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Thurston Moore: «Il rock non è musica per giovani»

Tra strumentali interminabili e riferimenti all’avanguardia, l'ex Sonic Youth cerca un suono universale, unione di minimalismo americano e spirito punk-rock. «Il rock'n'roll sta diventando la musica classica del presente»

Foto: Vera Marmelo

Ascoltare il nuovo disco di Thurston Moore, Spirit Counsel, significa farsi spettatori di ciò che lo ha spinto, quasi 40 anni fa, a fare musica con i Sonic Youth. Siamo alla fine degli anni ’70 quando Moore, allora sulla ventina, rimane estasiato vedendo Glenn Branca suonare dal vivo la sua Instrumental for Six Guitars. Più avanti rivelerà come quella performance aprì la strada alla nascita dei Sonic Youth, del loro stile in bilico tra punk, no wave e hardcore costruito attorno a elementi ispirati proprio alle avventure avanguardiste di Branca: dalle accordature non convenzionali delle chitarre all’esplorazione delle possibilità sonore delle stesse, dalle dissonanze ai feedback alla ripetizione ipnotica di accordi e note. Ora le tre lunghe composizioni strumentali di Spirit Counsel – ossia i 60 minuti e passa di Alice Moki Jayne, i quasi 30 di 8 Spring Street e i 55 di Galaxies – rappresentano il ritorno del 61enne Moore alle sperimentazioni chitarristiche degli esordi in quel di New York e al contempo un omaggio a quel Branca morto il 13 maggio 2018 per un tumore alla gola, del cui ensemble aveva fatto parte un altro Sonic Youth, Lee Ranaldo.

«Non sapevo come pubblicarle!», confida l’ex Sonic Youth, che alla fine ha optato per tre CD. «Tutti continuano a chiedermi i vinili, ma per stamparli avrei dovuto dividere i brani in due e non mi andava. In ogni caso penso che il modo migliore per apprezzare questo lavoro siano i concerti». Ha ragione: i recenti live legati a Spirit Counsel lo vedono trasformarsi in una sorta di sciamano della chitarra, più smanioso che mai di condurre il pubblico in un viaggio immersivo fatto di spirali noise, distorsioni abrasive, psichedelia, post rock, ambient, incursioni nel black metal, ‘scampanellii’ metallici reiterati. Il tutto con la complicità di una formazione di musicisti già con lui da qualche tempo: la bassista Debbie Googe (My Bloody Valentine), il batterista (ex Sonic Youth) Steve Shelley, il chitarrista James Sedwards, più Wobbly alias Jon Leidecker dei Negativland all’elettronica. «Dal vivo adoro perdermi nella musica, però forse sono meno perso di quanto possa sembrare dall’esterno», precisa Moore. «Sul palco sento anche molto la responsabilità di avere la situazione sotto controllo per dirigere la band e onorare il pubblico che è venuto a vedermi anziché fare altro». E aggiunge: «È davvero importante per me, nutro un rispetto enorme per chi viene ai concerti, per cui quando suono davanti a una platea mi serve lucidità».

Spirit Counsel è un progetto che sposa due facce della sua attività di musicista. «Le lunghe composizioni strumentali di Branca, infarcite del minimalismo di Steve Reich, Philip Glass e La Monte Young, hanno influito su molto del materiale dei Sonic Youth: con questo lavoro mi sono messo alla ricerca di un equilibrio tra il songwriting punk-rock e quel tipo di brani strumentali. E mi sono preso una pausa dal canto: canterò ancora, ma per il momento è bello non dovermi occupare della voce soprattutto durante i soundcheck, diventa tutto più semplice e per me rigenerante».

Oggi Thurston Moore vive a Londra, sua città d’adozione dopo che il divorzio con Kim Gordon ha provocato lo scioglimento dei Sonic Youth e lo ha portato a una nuova vita con la compagna Eva Prinz, editrice. Se Kim si è tolta parecchi sassolini dalle scarpe sulla fine del loro matrimonio nella (bella) autobiografia Girl in a Band e in svariate interviste, Moore non ha parlato spesso di quanto accaduto. La conversazione scivola in quella direzione quando si sposta su Alice Moki Jayne, prima traccia di Spirit Counsel dedicata ad Alice Coltrane, Moki Cherry e Jayne Cortez, vale a dire le mogli dei jazzisti John Coltrane, Don Cherry e Ornette Coleman. «Conoscevo l’opera di Moki Cherry, era una visual artist incredibile, utilizzava i tessuti per creare splendidi murales, era anche scultrice e ha realizzato immagini di copertina per i dischi del marito», dichiara Moore. «Un giorno la cantante Neneh Cherry, figlia di Moki, mi ha raccontato che quest’ultima e Alice Coltrane, moglie di John, erano amiche. Interessante… Così ci siamo messi a parlare di Ornette Coleman e di sua moglie Jayne Cortez, meravigliosa poetessa e attivista afro-americana, tra le figure letterarie di spicco del Black Arts Movement. Sono rimasto affascinato dalla storia di queste tre donne visionarie, che a differenza dei mariti non avevano bisogno di un profilo pubblico né della popolarità per sviluppare le loro idee, la loro arte». È a questo punto che gli chiediamo se in tutto ciò c’è un qualche afflato femminista. Risposta: «Molto del lavoro che ho portato avanti negli anni anche con i Sonic Youth è correlato al pensiero femminista. Che dire? Per me i veri uomini sono femministi. Il problema è che non ce ne sono molti e credo che questo fraintendimento che gli uomini hanno su se stessi, il fatto che pensino di essere superiori, sia un aspetto del mondo in cui viviamo che scatena molti conflitti; siamo in balia dell’avidità di questa gente».

Chissà cosa penserà Thurston di chi negli scorsi anni, talvolta rivendicando posizioni femministe, lo ha accusato di essere stato lui e solo lui la causa del divorzio da Kim Gordon. Proviamo a chiederglielo. «Penso si debba tenere conto dei lati positivi degli “ismi”, dopodiché è naturale che ogni dibattito sarà conflittuale finché le persone sottoscrivono delle ideologie», replica Thurston. «Di mio sfuggo ogni dogmatismo, prendo le mie decisioni in base a ciò che ritengo giusto ed equo, però mi rendo conto che in giro c’è tanta disinformazione. Ma insomma, il mondo ha problemi più grossi di questo… Il bello è che con Eva ho una casa editrice (la Ecstatic Peace Library, nda) e che lei è impegnata da sempre nella divulgazione di narrativa e saggistica femminista; di questo si parla poco, ma è la verità».

La chiacchierata ritorna su Spirit Counsel. «Ho iniziato registrando idee con smartphone e laptop», afferma Moore, che tra le altre cose insegna alla Jack Kerouac School of Disembodied Poetics, scuola fondata nel 1974 presso la Naropa University di Boulder, Colorado, da Allen Ginsberg e Anne Waldman. «Questo per non scordarmele: è davvero impossibile ricostruire a posteriori passaggi musicali pensati precedentemente se non te li appunti in qualche modo. In seguito, quando mi sono avvicinato all’idea di una composizione di lunga durata, sono ricorso a dei pentagrammi per documentare diteggiatura, accordi, progressioni». Un’esperienza nuova: i Sonic Youth hanno sempre sviluppato e imparato i pezzi a orecchio. «Questa volta è stato un po’ come scrivere una storia in musica: entusiasmante. Amo la letteratura, i saggi, la poesia, e scorgo un parallelismo tra la scrittura di Spirit Counsel e quel mondo. Mi sono reso conto di quanto il songwriting sia stato nel tempo sempre più condizionato dal fatto che le canzoni, per essere trasmesse dalle radio o suonate in tv, devono essere lunghe tre-quattro minuti, regola che di certo non esisteva prima dell’avvento di quei mezzi di comunicazione e che ha più a che vedere con dei criteri economici che con il fare musica in sé. È un po’ come quando, durante la Seconda guerra mondiale, la necessità di risparmiare condusse alla dissoluzione di molte grandi orchestre jazz e all’avvento di quartetti e quintetti. C’è sempre il denaro dietro a tutto e io adesso ho voglia solo di fare la musica che mi viene, senza restrizioni».

Il secondo disco di Spirit Counsel, 8 Spring Street, racchiude nel titolo l’indirizzo dove viveva il suo mentore Glenn Branca ai tempi in cui Moore lo incontrò nella Grande Mela. Il terzo è Galaxies, sinfonia per dodici chitarre a dodici corde presentata per la prima volta nell’aprile 2018 al Barbican Center di Londra. Dal vivo i due brani si traducono in un potente muro sonoro. «In questo tour voglio che ogni locale che ci ospita suoni come una cattedrale, è questo che chiedo ai fonici, non voglio un sound da rock band tipica», dice Moore. A ispirargli Galaxies sono state la «filosofia cosmica» di Sun Ra e una riflessione sul nostro posto nell’universo, ma ancora una volta nessun dogmatismo: quando s’interessa a questa o altre filosofie, tra cui il buddismo, l’ex Sonic Youth sembra più che altro voler cogliere frammenti di mondi intrisi di spiritualità che sente affini. «Conferisco alla musica e alle discipline artistiche un valore meditativo», dichiara. «Questo non significa che io mediti nel modo tradizionale: non mi siedo su un cuscino a gambe incrociate e mi metto a meditare. Significa che stare in una stanza da solo e suonare la chitarra rappresenta per me un’attività vicina alla meditazione ed è in quella dimensione che ho voglia di stare in questa fase della mia esistenza».

Nemmeno la chitarra è un totem: «Non sono uno di quei nerd che vanno di continuo nei negozi di strumenti musicali, quello lo fanno gli altri della band. Stanno lì a osservare le chitarre, le toccano… Non li giudico, anzi, capisco cosa li spinge, ma lo trovo noioso. Finché ho una chitarra che funziona perché dovrei andare a vederne un’altra? Preferisco girare per librerie e negozi di dischi usati». Viene da domandarsi come ci si senta a continuare a fare rock – genere perlopiù associato alla rabbia e alle inquietudini giovanili – dopo una certa età. «Il rock’n’roll non ha niente a che vedere con l’età», ribatte Moore. «Se penso che il rock’n’roll più radicale di oggi lo fa Iggy Pop, uno dei più anziani rocker viventi… Per me lui è il re. Senza contare Yoko Ono, Patti Smith, Neil Young… No, il rock’n’roll non è musica per giovani, è musica per tutti, universale. Forse da un po’ sta diventando la musica classica del presente, ma questo è un altro discorso. Di certo ha molto a che fare con l’integrità». Se poi tra dieci anni lo troveremo ancora sui palchi a torturare chitarre non lo sa nemmeno lui: «Mi vedrei di più in uno chalet circondato da alberi, cani, gatti, galline, con una piccola libreria. Ma chi lo sa, magari ogni tanto qualche concerto lo farò ancora».

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