Sono fiumi di parole a investirmi, in un tardo pomeriggio di marzo. Ma non sono quelli dei Jalisse: dall’altra parte dell’oceano, in diretta Zoom, c’è George Tabb che parla con il suo tono da stand-up comedian, veloce, sicuro, ritmato… una vera macchina da narrazione.
George è un veterano della scena punk e hardcore made in USA, avendo suonato in band come Roach Motel, False Prophets, Letch Patrol, Atoms for Peace (quelli anni ’80 della Florida, non il progetto sperimentale di Flea & compagnia), Iron Prostate e Furious George. La sua penna è ben nota ai lettori di Maximum Rocknroll (il magazine bibbia del punk mondiale stampato dal 1982 al 2009), ma ha scritto – e continua a farlo – per testate molto mainstream come Maxim, The New York Press, Details. È anche autore televisivo, ha pubblicato due libri e alcuni suoi brani musicali sono stati utilizzati in diverse produzioni (fra cui Summer of Sam di Spike Lee, dove Tabb fa anche un cammeo) e spot pubblicitari. È un attivista delle associazioni dei sopravvissuti all’11 settembre (viveva nei pressi delle Twin Towers e dopo l’attentato, come molti altri, ha sviluppato un serie di gravi patologie, fra cui il cancro, legate all’inalazione di micropolveri ed esalazioni tossiche dopo il crollo delle Torri) e, motivo per cui abbiamo fatto una bella chiacchierata, è stato per anni vicinissimo ai Ramones, coltivando l’amicizia con loro e arrivando a entrare nella band – anche se solo per il tempo di un battito di ciglia. O poco più.
George, come ti sei avvicinato ai Ramones?
Ho visto i Ramones al CBGB’s tanto tempo fa, per la prima volta… era il 1977 direi. Non li conoscevo, andai là con degli amici. Questo gruppo salì sul palco e praticamente scese subito: suonavano così veloci e tirati che il loro set non durò più di 20 minuti. Non ci capii nulla e in breve mi dimenticai di loro. Un anno dopo, nel 1978, mio fratello andò in un cinema sull’Ottava Strada qui a New York, famoso per le proiezioni notturne di The Rocky Horror Picture Show. Quella sera davano Rock ’n’ Roll High School, il film dei Ramones. Tornò a casa e mi disse: «George, George… c’è questo gruppo, ha fatto un film, secondo me fa proprio roba di quella che piace a te! È come il Rocky Horror, ma più divertente e quelli del gruppo sembrano i Beatles americani». A me piacevano un casino i Beatles, soprattutto i primissimi… mio fratello mi disse anche: «Vai a vedere il film: se non ti piace ti rimborso il biglietto».
Mi pare di capire che non ti ha dovuto ridare i soldi.
Andai un pomeriggio, mi piacque da impazzire e riconobbi il gruppo che avevo visto al CBGB’s di cui avevo dimenticato il nome. Mi piacque così tanto che dissi a mia mamma: «Devi vederlo anche tu è fantastico!». Mia mamma era molto giovane, le piacevano i Rolling Stones, i Beatles e il rock’n’roll e mi disse: «Questi Ramones somigliano a quell’altra band che ti piace tanto, i Dead Boys». Io ero proprio fissato coi Dead Boys: il mio patrigno aveva preso in prestito dalla biblioteca il loro primo album, l’aveva registrato su una cassetta e per me erano il gruppo più figo del mondo. Il giorno dopo mia mamma mi comprò il secondo disco dei Dead Boys e il secondo dei Ramones. In quel momento la mia vita cambiò e mi dissi: voglio fare questo nella vita.
E da lì cosa è successo?
Per Natale la mamma mi comprò un chiodo in pelle – all’epoca erano molto costose quelle giacche, si vendevano a circa 300 dollari, che erano un bel po’ di soldi. A quel punto, però, mi ero trasferito da mio padre in Florida, che è un posto orribile, tipo il Texas, uno Stato schifosamente bigotto e conservatore, sempre una ventina d’anni indietro rispetto al resto del mondo. In tutto. Però quel chiodo mi salvò, perché a scuola tutti erano terrorizzati vedendomi e mi chiamavano greaser (erano i rocker anni ’50, nda), per me era un complimento: sono come Fonzie, wow! All’improvviso mi sono trovato a uscire con la capogruppo delle cheerleader solo perché avevo il giubbotto di pelle che faceva figo. Fu eccezionale. Poi andai al college e il primo giorno di campus, a Gainesville, incontrai un mio amico che era già lì da un po’ di mesi e mi disse: «Stasera suona un gruppo in palestra, andiamo». Erano i Ramones, cazzo! Per me fu come un segno del destino e mi dissi: «Dio mio, la mia vita ora ha un senso: io sarò uno dei Ramones!». Da lì in poi iniziai a suonare il basso, copiando Dee Dee Ramone, poi la chitarra e dopo tre mesi – facevo schifo, conoscevo solo un paio di accordi: Mi e La – fondai la mia prima band: i Roach Motel.
Poi, però, li hai conosciuti di persona: come hai fatto?
Quando tornai a vivere a New York, anni dopo, mi accorsi subito che vedevo spesso in giro Joey e Johnny Ramone: infatti vivevano a qualche isolato di distanza da me. Ogni volta che andavo al cinema, vedevo Joey che si comprava un pezzo di pizza nel posto che c’era proprio di fonte; sovente era anche a un telefono pubblico lì in zona. E, poco distante, vedevo spesso Johnny davanti alla vetrina di un negozio che vendeva solo sneakers. Così, piano piano, abbiamo iniziato a salutarci e a conoscerci, finché sono diventato molto amico di John.
So che a un certo punto hai iniziato a lavorare per loro. Come sono andate le cose?
Ero in una band di New York che si chiamava Lost Prophets ed erano gli anni ’80. Un giorno andai a un firmacopie dei Ramones in un negozio e mi fermai a fare due chiacchiere con John. Lui era piuttosto giù e mi disse: «Il nostro tecnico delle chitarre ci ha appena mollati». Poi mi guardò e mi disse: «Tu suoni la chitarra. Potresti farlo tu». Accettai subito e lui mi diede le istruzioni del caso: dovevo trovarmi in un posto il giorno seguente per un meeting e, una settimana dopo, sarebbe iniziato un tour. Aggiunse: «Faremo una settimana negli Stati Uniti, poi procurati un passaporto perché andremo in Giappone». Io non stavo più nella pelle dalla contentezza: «Cristo santo! Vado in Giappone coi Ramones!».
Come andò la prima sera? Eri emozionato?
Ero felicissimo, mi sentivo uno di loro. Poi Johnny a un certo punto mi chiese di cambiare tutte le corde alla sua chitarra prima che iniziasse il concerto. Io ero abituato a farlo con la mia chitarra: toglievo tutte le corde, davo una bella pulita al manico, poi le rimettevo una per una, le facevo assestare e accordavo. Il fatto è che Johnny usava una chitarra con un ponte tune-o-matic (era una Mosrite Ventures II modificata, nda), per cui levando le sei corde questo si staccava. E infatti cadde a terra… e andò a infilarsi in una grata di aereazione. Non si apriva e mancavano tipo 15 minuti al momento in cui i Ramones sarebbero saliti sul palco per lo show d’esordio del tour. Gli altri roadie mi guardavano e sghignazzavano: «Oh, sei proprio nei casini! Adesso ti cacciano… anzi no: sei morto!».
All’improvviso entrò Johnny nel camerino e mi chiese: «Cosa succede George? Tutto ok?». Io gli spiegai la cosa e lui fece la sua risata chioccia, poi mi fissò serio e con una scrollata di spalle mi disse: «Vedrai che qualcosa riuscirai a inventarti». E uscì. Allora presi una gomma da masticare, la piazzai sulla punta di una bacchetta e piano, piano, con moltissima cautela, riuscii a tirare fuori il ponte dalla grata. Cambiai le corde alla velocità della luce e sentivo il pubblico che urlava «Hey ho, let’s go!». Poi mentre accordavo l’ultima corda sentii partire l’intro di tutti i concerti dei Ramones, The Good, the Bad and the Ugly, e arrivò Johnny. Mi prese la chitarra di mano e mi disse: «Visto? Ce l’hai fatta, hai sistemato tutto. Grande! Vedrai che andrai benissimo». Era una persona molto gentile, Johnny. Poi durante il concerto avevo il compito di stare dietro di loro per controllare che i jack non si staccassero, per raccogliere le loro giacche di pelle quando se le levavano, per aiutarli nei cambi di strumento… e mentre lo facevo ero al settimo cielo e mi dicevo: «Ok, ci sono quasi. Sono quasi uno dei Ramones».
Per quanto tempo sei stato in squadra?
Ehm… tre giorni (ride). Il problema è che avevo trascurato un dettaglio non da poco: la mia schiena era malconcia per via di un brutto infortunio – mi ero rotto la spina dorsale in più punti, anni prima – e non potevo assolutamente sollevare pesi. Il lavoro di tecnico delle chitarre, coi Ramones, era più simile a quello di un roadie e richiedeva anche di caricare e scaricare gli amplificatori e tutto il resto dell’attrezzatura… io provai a resistere, ma dopo un paio di giorni ero fottuto. Non riuscivo quasi a camminare per il dolore. Per cui il giorno del terzo concerto mi dissero: «George, ti vogliamo un bene dell’anima, sei nostro amico, ci piace averti con noi, ma questo è il tuo ultimo giorno… per il tour ci serve qualcuno che possa sollevare tutta l’attrezzatura e aiutare nei lavori pesanti. E tu non puoi, la tua schiena non te lo permette».
Che peccato: finì così, quindi?
Sì, però mi diedero un ultimo compito quella notte, a fine concerto: «George, predi le chiavi e porta il camion con tutta l’attrezzatura al nostro magazzino». E io: «Non ho mi guidato un camion». «Tranquillo, impari subito». Misi in moto e iniziai a guidare. Non avevo neppure idea della strada da fare, però in qualche modo riuscii a orientarmi. A un certo punto arrivai a un cavalcavia: dovevo passarci sotto, ma notai un cartello che diceva “altezza massima 13 piedi”. Cazzo, il mio camion era più alto. Non feci in tempo a pensarlo che ero sotto il ponte, circondato da scintille che piovevano dall’alto. Schiacciai l’acceleratore, mi misi a piangere, mentre dietro di me volavano scintille colorate dappertutto. Arrivai al magazzino distrutto, in lacrime, tremante. I Ramones e il loro entourage erano tutti lì e vedendomi così stravolto mi chiesero cosa mi fosse successo. Io piangendo raccontai che avevo piallato il tetto del camion… scoppiarono tutti a ridere come pazzi dicendo: «Tre giorni! Sapevamo che non saresti durato di più!». Quella notte mi riaccompagnarono a casa nel loro van: viaggiavo coi Ramones. A un certo punto ci fermammo perché tutti dovevamo pisciare e io mi trovai in piedi sul ciglio della strada, con tutti loro. Avevamo tutti il giubbotto di pelle e pisciavamo insieme… e io pensavo di nuovo: «Cazzo, guarda che roba, sto pisciando coi Ramones! Sono un po’ più vicino a diventare uno di loro!».
A proposito di piscio: è vera la storia di cui si vocifera, quella di Johnny e delle birre backstage?
Coi Ramones ci si divertiva un sacco. Johnny aveva un senso dell’umorismo tutto suo e uno scherzo che gli piaceva fare era prendere qualche birra dai camerini, aprirla, pisciarci dentro, ritapparla e rimetterla a posto. E poi stava a vedere chi se la beveva: si faceva un sacco di risate. Io ne sono rimasto vittima il primo giorno di lavoro con loro. Ma il terzo, visto che sarebbe stato l’ultimo per me, resi il favore a Johnny. Lui e Dee Dee avevano sempre con sé delle borracce per l’acqua – poi dentro spesso non c’era solo acqua, ma lo facevano per dare l’impressione di essere puliti e sobri. Insomma, in un momento di loro distrazione presi la borraccia di Johnny e ci pisciai dentro. Dopo un po’ lui la afferrò, diede una bella sorsata e sputò subito: «Chi cazzo ha pisciato qui dentro?». Poi mi fissò e mi disse: «Sei stato tu George, vero?». E scoppiò a ridere. Mi diede un cinque e mi disse: «Grande, mi hai fregato. Grandissimo!».
Poi però hai fatto un’audizione come bassista, quando Dee Dee se ne andò. Racconta.
Nel 1989, un anno dopo il mio tentativo come tecnico delle chitarre, i Ramones erano rimasti senza bassista ed erano in cerca di un sostituto. Marky (il batterista, nda) mi telefonò e mi chiese: «Vuoi fare un’audizione? Secondo me dovresti provare». Così decisi di dargli ascolto. Andai da loro ed ero l’ultimo della giornata, dopo una lunga fila di aspiranti bassisti. Avevo imparato la loro scaletta completa, nota per nota, e avevo studiato tutte le mosse di Dee Dee. Mi ero tinto i capelli di nero, avevo gli occhiali da sole, una t-shirt dei Ramones, jeans elasticizzati e sneakers: non mi hanno nemmeno riconosciuto subito. Attaccai il jack all’amplificatore e iniziammo a suonare… erano meravigliati: sapevo tutto alla perfezione e mi muovevo proprio come Dee Dee. Dopo qualche pezzo Marky esclamò: «Georgie Ramone!». E Johnny: «Sì! Georgie Ramone!». Io ero pazzo di gioia: «Ce l’ho fatta, cazzo!». Dee Dee era mio amico, ma cavolo… ero nei Ramones!
Tutto andava alla grande, sono andato a fare il passaporto, perché di lì a poco i Ramones avrebbero dovuto andare in Australia. Ero davvero eccitatissimo. Poi dopo una decina di giorni mi ha telefonato Marky. E io a quel punto ho iniziato a tremare. Sapevo che c’era ancora Chris – CJ – in lizza e ho subito pensato: «Ok, hanno preso Chris». E infatti è andata così. Marky mi disse: «Per qualche strano motivo, Johnny è rimasto molto colpito perché CJ è arrivato da solo, in auto, fin da Long Island». Cazzo, io sarei partito da Marte per entrare nei Ramones! Ma il fatto è che a New York a nessuno fregava nulla dei Ramones. Non erano considerati per niente. Poi mi disse: «George, sei troppo grande, ci vuole un ragazzino. La paga è appena 200 dollari alla settimana e ci vuole qualcuno che segua gli ordini senza discutere. Poi CJ è uscito da poco dai Marines e a Johnny piace l’idea di avere un ex marine nella band. Mi spiace Georgie Ramone… sei stato un Ramone per una settimana». Non c’è stata animosità da parte mia nei confronti di CJ: ero contento per lui e ha fatto un ottimo lavoro. Da quel momento sono rimasto in contatto con la band, ma stranamente si è rafforzato il mio rapporto con Dee Dee, tanto che sono stato il suo testimone quando ha sposato Barbara Zampini.