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Slowthai: «Canto per i ragazzi iperattivi che non sanno qual è il loro posto nel mondo»

Si ispira a Jay-Z, ma anche a Elliott Smith e Radiohead. Ha esordito con un disco rabbioso e ora torna con ‘Tyron’, un concept introspettivo. È il rapper più inclassificabile del Regno Unito, ed è qui per restare

Foto: Burak Cingi/Redferns

Northampton, una città delle East Midlands a un’ora e mezza di auto a nord di Londra, è nota soprattutto per la produzione di scarpe. I residenti confezionano calzature dal XXVII secolo, quando producevano gli stivali indossati dai soldati parlamentaristi durante la Guerra civile inglese, e la città dà ancora i natali ai migliori calzolai del mondo. «C’è chi viene qui per comprare scarpe, è da sempre la nostra specialità», dice Slowthai, 26 anni. «Qui la gente vive in una bolla, come se non ci fosse altro al mondo. Gli altri sono lassù, noi quaggiù. È una mentalità da… calzolai».

L’MC con la lingua affilata e lo spazio tra gli incisivi, che in realtà si chiama Tyron Frampton, si è messo alle spalle Northampton intorno al 2017 per lasciare un segno nella scena grime e hip hop di Londra. Pezzi come T N Biscuits e Ladies erano un po’ grime, un po’ drill e un po’ punk. Le barre bilanciavano ferocia e vulnerabilità, così come una chiara visione su ogni ansia, discriminazione, umiliazione e vicolo cieco che incontra chi è cresciuto nella post recessione dell’era dell’austerity. Il debutto del 2019, Nothing Great About Britain, l’ha reso il cocco dei critici e una piccola star.

Slowthai descrive Tyron, il secondo album che uscirà il 12 febbraio, come un progetto molto più personale. Anche se ha iniziato a lavorarci nelle prime settimane del 2020, ha scritto buona parte del disco durante il lockdown che ha fatto a Northampton, con madre e fidanzata. Per questa intervista si è collegato via Zoom da uno studio casalingo stracolmo di cose, davanti a una montagna di tastiere e synth e impugnando una tazza di tè.

Tyron è diviso in due – si apre in maniera rabbiosa e incendiaria per poi diventare riflessivo e toccante –, una scelta creativa che echeggia i temi centrali della produzione di Slowthai, ovvero contraddizioni e dualità. «Dopo l’anno che abbiamo vissuto mi sono convinto che attraverso gli schermi del telefono e del computer la gente veda solo una parte di te, e spesso non la più veritiera. È l’immagine che vogliamo che gli altri vedano di noi. Ma c’è anche un’altra parte, quella che viene fuori quando siamo a casa e passiamo del tempo con gli altri. Sto parlando delle persone più care, quelle che ti conoscono meglio di chiunque altro. E quindi il disco è un modo per disvelare a tutti questo lato, per aprire il sipario, diciamo».

Il Tyron che tutti hanno visto negli ultimi anni era una persona capace di inghiottirti in un boccone, magari sorridendo mentre insulta la regina. Era il tipo in grado di chiudere una performance ai Mercury Prize del 2019 sollevando una finta testa mozzata del premier britannico Boris Johnson. Ha organizzato un tour con biglietti a 5 sterline. In un club di Brooklyn, nel 2019, l’ho visto perdere tempo tra una canzone e l’altra non per recuperare il fiato, ma per dividere la folla in cerchi, triangoli, trapezi e quadrati, solo per farli scontrare al drop del beat successivo. Quando ha aperto per i Brockhampton al Madison Square Garden, qualche mese dopo, ha gestito con la stessa tranquillità un palco molto più grande e gran parte del pubblico americano conosceva già a memoria le parole delle sue canzoni. Da allora ha scritto un pezzo con i Gorillaz, registrato una performance sfrenata al Tonight Show (con Mura Masa) e conquistato una nomination ai Grammy per il brano con Disclosure e Aminé My High.

Poi è arrivato il Tyron che tutti hanno visto agli NME Awards di febbraio. Era passata quasi una settimana dall’esibizione al Tonight Show. Tornato in Inghilterra, Slowthai era pronto a ricevere il premio come “Eroe dell’anno”. All’inizio dello show, ha partecipato a uno sketch con la presentatrice, la comica canadese Katherine Ryan. Aveva bevuto troppo e ha trasformato lo scambio di battute che avevano provato in qualcosa di molto più lascivo. Le critiche sono piovute on e off line. Quando Slowthai è tornato sul palco per ricevere il premio, è stato travolto da fischi, qualche applauso, urla di chi lo accusava di misoginia, lanci di oggetti. Il giorno dopo si è scusato con Ryan su Twitter e le ha spedito il premio. Lei, invece, ha detto che il rapper non l’aveva messa a disagio e paragonato quel momento alla versione comica di due chiacchiere con un disturbatore sbronzo.

Tyron non è solo una reazione a quella serata, anche se Slowthai ammette che la trasformazione da eroe in cattivo ha reso ancora più chiari i temi su cui stava ragionando. A Northampton, si è abituato al lockdown e alla versione di sé che viene fuori quand’è con amici e familiari. Ha smesso di bere – un vizio che gli è sfuggito di mano durante il tour, ha ammesso – e si è concentrato sulla musica con un gruppo di collaboratori fidati: Kwes Darko, SAMO, KRash e JD Reid. Nel disco c’è anche Skepta, più qualche nuovo amico come James Blake, A$AP Rocky, Mount Kimbie, Kenny Beats, Dominic Fike, Denzel Curry e Deb Never. «Credo molto nella famiglia, lavoro con persone a cui tengo», dice, «solo loro possono dirmi quando un pezzo è buono e quando è una merda».

Tyron sarà anche un disco sull’esplorazione di sé, scritto in un periodo in cui era facile sprofondare nel solipsismo, ma è anche il prodotto di una comunità. Slowthai ricorda un momento, durante la scorsa estate, in cui lui, Kwes, SAMO, Krash e Reid si sono finalmente ritrovati in studio. Dopo mesi di lockdown, è stata una rivelazione. «Facevamo casino proprio come una band», ricorda il rapper. «Non abbiamo concluso un bel niente. Abbiamo tirato fuori un file lungo due settimane, un terabyte di roba in cui è registrato tutto. Un gran casino».

C’è un altro elemento della mentalità “calzolaia” che permea Northampton, una cosa che ha a che fare con quello che Slowthai ha fatto negli ultimi anni e che intende far crescere con Tyron. Ha a che fare con l’idea di comunità, con la solidarietà, con quanto abbiamo bisogno uno dell’altro per sopravvivere non tanto alla pandemia, ma a tutto il resto. È la ragione per cui tutti tornano a Northampton per comprare un paio di scarpe. «Costruisci qualcosa che duri nel tempo», dice Slowthai. «Non sono normali scarpe da ginnastica, ma stivali solidi che durano una vita intera».

Hai detto che pianifichi gli album in anticipo e nei tuoi piani Tyron doveva essere il terzo disco, non il secondo. Com’era l’album che hai messo da parte, e perché hai cambiato idea? 

Volevo giocare sull’ironia della vita. Il mio primo disco era un commento sociale, nel secondo volevo interpretare personaggi diversi e creare qualcosa di simile a una serie tv. Ma la parte musicale non è uno scherzo, non posso crearla su due piedi. E poi c’è stato il lockdown, e i problemi di salute mentale con cui ho combattuto, con cui hanno combattuto tutti. Mi sembrava più importante parlare di quelle cose che costruire una realtà alternativa.

Perché il disco è diviso in due parti?
Amo scrivere roba potente che fa incazzare e manda fuori di testa la gente (ride). Ma forse sono più adatto a musica meno rabbiosa. Sto attraversando una nuova fase della mia vita, non sono più così arrabbiato ed è più facile scrivere canzoni che parlino di temi sociali, della mia vita, e non di cose che scatenano l’hype. Volevo solo dimostrare che ci sono due lati, due tipi diversi di persona.

E poi ci sono i momenti in cui scrivere roba pesante è difficile, perché devi rispettare un canone. Non importa se è basato sul tempo, sulla velocità o sul ritmo, non ci sono tanti modi per suonare quel tipo di materiale. Con la roba più tranquilla invece le possibilità sono infinite.

A chi ti sei ispirato per questo disco? 

Sembrerà strano, ma mi sono ispirato a Jay-Z, soprattutto per il flow, i giochi di parole e la delivery. L’ho sempre apprezzato, anche quando ero bambino e lo ascoltava mio zio. Ha sempre un che di rabbioso, anche quando fa le cose più tranquille. Mi sono ispirato anche ad Alex Turner degli Arctic Monkeys. A Thom Yorke. A Elliot Smith, anche se nel disco non si sente mai la sua influenza. Insomma, mi ispiro a loro, ma mica cerco di imitarli. Mi ispira il modo in cui parlano, le emozioni che toccano, il modo in cui fanno passare i messaggi. Forse è per questo che mi ispiro più alla musica delle band. Come i Radiohead, vorrei essere in grado di scrivere bene come loro.

Prima hai parlato di comunità, di coltivare una famiglia di collaboratori… non è così diverso da avere una band. Ti piacerebbe?
Non abbiamo mai avuto l’intenzione di entrare in uno studio costoso con un mixer gigantesco che non avremmo mai usato. L’abbiamo fatto nelle nostre case, al massimo in uno studio casalingo. Pensavo che la musica fosse una cosa profondamente solitaria, questa volta invece volevo stare con i miei ragazzi e godermela. I tuoi amici ti spingono a dare il meglio. Voglio un’atmosfera così, la voglio in ogni momento.

Chi ha pensato a mettere un sample di Dreamlover di Mariah Carey in Feel Away?
Sai cosa mi fa ridere? Tutti pensano che sia un sample, ma in realtà è James Blake a cantare. Si è ispirato a uno dei miei testi, c’era un riferimento a Mariah e ha detto: «Beh, se dici quelle cose io potrei cantare così».

Negli ultimi anni hai viaggiato molto. Incontrare nuove persone era la parte che preferivi? 
Sono sempre stato un tipo strano, saltavo da un gruppo all’altro. Mi sono sempre sentito un alieno, qualcosa del genere. Viaggiando incontri persone assurde proprio come te e capisci che forse non sei così solo (ride). Incontri qualcuno che ti somiglia e dopo appena cinque minuti ti sembra di conoscerlo da sempre. È per questo che si viaggia e si scopre il mondo: non sai cosa c’è là fuori, chi c’è là fuori. Se non avessi viaggiato non avrei amici, sarei un cazzo di musicista solo e depresso (ride).

Dopo tutti quei viaggi, com’è stato tornare a Northampton e scrivere il disco? L’atmosfera familiare ti ha aiutato a chiarirti le idee? 

Sì, eravamo tutti in un porto sicuro. Con la famiglia puoi permetterti di essere onesto. Mia madre è una delle mie migliori amiche, posso dirle quel che provo. È bello tornare dove è cominciato tutto, tornare nello stesso posto e nella stessa posizione. Viaggiare tutto il tempo ti ispira, ma inseguendo gli altri rischi di prendere la strada sbagliata, ti sembra di vivere un’altra vita. Quando torni a casa ricordi da dove vieni, impari ad apprezzarlo. E tutto questo migliora la scrittura. Ti aiuta a ricordare da dove vieni, dove vuoi andare e che cosa puoi fare.

In Canceled c’è anche Skepta. Mi sembra che il pezzo parli degli NME Awards. Com’è il tuo rapporto con lui? Come ti ha aiutato a superare quel momento? 

Non è un mentore, ma una di quelle persone che hanno tutti, quella che ti dice «Yo, non preoccuparti di ‘sta roba». Tutti abbiamo qualche insicurezza, anche chi è in una posizione di potere. Ho sempre rispettato Skepta, volevo lavorare con lui. È importante avere a che fare con gente che può insegnarti qualcosa, altrimenti non imparerai mai nulla.

Dopo gli NME Awards mi ero chiuso in me stesso. Quando la gente ti dice quello che sei, e tu in realtà sei tutt’altro, diventi insicuro. Ero lì, bloccato in quei pensieri, e lui mi ha detto: «Non è questo che ti definisce, amico. Usa quel momento. Escine più forte. Mostra al mondo di che pasta sei fatto. Vaffanculo le preoccupazioni. Sii te stesso e vivi la tua vita. È rock’n’roll, sei una rockstar». Poco dopo abbiamo spaccato su quel pezzo. Mi sentivo di nuovo un ragazzino. È uno di quei pezzi in cui dico… vaffanculo tutto, so chi sono e cosa sono, nessuno può contraddirmi. Nessuno può cambiare il mio destino con le sue opinioni. Io sono qui per cambiare le cose, per guidare la gente verso un futuro migliore, con ottimismo.

Si dice che hai una vita per fare il primo disco e solo sei mesi per il secondo. Sentivi la pressione?
Se sei onesto e metti il tuo cuore e la tua anima nelle cose, non ha importanza. È come andare in terapia, quando ti dicono di mettere nero su bianco come ti senti per avere un’idea chiara della situazione. Lo fai, rileggi tutto e pensi: oh cazzo. Fare musica è la stessa cosa. Devi far uscire le cose. E se non sei onesto, la musica non arriva. Se invece racconti la tua verità, non puoi sbagliare. Puoi provare a riscriverla, ma perderai naturalezza. Preferirei essere David Bowie o Daniel Johnston che un rapper ripulito.

Nothing Great About Britain era pieno di temi politici, che tornano in Tyron, ma in forma più personale. Pensi che i due dischi dialoghino? Come? 

Beh, è la mia crescita, sto diventando un uomo. Lo senti nella mia voce, sta invecchiando. È il mio viaggio, il modo in cui cambia la mia visione delle cose. Sono convinto che la vita di tutti sia piena di contraddizioni. La vita è una contraddizione. Pensi una cosa, sei convinto che sia la verità assoluta, e poi ti chiedi come facessi a dire cose così assurde. Più avanti magari dirai ai tuoi figli: quando avevo la vostra età, ho fatto questa cosa, non riesco a crederci (ride). I due dischi sono un modo per condividere la mia esperienza, aiutare le persone a crescere, mostrare loro che non sono le uniche a pensare o provare certe cose.

In Vex dici “Non sono mai stato un ragazzo, ero già un uomo adulto”. Adesso stai crescendo, ovviamente, ma ti sei sempre sentito più maturo della tua età?
Credo che in tutte le generazioni, se non hai avuto la pappa pronta e hai dovuto lavorare per ottenere qualcosa, ti fanno passare l’infanzia in fretta. Invece devi cercare di restare giovane il più a lungo possibile. Io ho sempre dovuto provvedere alla mia famiglia, supportarla, e questo mi ha fatto desiderare di crescere più in fretta di quanto dovessi. Non volevo giocare con i Lego, volevo fare soldi con i ragazzi più grandi. Crescendo, però, mi sono reso conto che mi sarei dovuto godere di più quei momenti in cui giochi al GameBoy o con le carte dei Pokémon, avrei dovuto fare quelle cose più a lungo possibile.

Credi che la quarantena e il successo ti abbiano aiutato a ritornare a quei momenti? 

È quello che sto facendo! Ho comprato delle carte Pokémon per il mio compleanno (ride). Guardavo un sacco di video su YouTube di ragazzini che ci giocano, e volevo farlo anche io. E sai che mi sono detto? Non spenderò 40 mila dollari per le carte Pokémon, ma comprerò delle bustine, le aprirò e vivrò quella nostalgia. Penserò a giocare, scherzare, essere carino e tutta quella merda. Adesso non faccio altro. Gioco ai videogiochi per tutta la notte, fino al mattino. Mangio dolci, corro in giro, gioco a calcio.

Play With Fire finisce con una conversazione brutale e onesta con te stesso. Com’è stato scriverla?
Tutto quello che dico alla fine era già nei miei tweet. Lo faccio da anni: invece di appuntare un’idea, la scrivo su internet (ride). Alcune cose avrei dovuto tenerle per me, ma quando mi sento di merda finisco sempre per andare su Twitter, magari c’è qualcuno che si sente come me. Quando abbiamo registrato quel pezzo, ho letteralmente aperto il mio profilo e letto il più casualmente possibile, volevo dare l’idea di una battaglia dentro la mia testa. Sono cose che proviamo tutti, combattiamo con le nostre insicurezze, le nostre nemesi. È facile mettersi seduti e pensare di restare così per sempre, invece bisogna alzarsi, far succedere le cose e godersi la vita.

ADHD è alla fine disco e ha un suono più duro. Perché hai scelto di chiudere così l’album? 

Mi sembrava di fare un riassunto dopo la fine di un libro: elenco quello che ho realizzato, quello che ho provato. In questo progetto non sono mai pacato come nella prima parte di quella canzone. Poi arriva il finale e si scatena la mia rabbia, vengono fuori tutti i miei sentimenti. E visto che parliamo di ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ndt), vorrei dire che questo progetto è per tutta la generazione di ragazzini iperattivi, che non riescono a concentrarsi e non sanno qual è il loro posto nel mondo. Questo progetto è per loro. È per questo che suona tutto così rozzo.

Sono sempre più sicuro e più a mio agio con l’idea che non suonerò mai come Future o Jay-Z. Sono fuori fase, sono uno strambo. Questo sono io. Questo è Tyron. La musica è il modo migliore per comunicare la mia personalità, il mio vero me, perché gli altri lo capiscono. Magari ci sono un miliardo di ragazzini che si sentono come me, spero che prendano il disco e pensino: «Ehi, questo è per me».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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