Intervista pubblicata su Rolling Stone USA il 6 agosto 1998
Incontriamo i Beastie Boys nel momento in cui si apprestano a riconquistare il centro della scena pop americana con il nuovo album Hello Nasty. Non è una novità, c’erano già riusciti nel 1986, da ragazzini spacconi con Licensed to Ill, il primo disco rap a guadagnare la posizione numero uno. E poi di nuovo, a partire dal 1992 con Check Your Head che ha portato i Beasties al centro di una diaspora bohémien e alla sua progressiva scalata nel mainstream, rendendo il mondo un posto più vivibile per le sneaker, le pubblicità della Nissan di Spike Jonze e Beck.
Nello specifico, incontriamo i Beastie Boys su un furgoncino bianco diretti a un teatro di posa di Long Island City, dove stanno per ultimare le riprese del video di Intergalactic, il primo singolo di Hello Nasty. Mike D è accanto al guidatore, Adam Horovitz siede dietro. Non si vede Adam Yauch, momentaneamente alle prese sia con un matrimonio che con il Tibetan Freedom Concert.
«Ho portato il catalogo con tutte le stronzate», dice Mike. Tira fuori il catalogo Merrygarden Custom Activewear di divise sportive. Una volta nel teatro di posa, Mike D e Adam Horovitz fanno una mini riunione con il regista del video, Nathaniel Hornblower, che per i Beasties ha diretto, tra gli altri, anche i video di Shadrach e Pass the Mic e che viene definito da Billboard “il filmmaker svizzero indie” (va però detto che se togliete a Hornblower i pantaloni di cuoio bavaresi e la barba bianca, ricorda in maniera impressionante Yauch, il quale – interrogato più tardi sulla somiglianza – risponde con convinzione: «È mio zio»). Horovitz è seduto sulla sedia da regista, assorto completamente nello studio del catalogo Merrygarden.
«Posso farti una domanda?», chiede a una donna seduta di fianco a lui.
«Come no».
«Che te ne pare di questo?», e indica una maglietta sportiva abbinata a un paio di pantaloncini. «Marrone e giallo vanno bene insieme? Tu li metteresti?». Per il prossimo tour della band, Horovitz vuole un look da giocatori di calcio («Avete presente, coi calzettoni lunghi?»). Il resto del pomeriggio lo passerà a esaminare scrupolosamente il catalogo, chiedendo pareri su diversi abbinamenti.
Per Hello Nasty, i Beastie Boys hanno scritto insieme le rime – la prima volta da Paul’s Boutique del 1989, l’album successivo a Licensed to Ill, realizzato dopo il trasferimento a Los Angeles. Il loro manager al tempo li aveva sconsigliati di andare in tour fino a quando Paul’s Boutique non fosse arrivato al disco di platino. Non sono mai andati in tour con quell’album. Ciò che hanno fatto, invece, è scrollarsi di dosso la giovinezza e diventare adulti. Mike D ha intrapreso un business e si è sposato con la regista Tamra Davis, Adam Horovitz ha recitato in due film e si è sposato con l’attrice Ione Skye (ma non dice se stanno ancora insieme), Yauch si è dato allo snowboard e ai viaggi spirituali. Insieme hanno messo su uno studio-ufficio-campo da basket, il G-Son, e hanno registrato Check Your Head, riprendendo in mano gli strumenti, tornando alle loro radici punk-rock e tracciando, al contempo, il loro futuro più funk. Nel 1994 è uscito Ill Communication, una versione migliore di Check Your Head.
La registrazione di Hello Nasty è stata intermittente e ha avuto inizio nell’ottobre 1995 al G-Son. Ma nel giro di poco, Adam Yauch ha deciso di ritrasferirsi a New York e gli altri lo hanno seguito. Hello Nasty è un album sia newyorkese – il primo suono che si sente è quello della metropolitana – che vecchia maniera. «Su Check Your Head e Ill Communication», spiega Mike D, «la maggior parte dei testi funziona così: “Okay, tu prendi ’sta parte e io dico ’sta roba qua”. Qui siamo tornati a lavorare insieme e a condividere idee, quindi è un album più collettivo, come Paul’s Boutique».
Michael Diamond vorrebbe vendervi qualcosa. No, non un album di Sean Lennon per la Grand Royal, l’etichetta dei Beastie Boys di cui Mike è il presidente. E no, non una t-shirt da 18 dollari di X-Large, la marca di abbigliamento streetwear di cui è coproprietario. Michael Diamond vuole vendervi qualcos’altro: arredamento.
Ha annunciato per la prima volta il suo interesse nel settore durante una trasmissione di E! sulla moda di Los Angeles che parlava anche di X-Large. Mentre era in un negozio XL a Lower Manhattan (ci sono anche filiali a Los Angeles, Tokyo e Colonia), ha detto che avrebbero presto cominciato a vendere divani: «Perché alla fine i pischelli dovranno pur scendere dallo skate ed entrare dentro». Scherza. Un po’.
Fai un disco e ci metti dentro il mood del momento. poi vieni ricordato così per sempre – Adam Yauch
Mike è cresciuto nell’Upper West Side insieme a due fratelli più grandi. Suo padre, un mercante d’arte, è morto quando lui aveva 16 anni, pressappoco nel periodo in cui i Beasties cominciavano a fare i primi concerti hardcore punk. «I miei genitori sono stati bravi a non tenerci separati dai loro amici adulti», racconta Mike. «Ogni santa sera c’erano artisti e mercanti d’arte a casa nostra. Ho imparato molto da loro».
A 13 anni, Mike collezionava dischi dei Clash e di Elvis Costello, e prendeva in prestito il passaporto del fratello maggiore per andare ai concerti punk-rock. Lì si incontrava con Yauch, Gabby Glaser e Kate Schellenbach, anche loro precoci in questo senso. Horovitz ricorda di aver notato Yauch e Mike a un concerto dei Black Flag al Peppermint Lounge di New York, nei primi anni ’80. Dopo quel concerto, Adam Yauch aveva detto al suo amico John Berry che avrebbero dovuto formare una band hardcore. La prima esibizione dei Beastie Boys risale alla festa di 17 anni di Yauch: suonavano Yauch, Mike D, Berry e Schellenbach. Quando Berry se n’è andato, l’ha rimpiazzato Horovitz.
Secondo Mike, crescere a New York instilla una sorta di “intelligenza urbana”, come un programma radiofonico: «Sono input continui, che definiscono la tua esistenza dal giorno in cui i tuoi genitori ti hanno fatto uscire di casa nella carrozzina. Forse mi sbaglio, ma significa avere qualcosa che un 18enne di Pensacola, in Florida, non potrà mai avere!».
Ad Adam Horovitz piace il caffè: «Va bene anche un espresso. Ho solo bisogno di un caffè rapido, non sopporto aspettare». Le prime parole sull’album Hello Nasty sono di Horovitz: “Well, it’s fifty cups of coffee and you know it’s on!”. Per l’imminente tour dei Beastie Boys, Horovitz ha chiesto a suo fratello di andare su Internet e fargli una stampata di tutti gli Starbucks nazionali.
«Ma sapete, non ci sono online», spiega Horovitz. «Cioè, vi immaginereste di sì… e invece no».
«Non capita tutti i giorni di sentire Elvis in uno Starbucks», dice, mentre fa una pausa a base di caffeina tra Second Avenue e Ninth Street, nell’East Village. È la seconda volta che andiamo insieme da Starbucks. La terza volta avverrà nel giro di due ore. C’è New Amsterdam di Elvis Costello allo stereo. «È uno dei miei pezzi preferiti di Elvis», dice. A 13 anni, Horovitz aveva suonato Heartbreak Hotel di Elvis Presley e You Belong to Me di Elvis Costello in un talent show del Queens. Suonava la chitarra da un anno, una copia di una Fender nera, che la madre e gli amici gli avevano regalato per i suoi 12 anni. La sorella di Laurie Anderson gli ha dato le prime lezioni di chitarra.
Il padre di Horovitz, il drammaturgo Israel Horovitz, e sua madre Doris hanno divorziato quando lui aveva 3 anni. Lui è cresciuto con la madre, una pittrice che gestiva anche un negozio dell’usato nel West Village. «Era la persona più fica del mondo», dice, e lo ripete spesso. Quando alle scuole elementari era stato beccato a fumare erba, sua madre non aveva battuto ciglio. Era sua l’erba.
A casa avevano una stanza in più, e per un certo periodo la coppia che gestiva Ratcage Records aveva vissuto con loro. Ratcage era un negozio dove i Beastie Boys andavano a comprare dischi punk. Nel 1982, il negozio ha fondato un’etichetta. La prima uscita è stato l’EP dei Beasties, Polly Wog Stew. Per la Ratcage è uscito anche il singolo Cooky Puss, una specie di scherzo telefonico vagamente hip hop che gli è valso un po’ di successo nei club underground.
La Ratcage stava su East Ninth Street, dall’altra parte di Second Avenue rispetto allo Starbucks dove ci troviamo ora. Sempre nelle vicinanze, c’era la sala giochi dove andavano Horovitz, il suo migliore amico Dave Skilken e Mike quando saltavano scuola. Horovitz ha smesso di venire da queste parti a metà anni ’80. «Questo cazzo di quartiere, il Lower East Side, non ce la faccio più a venirci. Ho così tanti amici che si sono fottuti. Le droghe sono assurde». Tra i fantasmi c’è quello di Dave Skilken, che è morto di overdose nel 1991. «Era davvero il migliore», dice Horovitz.
Sulla traccia finale di Hello Nasty, Instant Death, Horovitz parla della perdita di Skilken e di sua madre, morta poco dopo l’uscita di Licensed to Ill. «Tutti volevano bene a mia madre», dice. «Se avevano bisogno di qualcosa, se avevano dei problemi, andavano da lei e si riprendevano. Lo stesso con Skilken».
Il 31 maggio, Adam Yauch si è sposato con Dechen Wangdu. Secondo il rito tradizionale tibetano, i testimoni dello sposo vanno nella casa di famiglia della sposa portando il simbolo della protezione maritale, una freccia chiamata da dar. Poi la sposa è scortata a casa dei genitori di lui, perché venga accolta nella nuova famiglia. In Tibet, questi spostamenti possono richiedere tre settimane a cavallo – ci sono montagne da superare – e sono seguite da feste anche di tre giorni.
Nel caso di Yauch e Wangdu, due amici di infanzia di Yauch (Matthew e Arabella) si sono spostati in macchina con la da dar dalla casa dei genitori di lui a Brooklyn Heights alla casa dei genitori di lei nell’Upper East Side. Poi sono tornati a Brooklyn, dove il padre di Yauch ha tenuto un discorso per accogliere la sposa. Non hanno scavallato montagne, ma attraversato il ponte di Brooklyn. Alla cerimonia hanno suonato i Rancid. («I Rancid sono stati per Dechen», dice Yauch, «quello che per me sono stati i Clash»). Quando Yauch aveva 14 anni, si è trasferito dalla scuola quacquera di Brooklyn alla Edward R. Murrow, una high school pubblica. «Sentivo che stavo vivendo una vita troppo protetta». La sua amica Arabella si è trasferita con lui, l’ha presentato al suo amico punk John Berry, che a sua volta l’ha presentato a Mike Diamond. Una volta, all’uscita di scuola, in pizzeria, Yauch ha sentito alla radio Rapper’s Delight degli Sugarhill Gang. «Ho pensato: e questo cos’è?!».
Adam ha detto che i giorni losangelini di Paul’s Boutique sono stati il periodo veramente folle dei Beasties, il che non è da poco, considerato il grado di follia fino a quel punto. È stato più o meno allora che Yauch ha cominciato a esplorare le frontiere della percezione con l’aiuto dell’LSD. Ed è sempre allora che ha cominciato la sua ricerca spirituale, partendo dalla Bibbia per arrivare ai libri degli Indiani. Queste letture, insieme a un viaggio in snowboard attraverso il Nepal, lo hanno portato verso il buddismo tibetano.
A questo punto, la vita di Yauch è radicalmente cambiata. Ha cominciato a impegnarsi politicamente, cofondando il Milarepa Fund nel 1994, per sensibilizzare la gente alla causa del Tibet. Tre anni fa, il Dalai Lama ha tenuto un discorso ad Harvard a cui ha presenziato anche Yauch, per presentare la prima donazione del Milarepa, a favore dell’associazione Students for a Free Tibet di Harvard. Wangdu, i cui genitori sono entrambi tibetani, era la rappresentante degli studenti. Poco tempo dopo, i due si sono reincontrati a Chicago a una conferenza di Students for a Free Tibet. «Ero scisso tra l’idea di restare celibe e farmi monaco o metter su famiglia», dice Yauch. «Ho vissuto un lungo periodo di castità – forse un anno. Tentare la via del celibato è interessante, perché pensi di avere un controllo consapevole rispetto all’attrazione verso qualcuno. Ma mi sono reso conto che queste reazioni non sono davvero consce. Poi io e Dechen abbiamo cominciato a frequentarci e mi è sembrato meraviglioso avere una famiglia. Ho sentito che era quella la cosa giusta». Il giorno che ci vediamo per discutere di celibato, matrimonio e altro, Yauch indossa un impermeabile marrone. Quando se ne va, mi torna in mente una sua foto di quando aveva 16 o 17 anni. C’è lui appoggiato a un muro, con gli anfibi, i jeans e un impermeabile decorato con spillette punk-rock. Era vestito quasi esattamente come questo pomeriggio, la differenza principale sono i capelli grigi. Questa è sempre stata una delle cose più affascinanti dei Beasties: per più di 15 anni sono rimasti legati alle passioni e agli interessi di un tempo, e per quanto siano diventati adulti hanno sempre portato con loro la gioia e l’anarchia della giovinezza. «Se senti i testi», dice Horovitz, «è divertente che ci sia dentro un mucchio di roba nostalgica: giocare ai videogame, farsi le canne… non credo sia necessariamente un male».
«È questa la cosa strana di fare un disco», dice Yauch. «Magari per un’ora sei in un certo mood, lo metti nel disco e vieni ricordato così. Mi fermano ancora dei ragazzini per dirmi: “Oh, ascoltavo i vostri album e mi facevo di polvere d’angelo”. Io non ne ho mai fatto uso in tutta la mia vita. Era giusto per scherzare. Mi dispiace amico… non ero serio».
«Credo che una delle cose più potenti al mondo sia dimostrare che si è cambiati», dice Mike D. «C’è gente che ci dice: “Voglio ringraziarvi, perché a 14 anni sentivo Lincensed to Ill, e poi sono entrato in fissa con Paul’s Boutique al college”. Siamo fortunati che il pubblico, beh, forse è presuntuoso da dire, sia “cresciuto con noi”. Ma evolversi fa parte degli esseri viventi e c’è un mucchio di gente che ha scoperto, e continua a scoprire, ciò che abbiamo fatto».