Interno notte, centro sociale alessandrino, primissimi anni ’90. Sul palco ci sono i Negazione. Di fronte a loro, un’allegra bolgia di ragazzi sudati – metallari, punk e non allineati – che pogano e cantano i pezzi. A un certo punto Zazzo, il cantante, introduce un brano: «Questa è una canzone d’amore… un po’ come tutti i pezzi dei Negazione». Poi parte una versione furiosa di Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi. Ed è proprio da quell’amore, inteso come passione bruciante non solo di carattere romantico, ma anche nei confronti della vita e della musica, che nasce la bellissima storia dei Negazione e degli Angeli: i primi leggende dell’hardcore punk made in Italy, i secondi (nati dalle ceneri dei Negazione) forse meno fortunati, ma altrettanto validi ed emozionanti, pur con una parabola durata lo spazio di due album appena.
In occasione della recente ristampa del secondo e ultimo disco degli Angeli (Voglio di più del 1999, per la prima volta su vinile per la label Area Pirata) abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Roberto “Tax” Farano e Massimo “Massimino” Ferrusi – che in entrambi i gruppi hanno militato, rispettivamente, in veste di chitarrista e batterista (Tax negli Angeli era anche alla voce).
Proviamo a fotografare la Torino d’inizio anni ’80 che ha fatto da culla a una scena hardcore punk molto speciale…
Tax: La città di Torino di 30-40 anni fa era molto diversa da ora. Se vogliamo adesso offre molto, ma allora dovevi andartele a cercare o creartele, le cose. In quegli anni, a Torino, non c’era nulla e abbiamo dovuto cercare di conquistarci degli spazi nostri. Non avevamo neppure un posto dove trovarci, all’inizio, per cui ci incontravamo in Piazza Statuto, nei negozi di dischi o in alcuni bar dove fra simili ci si riconosceva e ci si aggregava in maniera molto naturale. I gruppi musicali ruotavano più o meno tutti intorno a centri d’incontro e centri anarchici o antagonisti che poi si sono sviluppati: le prime occupazioni e poi El Paso. Anche la passione per la musica, alla fine, era espressione della volontà di fare qualcosa di diverso delle nostre vite rispetto a quello che vedevamo nei genitori e in molti coetanei. C’era insoddisfazione, disagio per quell’ambiente in cui la fabbrica era la cosa principale. Io per anni ho abitato coi miei, mio papà lavorava in Fiat e abitavamo a Mirafiori Sud: il clima non era certo allegro, era molto oppressivo. Per noi suonare, i primi gruppi e poi i Negazione significavano provare a crearci una vita alternativa alla fabbrica e ad altre cose che non ci piacevano.
Due parole sulla nascita dei Negazione.
Tax: I Negazione nascono nel 1983; io già dall’anno prima – avevo 16 anni – avevo iniziato a suonare nel 5° Braccio con Orlando Furioso, il batterista. Sciolto il 5° Braccio, Orlando e io ci unimmo a Marco e Zazzo (basso e voce, che arrivavano dagli Antistato, appena sciolti anche loro) per fondare i Negazione… eravamo quasi tutti coetanei, c’era poca differenza di età fra noi; io andavo a scuola, dovevo prendere il diploma delle superiori, cosa che poi non ho mai fatto (ride), e alcuni degli altri frequentavano i primi anni di università. Dopo poco, Orlando uscì dai Negazione per entrare nei Declino, che lasciò dopo il loro primo EP; lo sostituii io nei Declino, alla batteria, pur continuando a suonare nei Negazione.
Quanto spazio occupava il gruppo, nelle vostre vite?
Tax: Quasi da subito abbiamo iniziato a dedicarci al 100% ai Negazione, facendoli diventare la nostra attività principale. Come dicevo, io ad esempio andavo a scuola e alla fine l’ho mollata. Marco e Zazzo avevano appena iniziato l’università, ma non davano che pochi esami. Accettavamo dei lavoretti che ci permettevano di assentarci quando dovevamo andare a suonare e ci consentivano di pagare la sala prove e le corde degli strumenti o di comprare l’attrezzatura necessaria. La musica e i Negazione erano tutto per noi, fin dal primo momento: quando non stavamo suonando eravamo ai concerti di qualcun altro, oppure creavamo una fanzine o cercavamo nuovi contatti per suonare o collaborare… da subito ci immergemmo nella scena – come si usa dire – che allora era minuscola, ma ben presto si è allargata.
Che ricordi hai della prima volta in studio con la band?
Tax: Le prime registrazioni furono molto spontanee, eravamo del tutto inesperti e l’idea era solo riprodurre in studio la nostra rabbia. Avemmo la fortuna di incontrare Beppe Crovella (membro originario dei prog rockers Arti & Mestieri, nda) che aveva un background molto diverso, ma seppe condurci e indirizzarci in studio. Ha poi registrato anche altre band del circuito punk e hardcore, in seguito. Lui restò un po’ scioccato dal volume della chitarra, ad esempio, ma ci aiutò moltissimo. Con lui registrammo sia il primo nastro, lo split coi Declino Mucchio selvaggio, che il 45 giri Tutti pazzi. Il disco successivo, Condannati a morte nel vostro quieto vivere, lo registrammo invece ad Amsterdam. Avevamo già iniziato a girare e a suonare molto dal vivo.
Avete iniziato molto presto a fare concerti…
Tax: Non ci siamo mai posti il problema “finché non suoniamo bene, non saliamo sul palco”. Ci siamo saliti subito: all’inizio chi veniva a sentirci dal vivo si trovava di fronte a feedback infiniti dagli amplificatori e suoni decisamente più approssimativi. Ma con molto lavoro e determinazione siamo diventati solidi, la stessa determinazione che ci spingeva a fare mille lavoretti per comprarci uno strumento. Io ho iniziato a suonare che non possedevo una chitarra mia, per dire: me la prestava un amico.
Questo vi ha portato molto presto a uscire dai confini italiani per suonare in tutta Europa: immagino non fosse semplice girare, all’epoca.
Tax: (Ride) Il primo tour europeo fu di ben quattro date. Non c’era di certo un tour bus per muoverci, in compenso avevamo l’Interrail, il biglietto ferroviario che valeva un mese intero… e lo usammo in quell’agosto del 1984 per fare i primi live all’estero.
Facciamo un salto temporale: nel 1986 esce Lo spirito continua, un disco epocale, per l’etichetta olandese De Konkurrent (poi ristampato nel 1989 dall’italiana TVOR). Da lì inizia un percorso di grandissima crescita che vi porta a entrare in contatto con la We Bite, label tedesca che era già piuttosto importante all’epoca. Cambia qualcosa, per voi, in quel momento?
Tax: In realtà no: eravamo ancora assolutamente in una fase in cui usavamo i nostri soldi e i risparmi per finanziare la band e fare le cose. Il passaggio a We Bite per Little Dreamer fu nello spirito che ci muoveva sempre, cioè la volontà di migliorarci soprattutto nel fare più tour e incidere meglio. Però se il primo tour lo facemmo con l’Interrail, in quelli appena successivi usammo il Volkswagen del papà di Fabrizio Fiegl, il nostro batterista di allora: solo dopo un po’ riuscimmo a comprarci un furgone nostro. We Bite all’epoca era abbastanza nota, ma stava ancora crescendo: ci poté assicurare dei giorni in più in studio, ma non aveva certo un budget grande. Siamo riusciti più o meno a campare suonando forse solo negli ultimi due-tre anni dei Negazione, ma occorre fare una considerazione: non è che facessimo un sacco di soldi. Semplicemente vivevamo di quello perché eravamo sempre in giro a suonare, quindi con vitto e alloggio assicurati si tagliavano le spese. Anche negli ultimi anni non è che girassimo con cachet enormi. Di sicuro riuscivamo a mettere da parte qualcosa, ma era in pratica tutto reinvestito sempre nel gruppo.
Massimino: Dopo l’album 100%, quando sono entrato io in formazione, tutti facevamo ancora dei lavoretti e non campavamo di musica. Marco (Mathieu, nda) ad esempio scriveva già su alcune testate e per un po’ ha fatto anche il tour manager. Tax faceva delle cose per Radio Rai, ha scritto diverse sigle di programmi. Erano comunque tutti impegni che potevamo gestire incastrandoli con i tour e il suonare. Io quando entrai nella band ero assunto come magazziniere, lavoravo otto ore al giorno… e infatti mi licenziai, perché quell’impiego non era compatibile con l’attività dei Negazione. Sono stato il loro ultimo batterista, l’ottavo per la precisione. Con me, finalmente, erano riusciti ad avere un batterista di Torino, mentre gli altri erano sempre stati di fuori, con tutti i problemi logistici del caso. Integrarmi fu molto facile perché ero già molto amico di tutti loro, avendo già suonato negli Stinky Rats e poi negli Indigesti. Nessun imbarazzo quindi: sono stato accolto in maniera splendida, come uno di loro.
Ricordo che dopo la vostra esibizione al Monsters of Rock nacquero delle polemiche pesanti. Vi accusavano di essere “venduti”. Evidentemente non c’era una percezione corretta di come le cose erano veramente, per voi…
Tax: Su questo punto posso dirti che c’era una notevole schizofrenia di pensiero. Anche perché in certi contesti, come ad esempio il Monsters of Rock, la consuetudine era che il gruppo italiano piazzato in apertura pagasse per esibirsi. Noi, se non altro, non pagammo e ottenemmo una sorta di rimborso, ma non fummo certamente coperti d’oro come qualcuno voleva credere.
Come andò la giornata del Monsters of Rock? Avete qualche aneddoto dal backstage?
Tax: Beh, era una sorta di baraccone, un circo. Avevamo una specie di camerino che, però, sembrava più il ripostiglio della roba sporca che non altro (ride). Non ci hanno riservato nessuna particolare accoglienza e nemmeno ho fatto incontri vip… non ho incontrato i Metallica, piuttosto che gli AC/DC o altri, ho giusto intravisto qualcuno dei Metallica, mentre gli AC/DC credo siano arrivati cinque minuti prima di andare sul palco.
Massimino: Fu una gran bella botta andare a suonare al Monsters, un’emozione fortissima. Io ero il più piccolo di tutti e, personalmente, mi sono cagato in mano (ride): chi aveva mai visto tanta gente così sotto al palco? L’organizzazione era impeccabile e andò tutto bene, anche se fu una cosa che capitò all’ultimo momento: ci chiamarono agli sgoccioli, forse una settimana prima, tanto che il nostro nome non compariva nei cartelloni pubblicitari. Ricordo bene tutto il contorno: noi suonammo per primi, nel pomeriggio, e appena scesi dal palco trovammo una valanga di giornalisti che ci attendevano, ci fotografavano… non eravamo certo abituati a cose del genere. Un’altra cosa che mi colpì molto è che c’erano un sacco di fan dei Negazione fra il pubblico, anche gente venuta apposta per noi, perché vederci su quel palco era come una forma di rivalsa per loro, si godevano la gioia di vedere dei ragazzi che avevano iniziato in cantina esibirsi al Monsters of Rock. Fu un concerto che ci diede tantissima visibilità, anche se poi partirono delle polemiche: ci fu chi ci accusò di esserci venduti, qualche fan ci abbandonò anche per questo motivo. Se ne parlò a lungo, e ancora oggi siamo qui a discuterne, come vedi.
Le critiche dell’ultimo periodo, post Monsters, hanno avuto peso sullo scioglimento del gruppo?
Tax: No, non direi. Del resto eravamo abituati alle critiche già dai tempi di Little Dreamer, che venne accolto con l’osservazione «siete diventati metallari». Insomma, c’era sempre qualcuno di duro e puro che si sentiva di giudicare un gruppo, magari perché faceva un disco diverso dal precedente. Cose che venivano viste come tradimenti anche se non lo erano. Chi pensava queste cose di noi, comprese le considerazioni sul diventare rockstar, sbagliava di grosso. Per fortuna – ed era una grossa gratificazione – c’era anche chi pensava: «Ragazzi siete andati al Monsters, ce l’avete fatta». Era come se fossimo arrivati là a rappresentare tutti i ragazzi punk come noi che suonavano per passione, fra mille sacrifici. A noi più di tutto interessava continuare a crescere, era il nostro obiettivo… però, arrivando al Monsters of Rock, venimmo avvicinati da realtà a cui noi non eravamo abituati o pronti – intendo di major discografiche, agenzie di booking per i concerti e management. Arrivammo così a un punto in cui era necessario fare una scelta: non riuscendo a farla e patendo un po’ quello che era quasi un obbligo, arrivammo a un punto in cui non ci divertivamo più a fare tutto quello che avevamo portato avanti per quasi 10 anni. Eravamo un po’ scoppiati e alla fine abbiamo deciso che era meglio finire così l’avventura dei Negazione.
Massimino: Non credo. Io sono entrato nei Negazione a sostituire Neffa, alias Jeff Pellino, e ho fatto un paio d’anni con loro. Poco dopo il Monsters io ero preso benissimo, ma purtroppo il resto della band a un certo punto maturò la decisione di smettere. Rimasi molto deluso e amareggiato, perché avevo puntato moltissimo sulla band – a ogni livello. Però io ero l’ultimo arrivato, mentre loro erano quelli che avevano creato tutto ciò che erano i Negazione. Avevano anche delle valide motivazioni: erano molto stanchi e la situazione che si era delineata non andava più a genio a tutti loro.
Passiamo al post Negazione e alla nascita degli Angeli: come andarono le cose?
Tax: Dopo 10 anni di quell’esperienza totalizzante che furono i Negazione, sono rimasto un pochino fermo. Nel 1994 viaggiai molto, rimasi in giro per un anno intero, e al mio ritorno avevo molta voglia di rimettermi a suonare. Iniziai a farlo entrando nei Fluxus, che mi piacevano e avevano anche Marco Mathieu in formazione; da lì a poco mi è tornata la voglia di fare cose mie, per cui mi trovai con Massimino, l’ultimo batterista dei Negazione, e partimmo con l’avventura degli Angeli. Inizialmente cercammo un cantante, ma senza trovare qualcuno che ci convincesse: alla fine decidemmo che avrei cantato io, oltre a suonare la chitarra. E devo dire che la cosa mi è piaciuta molto… e poi avere anche il microfono davanti ti dà una bellissima sensazione, dal vivo.
Massimino: Poco dopo la fine dei Negazione, mi contattarono i Persiana Jones e mi misi a suonare con loro. Tax e io continuavamo però a frequentarci, eravamo molto amici e dopo un po’ nacque l’idea di fare qualcosa insieme. I Persiana mi piacevano, ci ho fatto un paio di dischi, ma erano comunque un po’ lontani dalla scena che ho sempre vissuto, per cui accettai volentieri di riprendere con Tax. Iniziammo ad andare in sala prove, a suonare le prime cose insieme, anche improvvisate; poi Tax trovò un bassista e così io presi a suonare in due gruppi allo stesso tempo: i Persiana e gli Angeli. A lungo andare, però, mi trovai costretto a scegliere e lasciai i Persiana, anche perché loro suonavano moltissimo live ed erano un impegno troppo grande. Mi è dispiaciuto, ma in fondo ho seguito il cuore, scegliendo gli Angeli.
Avete mai sentito il peso della locuzione “ex Negazione” abbinata al nome degli Angeli? Vi ha mai dato fastidio?
Tax: No, non mi ha mai pesato e non poteva pesarmi. Del resto ero i Negazione e sono stato poi gli Angeli. Voglio dire, a livello musicale, i pezzi dei Negazione li scrivevo io – all’inizio anche i testi, poi hanno iniziato a uscire fuori di più Marco e Zazzo su questo versante – e con gli Angeli ho continuato quel percorso. Poi mi sembrava corretto che un gruppo, anche se nato dalle ceneri di un altro, camminasse con le proprie gambe, per cui cercavo, quando possibile, di evitare la famosa scritta “ex Negazione”, più che altro perché sembrava un po’ noiosa.
Massimino: Nessun fastidio. Secondo me era una cosa positiva. E comunque, anche se le persone della band erano ex Negazione, la musica era diversa, si staccava un po’ da quello che avevamo fatto prima.
Quando uscirono gli Angeli le cose erano cambiate molto, rispetto agli anni ’80: era esploso il grunge, c’era il punk mainstream… voi come vi sentivate in questo nuovo panorama?
Tax: Devo dire che non mi sono mai sentito molto al passo, ero più legato a cose del decennio precedente e nemmeno cercavo di allinearmi ai contemporanei. Però la cosa di cui sentivo più la mancanza era un circuito di persone conosciute a cui appoggiarsi: del resto c’era stato un bel ricambio generazionale.
In che situazioni suonavate con gli Angeli? Club, centri sociali…
Tax: Abbiamo suonato ovunque. Già coi Negazione, a parte il primo periodo, abbiamo sempre suonato in ogni posto che ci chiamasse. Se ci cercava una discoteca o un club, noi andavamo. Questo perché a un certo punto eravamo un po’ stufi di suonare sempre nel giro dei centri sociali e i luoghi antagonisti. Sia chiaro, non per ragioni di rimborso spese, ma proprio perché volevamo parlare anche ad altra gente, invece di predicare solo ai convertiti.
Massimino: Come Angeli, in Italia, abbiamo suonato parecchio, soprattutto verso sud. Andavamo ovunque: per noi l’importante era girare il più possibile e non faceva differenza suonare davanti a 20 persone o a 1000.
Gli Angeli chiudono la loro esperienza appena prima dell’arrivo del nuovo millennio, nel 1999. Come sono andate le cose?
Massimino: Questo è un tasto dolente e in effetti mi sento responsabile per lo scioglimento del gruppo. Devi sapere che io arrivo da un background di studi musicali rigorosi, anche se ho sempre vissuto la scena punk. Mi è sempre piaciuto suonare e mi piace ancora, ovviamente. In pratica ricevetti la proposta di andare a fare il turnista a Tenerife, nelle Isole Canarie; era una proposta molto allettante a livello economico e mi arrivò in un momento in cui mi ero un po’ stancato di suonare in quel modo, nei piccoli club o in ambienti che a volte erano poco professionali. Volevo cambiare e quella proposta mi consentiva di farlo. Accettai quasi al volo, facendo così finire gli Angeli. Andai là, dove suonavo in una band con componenti di tutto il mondo: tutte le sere, per un paio d’ore, facevamo intrattenimento live nei locali con cover di pop internazionale… mi sono anche divertito, ho migliorato la tecnica. Ci sono rimasto per tre anni. Oggi sono pentito di averlo fatto: col senno di poi avrei preferito rinunciare a Tenerife e continuare con gli Angeli, perché mi hanno dato tantissimo.
Ora che è uscita la ristampa di Voglio di più non avete voglia di fare una reunion degli Angeli?
Tax: No, no. Ci ho pensato e ho concluso che non è il caso (ride). Diciamo che il giorno che mi dovesse tornare la voglia di suonare, farò qualcosa di nuovo, non una reunion.
Massimino: A me piacerebbe farlo… sono anni che inseguo Tax e ogni tanto gli butto lì l’idea o lancio frecciatine… ma invano: Tax non vuole (ride) e lo dichiariamo apertamente! A parte gli scherzi, ha deciso così quindi direi che gli Angeli non torneranno.