi l’Inghilterra potrebbe essere un posto orribile dove vivere, invece si può mangiare della buonissima pasta. Immagina se dovessimo mangiare solamente cibo inglese! Scherzo, ovviamente, ma è per sottolineare il contributo che le persone dai vari Paesi europei e del mondo hanno dato all’Inghilterra. La Gran Bretagna era il Commonwealth, il più grande impero nel mondo, anche più grande di quello greco e dell’impero romano. Quindi, per noi va bene andare in giro per il mondo e rubare qualunque cosa vogliamo, perfino la cultura e il petrolio. Storicamente l’impero britannico si è comportato in questo modo, conquistava Paesi e rubava qualunque cosa, abbiamo una responsabilità particolare nei confronti di quelli che abbiamo rovinato come l’India, l’Africa, il Medio Oriente. Abbiamo una responsabilità nei confronti di quelle persone di quei Paesi che vengono da noi. Nigel Farage diffonde questo sentimento di paura e per me è davvero molto ipocrita, considerato come – lo dice la storia – i britannici si sono comportati nel mondo. E poi, lo ripeto, statisticamente le persone che arrivano in Inghilterra sono davvero molto, ma molto poche. Questo è quello che fa anche Trump, che continua a mentire al suo popolo e a diffondere la paura. Guarda anche quello che succede in Brasile e nel mondo in generale.
E quale sarebbe la soluzione?
Dobbiamo dare dei buoni insegnamenti ai bambini, ai ragazzi, alle nuove generazioni. Sono loro che avranno a che fare con tutto questo. Perché se queste persone prendono il potere possono cambiare le leggi e influenzare un popolo, colpendo diversi tipi di persone: gli omosessuali, i neri, gli italiani, i polacchi, i rumeni. Se non facciamo sentire la nostra voce per aiutare queste persone può toccare a chiunque. Non voglio vivere in un Paese in cui non ci sia la diversità. Al momento, in Inghilterra, è un disastro il Governo non sa cosa sta facendo. C’è bisogno di un referendum: le persone, all’inizio, non capivano cosa stesse succedendo, mentre adesso lo sanno .
Una curiosità, a questo punto. Sulla base dell’argomento di cui hai appena parlato, in Inghilterra come è vista la politica del nostro Ministro degli Interni Salvini sulla questione relativa ai migranti?
A dire la verità, non abbiamo una buona opinione. Da voi, in Italia, assistiamo a una successione di primi ministri che è una cosa davvero molto triste e deprimente. Io amo l’Italia, tutti sanno quanto la adori. Allo stesso tempo so quanto è frustrante, per gli italiani lasciati da soli, combattere contro un’immigrazione illegale, senza aiuti per risolvere questo genere di problema. Questa cosa può generare frustrazione, lo so, ma allo stesso modo andare nella direzione opposta è spaventoso, pericoloso. È la direzione sbagliata da prendere. Per questo sono spaventata per i miei amici italiani.
Capito. Dopo tutti questi argomenti seriosi, salutiamoci con un po’ di colore. Quando tornerai in Italia come giudice di X Factor?
(Ride, ndr) Be’ al momento sono un po’ impegnata. Ma come vanno le cose nel programma? Così così? Forse bisogna che torni! È stata una bella esperienza, anche se molto difficile: ho dovuto imparare l’italiano in pochissimo tempo. Lavorare in televisione, comunque, mi ha fatto vedere le cose da un punto di vista diverso.