Quando, nel 2013, Teho Teardo e Blixa Bargeld pubblicarono Still Smiling, il loro primo album a quattro mani, pochi avrebbero previsto che il loro sodalizio sarebbe durato a lungo. Fosse anche solo perché gli artisti sono volubili, cercano sempre altro. Invece dopo quel disco arrivò Nerissimo (2016) e ora la strana coppia, non più tanto strana ormai, ha pubblicato un doppio album dal vivo, Live in Berlin, che anticipa il prossimo di inediti in uscita nel 2024.
Registrato al Sonic Morgue di Berlino il 6 dicembre 2022, il concerto è una summa del repertorio messo insieme da Teardo e Bargeld in 10 anni e vede il musicista di Pordenone, noto per le colonne sonore cinematografiche (da Denti di Salvatores a Il divo di Sorrentino a Palazzina Laf di Michele Riondino) e abile nell’abbracciare la multimedialità in ambiti come teatro e arte, e l’amico Bargeld, ex Bad Seeds accanto a Nick Cave, frontman degli Einstürzende Neubauten, ugualmente spinto da uno spirito di ricerca e da un talento poliedrico, affiancati da Laura Bisceglia (violoncello, campane), Gabriele Coen (clarinetto basso), e da violini, violoncello e viola dell’Oriel Quartett (Anna Eichholz, Kundri Schäfer, Robin Hong, Alice Dixon).
Ascoltandolo si entra in un mondo di atmosfere notturne e chiaroscuri che fonde l’elettronica con la classica, la dolcezza degli archi con la ruvidezza del rock, l’italiano con l’inglese e il tedesco. Ne abbiamo parlato con gli autori, collegati su Skype dallo studio berlinese dove sono al lavoro sui nuovi pezzi. «Ci lavoriamo dal 2019, quando si credeva che il problema più grosso che potessimo avere fosse la Brexit», dice Blixa. «Mentre poi ecco la pandemia, la guerra in Ucraina, quella in Medio Oriente. Tutto questo ha cambiato la nostra prospettiva, così li abbiamo ripresi in mano e ora sto modificando parole, versi. Penso di non aver mai lavorato così a lungo su delle canzoni in vita mia».
Quindi questo Live in Berlin non è che una tappa…
Blixa Bargeld: Una tappa intermedia prima del nuovo album.
Teho Teardo: Un anno fa abbiamo fatto l’ultimo concerto del tour insieme e lo abbiamo registrato. Siamo rimasti talmente soddisfatti del risultato che abbiamo deciso di pubblicarlo.
Com’è cambiato, negli anni, il vostro rapporto con il palco e la dimensione live?
Blixa: Perché pensi sia cambiato? Posso immaginare di smettere di fare dischi, ma non di fare concerti. L’unica cosa diversa è che dalla pandemia in avanti gli standard igienici sono più rigidi. Con i Neubaten, nel 2022, non ha funzionato: ci testavamo di continuo e indossavamo la mascherina ovunque, ma alcuni si sono ammalati lo stesso e abbiamo dovuto cancellare delle date. In compenso io il Covid l’ho preso per la prima volta due settimane fa.
Teho: Mi ha scritto un messaggino con una sola parola, in lettere maiuscole: COVID (ride).
Blixa: Comunque nel 2024 mi aspettano vari tour: quello con Teho e quello con i Neubauten, visto che abbiamo un nuovo disco quasi pronto. Probabilmente sarò sul palco anche con il mio amico svizzero KiKu e con un progetto danese-svedese, Flammenwerfer, per il quale ho scritto la musica.
Teho: Io sono stato così tanto in tour negli ultimi due anni, e mi sono pure viziato, dato che con Elio Germano, con cui sto portando in giro due spettacoli, ho avuto la fortuna di suonare in teatri del XVII secolo con un’acustica più che perfetta, che semplicemente non riesco più a smettere. Non vedo l’ora di suonare dal vivo i nuovi brani a cui sto lavorando con Blixa.
Come sono? Potete anticipare qualcosa?
Teho: Ieri abbiamo mixato la prima canzone e mi piace molto. Sono contento, perché tutto questo è il frutto di un processo avviato molto tempo fa: vedi il punto di partenza e poi tutti questi elementi che iniziano a muoversi in più direzioni fino a combinarsi in una forma, è bello.
Gli spettacoli con Germano sono dedicati a Dante e a Pasolini. Blixa, per te Pasolini è una figura significativa?
Blixa: Pasolini è da sempre un mio caro amico (ride).
Parlate delle rispettive passioni, quando siete insieme?
Teho: Sempre, io e Blixa parliamo tutto il tempo.
C’è chi dice che Blixa ha un brutto carattere.
Blixa: Per me è meglio se la gente pensa che abbia un brutto carattere. Vorrei lo pensassero tutti, mi rende la vita più facile.
Teho: Esiste una tecnica per diffondere informazioni come questa.
Blixa: Già.
Teho: L’ho imparata da Morricone, con cui ho collaborato. Mi disse: la gente con cui lavori deve avere paura di te, fare in modo che questo avvenga è il vero lavoro.
Blixa: Esatto!
Però voi due andate d’accordo, no? Cosa vi lega?
Teho: Ci sono tante cose su cui amiamo lavorare insieme trovando un terreno comune. Penso al modo in cui scriviamo le melodie o in cui forziamo elementi dissonanti a fondersi in una canzone. È tutto così stimolante, e ogni è volta diverso. Perciò è stato interessante, per me, ascoltare il master di questo disco live: è una fotografia del percorso compiuto insieme dall’inizio a oggi.
Come lo descriveresti, questo percorso?
Teho: È un percorso complesso. Il bello è che il risultato non lo è.
Blixa: Non è complesso?
Teho: No, il risultato è piuttosto chiaro.
Blixa: Io lo trovo complesso.
Teho: Ok, vai avanti.
Cosa intendi, Blixa?
Blixa: Mi sono reso conto che, a differenza delle cose ermetiche che scrivo per i Neubauten, i testi che scrivo per questo progetto con Teho sono più incentrati sulla mia persona. Sarà che prendo le tracce che mi passa – di solito è lui ad abbozzarle – e mi metto a riflettere tra me e me: è questo, perlopiù, il comune denominatore dei nostri brani, il punto di partenza. E non è un “io, io, io!”, ma un guardarmi allo specchio.
Teho: Io stesso, quando scrivo per noi due, penso a Blixa e mi chiedo: ascoltando questo come reagirà, che faccia farà?
Blixa: Di sicuro in un libro di miei testi non potrei limitarmi a inserire il repertorio dei Neubaten, non potrei non infilarci dentro anche i testi scritti per i dischi con Teho e per altri progetti. Perché ognuno di questi presenta la stessa idea da un’angolatura differente, e sono tutti collegati tra loro: se per raccontare queste connessioni e come certi elementi emergano e poi riappaiano, tornino, disegnassi una mappa di viaggio, sarebbe estremamente complessa.
Perché, esattamente?
Blixa: Perché ho scritto cose da un punto di vista scientifico, specie astronomico e biologico, altre che scavano fino a giungere a un livello molecolare, e altre ancora che esplorano una prospettiva storica, se non cosmologica. Perché ho scritto testi che hanno a che fare con il genere, con l’identità, con la consapevolezza, con il linguaggio. È come se in ogni progetto scaturisse una diversa prospettiva rispetto al lavoro che porto avanti con le parole e con certe tematiche, come se ogni progetto facesse emergere un lato dei miei pensieri. E di recente ho anche realizzato che parte di questi ultimi affonda le radici nel Blixa bambino: ci sono cose che mi chiedevo quando avevo 10 anni e sulle quali mi interrogo tutt’oggi.
Per esempio?
Blixa: Dopo che lo scorso febbraio mi sono rotto una gamba cadendo dal palco, per un periodo ho sofferto di insonnia. All’epoca ero impegnato su un progetto per l’Holland Festival, stavo scrivendo un libretto per un compositore contemporaneo di Hong Kong, Jamie Man, e quel libretto ha finito per essere basato interamente sul legame che sin dall’infanzia ho sentito con l’astronomia. È a questo che mi riferisco quando parlo di domande che mi ponevo da piccolo.
Teho, per te qual è l’aspetto più significativo della musica che scrivi con Blixa?
Teho: Vorrei dire qualcosa sul linguaggio. Quando ho capito che i testi scritti da Blixa per il nostro duo erano così personali, ho iniziato a indagare di più questo aspetto e a cercare delle parole che potessero guidarmi nella scrittura dei brani per poi incontrare Blixa da qualche parte, non importa se a Berlino, in cima a una montagna o altrove. Ebbene, quelle parole, che nella mia testa possono aiutarlo a fare ciò che fa, le scovo cercando una connessione con lui, una connessione sostanzialmente astronomica, che sta su nel cielo, che passa attraverso le stelle e le vie seguite dagli uccelli che migrano. È così che sono affiorati alcuni titoli, per esempio Animelle, e frasi come “ho un negozio di biancheria che si chiama Bianchissimo”.
Ieri mi sono ascoltata Live in Berlin tutto di fila e l’ho trovato catartico. Nella vostra musica c’è indubbiamente una cupezza, ma più andavo avanti con le tracce, più ne percepivo il senso liberatorio: sotto questo profilo Defenestrazioni è un finale luminoso.
Blixa: La cosa migliore che possa fare la musica è dire all’ascoltatore che qualunque cosa pensi, provi e faccia, in qualunque modo stia conducendo la sua vita, se è convinto di stare facendo la cosa giusta, non dovrebbe rinunciarci per nessun motivo al mondo. Lo dico da una posizione di nicchia, so che ciò che scrivo e canto ha valore per un gruppo ristretto di persone, ma questo non mi impedisce di pensare che quel che faccio avrà senso per qualcuno. E per me il senso più profondo è questo: accetta ciò che sei, rafforza ciò che sei a partire da te stesso, da quello che hai dentro. Non serve a nulla mettersi contro qualcosa che sta al di fuori di noi, nemmeno se si urla “fight the power”, neppure se scrivi canzoni di protesta. È legittimo, ma non mi interessa. Con la musica vorrei, semmai, trasmettere forza a chi ne ha bisogno. Un motivo è che questo è stato il mio modo di approcciarmi alla musica da adolescente: quando litigavo con i miei, mettevo su un disco che sapevo mi avrebbe dato la forza di continuare a essere me stesso, qualsiasi cosa gli altri dicessero.
E che dischi mettevi su, ti ricordi?
Blixa: Da un lato, il rock di Beatles, Rolling Stones, Doors, Velvet Underground, David Bowie. Dall’altro, band tedesche come Can, Kraftwerk e Neu!. Sono stato anche un fan dei Ton Steine Scherben, la prima band della Germania – due chitarre, basso, batteria – a fare rock in lingua tedesca: nei primi anni ’70, quando era diffusa l’idea che non si potesse fare rock in tedesco, aprirono la propria etichetta e si autoprodussero, erano parecchio politicizzati. Anni dopo ho avuto l’occasione di conoscere Rio Reiser, il cantante, e di dirgli che da giovane lo consideravo un mio eroe: un bell’incontro, siamo entrati subito in sintonia.
Teho, tu cosa ascoltavi da ragazzino?
Teho: Potrei citare gli stessi nomi…
Blixa: Ma sei un po’ più giovane di me.
Teho: Sono moooolto più giovane di te (ride). Nel ’77, quando esplose il punk, avevo 11 anni, e significò molto per me. Per il resto, sono cresciuto con i Beatles e poi, per caso, perché avevo degli amici con fratelli più grandi che sentivano roba sperimentale etichettata come industrial, scoprii band come i Throbbing Gristle. Strano per un bambino, lo so… Ma anche i Neubaten li ho scoperti che ero ancora piccolo: quella musica mi attraeva. Mio padre, che Blixa ha conosciuto, mi chiedeva che cavolo stessi ascoltando, che era terribile. Ma ho sempre trovato lirici certi suoni che i più percepiscono come estremi, ci sento una poesia.
Siete partiti entrambi da una ricerca sul rumore: Blixa negli anni 80 con i Neubaten, Teho nei ’90 pubblicando album con artisti quali Ramleh e Skullflower, per poi fondare i suoi Meathead, che erano più crossover.
Blixa: Però quello che ho fatto con i Neubaten non aveva a che fare con una volontà di ricerca sul rumore, fu dettato da condizioni economiche. Ai tempi del primo concerto avevamo ancora una batteria normale, ma Andrew (Chudy, nda) dovette venderla perché aveva bisogno di soldi e si auto-costruì una sorta di batteria con pezzi di metallo, scarti di materiali edilizi. Da lì avviammo una ricerca che è andata avanti. Sotto questo aspetto il prossimo album dei Neubaten sarà il primo a essere diverso: questa volta non ci siamo messi a caccia di suoni nuovi, ci si siamo basati sulle improvvisazioni live dell’ultimo tour, usando gli stessi strumenti che avevamo sul palco. Forse per me ha perso un po’ il senso che aveva, quel tipo di ricerca: abbiamo già fatto tutto, abbiamo suonato di tutto.
Teho: Anch’io ho registrato le mie prime cose con quello che avevo a disposizione. Avevo 16 anni e un clarinetto, vi aggiunsi materiali di scarto e pezzi di metallo, e qualcuno mi prestò un registratore a cassette.
Vi associano spesso a uno spirito avanguardistico: vi ci ritrovate?
Blixa: Io non sono un avanguardista, sono un performer d’avanguardia.
Teho: A me non piace il termine avanguardia, perché è connesso all’esercito.
Blixa: Sì, se dovessi scegliere una parola associata all’ambito militare, sceglierei disertore.
Teho: Giusto, disertore mi piace.
Blixa: Il punto è che l’avanguardia può essere immensamente noiosa, per questo dico che sono un performer o un intrattenitore d’avanguardia. E sottolineo intrattenitore: altro che noia!
Che dici, Teho? Forse in Italia il termine avanguardia è usato per evidenziare la lontananza dalla musica mainstream o di facile ascolto?
Teho: Già, perché non sanno che farci, con quel termine.
Blixa: Di sicuro io non sono nel mainstream: il mainstream ha paura di me!
Teho: Comunque è solo una parola, niente di interessante.
Blixa: L’avanguardia aveva una ragione ai tempi dell’avvento dell’atonalità, della seconda scuola di Vienna, di John Cage. Ma dopo… È stato già fatto tutto, meglio parlare di musica contemporanea.
Nel concerto registrato per questo album Blixa racconta di avere iniziato a scrivere Come Up and See Me a Roma, in un hotel all’Esquilino, e che “l’uomo che ha fottuto un intero Paese” del testo è Berlusconi come descritto all’epoca in un articolo dell’Economist.
Blixa: Amo quel pezzo, nel chiuderlo ho pensato di aver scritto una nuova variante di canzone politica.
Teho: Certo, dove parli di Berlusconi e prosegui elencando canali tv e media italiani. E dici, in italiano, “una foresta di antenne”: descrizione puntuale di ciò che si vede in quella zona di Roma.
Blixa: È così, dalla terrazza sul tetto dell’albergo dove soggiornavo vedevo antenne su antenne. E alla tv, tutti quei canali…
Teho: Incluso uno per bambini che mia figlia Iris usava guardare; non dimenticherò mai quando, sentendo il brano – era ancora piccola – mi disse: «Papà, Blixa parla di quello che guardo sempre io!» (ride).
Invece presentando A Quiet Life, tema del film Una vita tranquilla di Claudio Cupellini finito più di recente nella serie Dark, sempre Blixa ricorda un cantante d’opera che a Wedding, Berlino, durante il primo lockdown, decise di intonare l’inno nazionale italiano davanti al suo ristorante italiano preferito, al tempo chiuso per Covid, come gesto di solidarietà.
Blixa: Peccato che i proprietari del locale siano usciti per dirgli di smettere – «Non fatelo, siamo comunisti» – e si siano messi a cantare Bella ciao! Ho riso un sacco. Wedding è il quartiere dove vivo, una zona multietnica. Immaginati se in Italia qualcuno si mettesse a cantare l’inno nazionale tedesco davanti a un ristorante tedesco (attacca con “Deutschland, Deutschland über alles” e scoppia a ridere contagiando Teho, nda).
Voi la rifareste, Bella ciao?
Teho: Blixa, vai, diglielo tu.
Blixa: Per il prossimo album abbiamo registrato un’antica passacàglia sostituendo le liriche in italiano con un testo multilingue, e in un punto del brano, essendo l’armonia la stessa, passiamo a Bella ciao. Che è una canzone fantastica.