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Sophie Ellis-Bextor, lustrini e marmocchi

La popstar enigmatica di vent’anni fa è diventata prima una mamma che canta in casa circondata dai figli e ora, nel nuovo album ‘Hana’, un’esploratrice di luoghi pop. La nostra intervista

Foto: Laura Lewis

Sophie come Sophia Loren. Nel video dell’ultimo singolo appena pubblicato Lost in the Sunshine, Sophie Ellis-Bextor rende omaggio alla commedia all’italiana e al cinema d’autore che ha fatto scuola tra gli anni ’50 e ’60. I cappelli raccolti, i macro occhiali da sole, gli abiti, tutto richiama alla mente Sophia nazionale tra scene in bianco e nero girate a Cinecittà. Anche un po’ Audrey Hepburn in Vacanze romane, un po’ Anita Ekberg in La dolce vita, Sophie è in un colpo solo tutte le grandi dive del passato, per qualche minuto di puro amarcord. Che fine hanno fatto i lustrini e le paillettes a cui ci aveva abituato durante i mesi di pandemia? E i rollerblade con cui piroettava nella cucina di casa ballando sulle note del suo repertorio migliore?

Gli spettacoli trasmessi in diretta dal suo account Instagram in pieno lockdown hanno riacceso i riflettori sulla cantante anglosassone come forse neanche lei avrebbe mai immaginato. Sophie Ellis-Bextor ha trasformato la stanza dei fornelli in pista da ballo, con tanto di mirrorball appesa vicino agli strofinacci. Non è una che ti sconvolge, ma è quella che ti salva il groove mentre gioca e canta Murder on the Dancefloor coi ben cinque figli piccoli tra i piedi. Dai suoi show casalinghi ribattezzati non a caso Songs from the Kitchen Disco è scaturito poi Greatest Hits, un condensato ventennale di hit che meritavano di essere degnamente celebrate.

Oggi Sophie, madre di cinque figli, torna a far parlare di sé portando alla luce un nuovo genito, discografico però. Il disco si chiama Hana ed è il terzo e ultimo capitolo di una trilogia votata alla bellezza del viaggio. Dopo Wanderlust, del 2014, ispirato all’Europa orientale, e Familia del 2016, dedicato all’America Latina, Hana spalanca le porte dell’immaginazione sul Giappone, dove la cantante è stata in viaggio prima del Covid. Ho cercato senza riuscirci una correlazione tra la cornice tematica nipponica dell’album e lo storytelling nostrano cucito addosso al singolo appena uscito, poi ho capito: se la destinazione del viaggio è ben chiara non devono necessariamente esserlo anche le tappe intermedie.

«Sono stata in Giappone nel febbraio del 2020, con mia madre, il mio patrigno e il maggiore dei miei figli. È stato un viaggio importante perché lo sognavo da sempre, ma soprattutto perché non era affatto scontato visti i problemi di salute del mio patrigno John. Trovarmi dall’altra parte del mondo proprio quando nessuno da lì a poco avrebbe più potuto muoversi ha fatto nascere in me un sentimento di nostalgia che ho convogliato nella scrittura dei testi. Nel mese di luglio dello stesso anno John è venuto a mancare ed è stato un duro colpo. Ho sentito l’esigenza di abbracciare un nuovo inizio e Hana (che in giapponese significa fiore, nda) ne è la rappresentazione».

Sono 12 tracce totali tra riff di pianoforte, momenti soul-pop, sfoghi autobiografici e melodie elegiache. Hana non nasce per dominare il dancefloor o le classifiche, né per rivangare i successi trascorsi – già fatto con il greatest hits – ma per rischiarare il tempo presente.

«È un album felice, un caleidoscopio di generi ed emozioni in cui trovano spazio sensibilità e tenerezza. Quando creo un disco ogni volta è come se tenessi un diario: lascio confluire ciò che provo anche quando non so cosa sia esattamente. Ho creato Hana insieme al mio amico Ed Harcourt. Collaboriamo dal 2014 e con lui ho realizzato sia Wanderlust che Familia. Trovo magnifica questa dinamica a due perché ci consente di dare una forma precisa alla creatività, in passato non sapevo neanche cosa significasse avere una simile opportunità».

La discografia di Sophie Ellis-Bextor può suddividersi in due stagioni che sono poi quelle della vita: il tempo della scoperta di sé, delle intuizioni fortunate e dei colpi ben assestati – da Read My Lips (2002) a Make a Scene (2011) – e il tempo della consapevolezza e del controllo emotivo – da Wanderlust (2014) a oggi.

«Gli ultimi dischi sono lo specchio della mia parte più emotiva. Nel mezzo c’è un greatest hits che celebra il meglio e al contempo fa vivere simultaneamente le mie due anime. Dall’ultimo Kitchen Disco Party è passato parecchio tempo, era dicembre 2021. Quelle live session non mi mancano in senso letterale perché hanno preso vita in una situazione d’emergenza, ma il loro valore è prezioso perché hanno saputo generare una vera e propria community figlia dei tempi, riallacciare vecchi legami con la fanbase e crearne di nuovi passando letteralmente da casa mia. Davvero intima come situazione. Se c’è ancora spazio per balli e feste nella mia vita? È ciò che continuo a fare. La storia d’amore con la musica è più forte che mai e il rapporto diretto con i fan è diventato fondamentale».

Quando le dico che è a dir poco inarrestabile sorride divertita e a smentirmi non ci prova neppure. Negli ultimi due anni ha scritto due libri, un’autobiografia che racconta la serendipità di essere artista e madre allo stesso tempo, e pure il libro di cucina Love. Food. Family: Recipes From the Kitchen Disco. «Da piccola sognavo di fare la scrittrice, ho iniziato a provarci seriamente intorno ai vent’anni ma, diciamocelo, ero terribile. La scrittura richiede energia e disciplina e inaspettatamente l’ho ritrovata nei giorni sospesi di lockdown». Sophie Ellis-Bextor ha la ricetta per ogni cosa, per il pollo arrosto con le spezie, per la zuppa di pesce, per la lasagna di verdure che piace anche ai bambini e per il perfetto disco dream pop dell’estate.

La maternità non ha scalfito né sminuito la sua verve d’artista. «Sto per dire qualcosa che potrebbe suonare egoistico. I miei figli sono tutto mio mondo, ma ho bisogno della musica per essere davvero me stessa. Ho dato vita a un podcast che ho chiamato Spinning Plates per parlarne con altre madri incredibili. Alcune, come me, fanno musica e hanno figli. Penso a Roísín Murphy, Jessie Ware, Claire Richards, Melanie C, ad esempio. Discutiamo di progetti discografici, di maternità, di adolescenza, di menopausa, di discriminazioni di genere».

Quella bella cantante inglese che andava forte nei primi 2000 oggi snocciola temi cari al femminismo post-moderno sulle principali piattaforme di streaming. È una militanza pop la sua, che sa alimentare con gentilezza il caro vecchio fuoco sacro del girl power di matrice anglosassone e che potrebbe portarla a rappresentare il Regno Unito all’Eurovision Song Contest del 2024. «Quando ho cominciato non avevo la benché minima idea di come sarebbe stata la mia carriera. Oggi a 44 anni sono qui pronta ad abbracciare nuove avventure, nuovi palcoscenici, nuovi fan, nuove sfide. Sono sempre la stessa, eccentrica, ragazza pop».

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