Christopher Taylor, con il nome di Sohn, è stato tra i primi a definire al meglio quella sorta di alt-R&B (o post-soul, o cantautorato electro, chiamatelo come vi pare) che è poi esploso negli ultimi anni, facendo nascere una quantità infinita di produttori, alcuni interessanti, altri meno. Con il suo ultimo lavoro Rennen, in uscita il 13 gennaio, è tornato a dire la sua sulla questione, dopo il debutto con Tremors del 2014. Sohn risponde al telefono da Los Angeles, dove è andato a vivere dopo qualche tempo passato a Vienna.
Il tour di Rennen arriverà a Segrate (Mi) al Circolo Magnolia, il 15 febbraio.
Quindi stai vivendo lì ora?
Sono qui da un annetto circa. Ho un paio di nuovi membri nella band che sono di qui, mentre gli altri sono tutti di Vienna. Faccio la maggior parte dei miei pezzi da solo, quindi non importa esattamente dove sono. Mi sposto da una parte all’altra quando devo fare le prove per il live.
Sicuro che non importa dove stai? C’è una bella differenza tra scrivere a Vienna e scrivere a L.A….
Los Angeles è necessariamente qualcosa che voglio che ci sia nella mia musica. Ma più in generale la California, bisogna fare una differenza. Passo molto tempo a nord, nei boschi, magari facendo dei campeggi o dei viaggi all’aperto. Possiamo metterla così: la California ha avuto un grande impatto sul disco, in generale. Il grande impatto di Los Angeles è la frustrazione di vivere in una città così.
In Rennen, ma anche in tutti i tuoi lavori, ci sono sempre due anime: una più dance e una più rilassata…
È interessante per me avere due anime che vanno insieme. Io sono sempre un po’ più rilassato diciamo, sono sempre tranquillo, spiega perché quasi niente arriva in radio delle mie canzoni (ride). Negli ultimi due anni, il tour ha avuto un grande impatto sulla mia musica: ci possono essere canzoni più upbeat, anche canzoni che magari non ami come artista, ma quando le suoni dal vivo vedi come le persone reagiscono. Come funzionano i pezzi in un live per me è importante: cambiano anche i miei gusti a volte.
Dal tuo album di debutto, in cui eri uno dei primi a fare questo genere, il numero di artisti si è moltiplicato. Come si può sperimentare in un genere così? È arrivato alla saturazione?
Beh, per me è molto naturale. Semplicemente perché non mi piace molto la musica che è uscita negli ultimi due anni. Mi annoio spesso della pura ricerca estetica: questo genere è qualcosa che forse ho aiutato a creare all’inizio, ma che è diventato piatto, molto noioso. La gente fa dei suoi belli, ma non dice niente di nuovo, non soltanto a livello vocale, ma anche in termini di direzione musicale. Ecco perché Rennen è stato fatto d’impulso: volevo fare un album diretto, che arrivasse al punto. Non volevo fare 10 canzoni di noiosa musica dreamy. Non ho provato a reinventare niente con questo disco, semplicemente ero annoiato dal resto (ride).
Quindi, visto che ti ha annoiato tutto, cosa hai ascoltato?
I dischi dei Kiasmos per la parte elettronica. Ma in contemporanea, tanto Tom Waits, per il lato umano, per i suoi racconti. Ti può trascinare in un mondo tutto nuovo. Ecco, ti direi Waits e Kiasmos.