Il terzo disco, di solito, è quello della maturità. Ma non dite a Diego Naska che lo trovate più maturo, perché «mi sembra la definizione buona per uno che ha messo la testa a posto, mentre io sono tutto tranne che con la testa a posto».
Se questo è vero a livello personale – e si sente in quello che canta – non lo è a livello musicale. The Freak Show, con le sue 10 tracce, dimostra un’evoluzione che forse in pochi si sarebbero aspettati. C’è il punk-pop, c’è l’ironia e ci sono anche le provocazioni, come sempre. Ma c’è di più, visto che ogni brano ha una costruzione più complessa rispetto ai dischi precedenti e una varietà di stili che vanno dal rock al pop fino alla techno e al rap, nonostante la vita «piena di eccessi» del suo autore. D’altronde, sostiene che è importante la salute mentale – alla quale dedica la canzone Piccolo – ma dallo psicologo non vuole (ancora) andare, perché «ad affrontare i mostri ho il timore che poi non riuscirei più a metterli in musica».
In questa intervista, dove non si fa problemi a parlare di tutto con schiettezza, ci ha spiegato le ragioni per cui le femministe non lo criticano nonostante i testi espliciti. Quando gli faccio notare che, truccato da Joker, somiglia anche nell’atteggiamento a Grignani, esclama: «Mitico Gianluca, grande scopatore!». Racconta come mai secondo lui la sua generazione è piena di paranoie, che lui rappresenta in pieno. E perché, nonostante quel che è successo con Fedez – in un video pubblicato sui social Naska alludeva a una violenza subita dal rapper in un «van con cinque persone dentro» – non ha inserito nel disco neanche un dissing: «Perché io faccio musica, e certe cose le fanno quelli che non mettono la musica al primo posto».
Diego, intanto come stai?
Eh, ormai gli anni si fanno sentire.
Ma se nei hai solo 27… Forse perché fai baldoria tutti i weekend?
Sì sì, è vero. Sarà per quello. E per fortuna!
Il tuo nuovo album si intitola The Freak Show. Ti senti un freak, cioè, stando alla definizione, un giovane che rifiuta le norme e i modi comuni di comportamento sociale, adottando comportamenti anticonvenzionali e anticonformistici?
Sicuramente un po’ freak mi ci sento. Questa definizione mi fa pensare a uno un po’ strano, per questo mi è uscito un circo degli orrori. Non ho tre teste, però credo di essere piuttosto diverso dagli altri. Il titolo è una citazione dall’ultimo pezzo dell’album, Pagliaccio.
Il terzo disco è quello della maturità?
Dovrebbe essere così, ma non voglio definirlo il disco della maturità, mi sembra la definizione buona per uno che ha messo la testa a posto, mentre io sono tutto tranne che cresciuto e con la testa a posto. Musicalmente sì, è un disco più maturo. È passato un anno, ho ascoltato tanta altra musica, ho fatto esperimenti con sonorità più coraggiose. Come in Berlino, che mischia punk-rock e techno. Oppure Corona di spine che è molto grunge. Può piacere o no, ma a me non me n’è mai fregato un cazzo se non piace.
La prima traccia E mi diverto è un elogio a una vita di eccessi. Parte molto rock con quella batteria che picchia potente e precisa.
È rock il primo pezzo perché volevo aprire con una bella scarica di energia.
Infatti canti: “Ho voglia di scopare e darti due schiaffi proprio come piace a te…”. Farà incazzare le femministe?
Perché? Le do due schiaffi come mi ha chiesto lei, altrimenti non mi sarei mai permesso. Se mentre lo facciamo la tipa mi chiede di darle due schiaffi, glieli do per accontentarla. Per questo ho specificato “come piace a te”, sono schiaffi consensuali.
Non hai mai ricevuto proteste da parte delle femministe per i tuoi testi?
No, perché nelle canzoni non ho mai trattato la donna come un oggetto. Per me la donna è una musa. Alle donne devo tanto, grazie a loro faccio tanta musica.
In Scappati di sasa parli del tentativo della tua generazione di trovare un posto nel mondo. Ma la tua generazione davvero non vede un futuro davanti o è un discorso da boomer?
Mi sembra una generazione divisa in tre. C’è chi se ne frega di tutto, chi ha un atteggiamento gangsta e ascolta rap e trap e chi invece, e sono quelli che rappresento io, ha un atteggiamento preso male, borderline. Sono quelli che si fanno le paranoie e hanno le ansie. Io parlo a questi ultimi, che dopo il Covid sembrano diventati più numerosi tra i giovani.
Ansie e paranoie che sembrano simili a quelle del generazione X. È per questo che canti: “Siamo figli di puttana scappati di casa, con la maglia dei Nirvana da una settimana”?
Ho un giradischi a casa e di solito, dopo aver ascoltato un vinile, uno lo leva. Io invece ho sempre sul piatto Nevermind dei Nirvana. A volte lo cambio, ma poi torna quello e ogni giorno almeno un pezzo o due mi capita di sentirli. In Scappati di casa li cito perché nel paesino da dove vengo gli altri giovani si vestivano da bravi ragazzi, mentre io e i miei amici ci mettevamo le t-shirt dei Nirvana, che con i tatuaggi ci facevano considerare dei disagiati, dei freak, dei diversi.
Un anno fa mi hai detto: «Di quello che dicono i vecchi cantautori non me ne frega un cazzo». Era una provocazione o lo pensi ancora?
A me non me ne frega un cazzo per davvero. Con tutto il rispetto, ma quello che raccontavano era legato al loro tempo, non si potrebbe replicare oggi. Magari alcune cose sull’amore, ma sul resto non possono essere contemporanei, per niente.
Prima hai citato Berlino, il pezzo con Greg Willen e Gemitaiz, dove c’è una incursione della techno.
È un esperimento, nato mentre ero al Berghain. Mi sono detto: perché non provare a mischiare la mia roba alla techno e a quello che ho sentito qui? Tornato in studio ho buttato giù qualcosa, ho voluto Greg Willen appunto per la techno, mentre Gemitaiz perché l’ho beccato lì a Berlino e a lui piace quella città ed era perfetto per la canzone. Anche se io non faccio tanti featuring…
Come mai?
Perché i miei dischi sono personali. In questo caso, parlando di qualcosa di esterno, ci stava.
Al Berghain sei riuscito a entrare? Diletta Leotta l’hanno rimbalzata.
Ho sentito di Diletta. Io sono riuscito a entrare non una, ma due volte.
È davvero un locale così estremo?
Ho visto cose che non avrei mai nemmeno potuto immaginare. Lì sono veramente dei grandissimi freak. Mi piace molto la cultura party di Berlino perché nessuno giudica gli altri, c’è molto rispetto per tutte le sensibilità.
In La mamma di *** racconti della madre di un tuo amico che ci ha provato con te quando eri ancora più giovane di oggi. Tutto vero?
È un’esperienza vera che ho avuto con la mamma di un amico, anni fa nelle Marche. Alcune cose sono un po’ romanzate, però è una storia realmente accaduta. Fa ridere.
Quindi apprezzi le donne mature.
Assolutamente! Hanno tante cose da insegnarci.
Oltre all’aspetto da tombeur de femmes, sai esprimere un certo romanticismo in pezzi come Non me lo merito o Baby Don’t Cry.
Ho sempre avuto un lato romantico, tanto che sulla mia bio di Instagram ho scritto: «Romantic but still punk». Non me lo merito è anche un esame di coscienza dei uno stronzo che si pente e sa di non meritare di avere al suo fianco una persona che per lui c’è sempre.
Gli eccessi, il sesso, l’amore. Non manca neanche la salute mentale, in Piccolo. Sembra un tema centrale per la tua generazione.
Il 10 ottobre è la Giornata mondiale della salute mentale, per cui cade a pennello. A parte questo, è un tema importante, sì. Sono contento che tanti lo stiano affrontando. Lo psicologo dovrebbe essere gratuito per chi non se lo può permettere. Io ne parlo, ma ammetto di non esserci mai stato da uno psicologo…
Cosa ti frena?
Se riuscissi ad affrontare i miei attacchi di panico e gli altri mostri che ho in testa, forse non riuscirei più a metterli in musica. Quindi me la accollo un po’ questa presa male se serve a scrivere cose forti. Ai giovani che non riescono a sfogare come me in musica i loro mostri, però, consiglio di farsi aiutare da uno psicologo.
Ho per caso qui al mio fianco il libro La malattia dell’ostrica di Claudio Morici, appena uscito, dove parla di tutti gli scrittori che hanno pubblicato capolavori e avevano problemi di salute mentale. Credi anche tu che arte e follia siano collegati?
Sicuramente! Non sono mai andato in studio quando stavo bene. A Luigi Tenco hanno chiesto perché scriveva solo quando stava male e ha risposto: «Quando sto bene esco».
In Pagliaccio, ultima traccia dell’album, sveli un po’ la tua maschera. È un pezzo più intimo, sembra quasi nostalgico. Ti manca la vita prima del successo?
Nostalgico no, non penso mai che vorrei tornare indietro. È un sunto di tutte le cose che sono cambiate rispetto a prima. Canto: “Ora la vita un po’ è cambiata ma le paranoie sono le stesse di prima”, è il calcolo di quello che è cambiato e di quello che è rimasto. La maschera la metto per salire sul palco, visto che giù dal palco sono una persona normale. Così le paranoie, mettendo quella maschera, spariscono appena devo fare un concerto.
Ora hai 27 anni, sai che è un’età delicata per i rocker?
Tempo fa scrissi una canzone, 2024, dove dicevo che sarei morto a 27 anni per entrare nel club e far rimanere la mia musica. Ho paura? Mah, oddio, diciamo che a 26 anni ero più tranquillo.
C’è stato un momento in cui hai rischiato davvero la vita?
Ho un amico nelle Marche che non sa guidare tanto bene e quando salgo in macchina con lui ogni volta rischio la vita. Neanche da astemio sa guidare. Tante volte sono finito al Pronto soccorso, tanto che ormai quando entro mi salutano e mi chiamano per nome.
Nella cover del disco hai il volto truccato da Joker, che è in trend per via del film di Todd Phillips di cui è appena uscito il sequel. A me hai ricordato, anche per atteggiamento, il Gianluca Grignani di La fabbrica di plastica. Ti ci rivedi?
Mitico Gianluca. Un grande scopatore Grignani! Più che nella musica mi ritrovo nel rapporto con le donne. Quando tornò a Sanremo uscirono parecchi meme su di lui, alcuni con la sua foto da giovane, e la gente mi taggava dicendo che ero io. Un po’ ci somigliamo. Comunque ti ringrazio, somigliare anche nell’atteggiamento a Grignani per me è un complimento.
Il 7 dicembre farai un concerto al Forum di Assago. Ho visto nelle storie Instagram che ti stai preparando fisicamente facendo la cyclette, anche se, come hai detto, farla «mi cringia tantissimo».
Sai, in palestra vado perché, come sulla copertina del disco, sono spesso a torso nudo. Se non ci andassi salterebbero fuori i gin tonic… Ci vado per spurgare i weekend impegnativi. Mi aiuta anche a mantenere un po’ di controllo rispetto a una vita piena di eccessi. La cyclette serve a farsi il fiato, dicono, ma a me non spaventa il Forum. Sono gasatissimo, non vedo l’ora che arrivi. Sto preparando lo spettacolo, ho tre dischi da cui attingere, sto chiamando tanti ospiti e preparando altrettante sorprese. E già oggi mancano pochi biglietti.
Però devo dirtelo, con questo disco hai dato una grossa delusione a tanti giornalisti.
Perché?
Non c’è neanche un dissing a Fedez…
Ma perché io faccio musica, non voglio fare dissing, gossip e cose del genere. Sono cose che fanno quelli che non mettono la musica al primo posto. Siccome per me la musica è sempre stata al primo posto, io i dissing, i gossip e quelle cagate le lascio volentieri ai rapper.