Tom Morello era certo di passare il 2020 sui palchi di palasport, stadi e festival coi Rage Against the Machine. La prima data del loro attesissimo reunion tour era fissata per il 26 marzo a El Paso, Texas. Pochi giorni prima, la pandemia ha bloccato l’industria globale dei concerti.
Il coronavirus non ha solo liberato Morello da ogni impegno fino a data da destinarsi, l’ha bloccato a casa senza alcun progetto creativo a cui dedicarsi. «Per sei mesi non ho preso in mano la chitarra», racconta a Rolling Stone. «Per la prima volta ero senza ispirazione. Quel che è peggio è che ho uno studio casalingo, ma non sapevo come farlo funzionare. Di solito se ne occupa un fonico».
L’ispirazione per tornare a creare è arrivata da una fonte insospettabile. «Ho letto una dichiarazione di Kanye West. Diceva che aveva registrato le voci di alcune sue hit sulle memo dell’iPhone. Ho pensato: ma davvero si può fare? Ho iniziato a suonare registrandomi col telefono. Mandavo i riff a vari produttori, fonici e artisti di tutto il mondo. È così che sono ripartito».
Il nuovo approccio ha generato l’album solista The Atlas Underground Fire (in uscita il 15 ottobre), che contiene collaborazioni con Bruce Springsteen, Eddie Vedder, Bring Me the Horizon, Chris Stapleton, Damian Marley, Mike Posner e altri. Tutti hanno registrato le loro parti in remoto, con Morello che ha aggiunto la chitarra con la “tecnica” di Kanye West.
In questa intervista Morello ci ha parlato della genesi dell’album, della sua vita durante il lockdown, del perché esita a farsi vedere in pubblico e del ritiro di David Lee Roth. Abbiamo anche cercato di tirargli fuori qualcosa sul tour dei Rage Against the Machine, ma come sempre ha preferito non esporsi.
Fermarti per il lockdown non dev’essere stato facile considerando i programma che avevi per il 2020…
Da quando avevo 17 anni fino a marzo 2020 ho scritto, registrato o fatto concerti a un ritmo maniacale. Poi col lockdown si è fermato tutto. È stato un periodo di ansia e depressione. Cercavamo di proteggere le nostre nonne. Mia madre ha 97 anni, mia suocera 90. Non usciva o entrava nessuno. Vedevo un futuro triste e senza musica, poi ho letto la dichiarazione di Kanye sulle memo vocali ed è cambiato tutto.
Registrare in quel modo non peggiora la qualità del suono della chitarra?
Credo che il mio suono sia peggiorato costantemente nel corso degli anni, era il mio obiettivo (ride). Preferisco un suono degradato. Nel disco, il 95% delle chitarre sono state registrate con il telefono. Mi sono accreditato come fonico, visto che ho premuto il tasto rosso per far partire la registrazione.
Detto questo, ho iniziato a far girare le mie idee. Non pensavo di fare un disco. Era un mezzo di salvataggio. Scrivevo per arrivare al giorno dopo. Era un modo per uscire dalla solitudine della pandemia.
Ho inviato qualche traccia a Bloody Beetroots e a Jon Levine, più altri amici produttori. Mandavo i riff e loro rispondevano con qualche traccia. È così che ho capito che esisteva un modo per continuare a fare il musicista in quel periodo. Insomma, questo progetto non è nato pensando di fare un disco, ma come un antidepressivo. Era un’oasi, il mio modo per ricordare che oltre a essere un badante, un insegnante e un idraulico, ero anche un musicista, un artista e un chitarrista.
Raccontami la tua giornata tipo durante la lavorazione del disco.
Le giornate erano tutte uguali. Ero nel pieno dell’isolamento, ma stavo sviluppando una comunità di “amici di penna” rock’n’roll, erano la mia boccata d’aria fresca, l’inaspettato che arricchiva ogni giornata.
L’album si apre con Harlem Hellfighter, l’unico pezzo dove non compaiono collaboratori.
Nel disco ci sono tre tipi di canzoni. Il primo è più classico, canzoni di giustizia sociale e protesta come The Achilles List con Damian Marley e Hold the Line con Grandson. Poi ci sono i pezzi che riflettono la disperazione di quel periodo, come The War Inside con Chris Stapleton, Driving to Texas con i Phantogram e Let’s Get the Party Started con i Bring Me the Horizon.
Ma la cosa più importante è che volevo aprire e chiudere il disco con brani strumentali, era il mio modo per dire che la chitarra elettrica non ha solo un passato. Ha un futuro. Volevo superare i miei limiti. Volevo suonare la chitarra elettrica e dire: questa è una cosa nuova, su un altro livello. Ho superato quel che ho fatto in passato. Harlem Helfighter, On the Shore of Eternity e Charmed I’m Sure fanno parte di questa categoria.
Il secondo pezzo è Highway to Hell, con Bruce Springsteen e Eddie Vedder. Ricordo che nel 2014 l’avevi suonata insieme a tutti e due a Melbourne, in Australia, quando eri nella E Street Band.
Sì, è nata così. Highway to Hell è l’ultimo pezzo che ho registrato. In un disco pieno di giovani brillanti come i Bring Me the Horizon, Grandson e i Phantogram, volevo un pezzo insieme ai miei fratelli del rock. Così mi sono messo a pensare a quello stadio a Melbourne. Come diceva Hemingway, stavamo vivendo fino in fondo.
Era un momento di incredibile eccitazione tribale, una forza pura e liberatoria. Due dei più grandi cantanti di tutti i tempi cantavano uno dei pezzi rock più forti di sempre mentre 80mila persone andavano completamente fuori di testa. Pensavo a quelle cose, nell’isolamento assoluto del mio studio, e mi sono detto: dobbiamo ricordarlo. Vi ricordate com’era? Cerchiamo di replicarlo.
Con il pezzo insieme ai Bring Me the Horizon, invece, dagli anni ’70 arrivi fino al presente.
Assolutamente. Zakk Cervini ha prodotto entrambe le canzoni. Non è un caso che siano in quella posizione in scaletta. I Bring Me the Horizon portano avanti la tradizione del rock/metal di questa epoca, e come me sono convinti che la chitarra elettrica non sia uno strumento morto.
Sono straconvinto che sia lo strumento migliore mai inventato dall’uomo. Nient’altro può essere sottile e allo stesso tempo così potente da far venire giù uno stadio. Nel disco volevo esplorare entrambi gli aspetti. Il pezzo con i Bring Me the Horizon ha a che fare con il lato potente, da stadio.
I Phantogram sono in Driving to Texas. Adoro che siano in grado di lavorare sia con Miley Cyrus che con te…
Assolutamente. La genesi di quel pezzo è interessante. Loro avevano collaborato a un pezzo del primo The Atlas Underground. Mi hanno contattato per capire se volessi suonare la chitarra in un loro pezzo. Ho detto di sì, non avevo impegni. Mi hanno girato una bozza del brano. Invece di iniziare con un riff, l’ho trattata come una tavolozza di colori da cui attingere. Ho inviato dozzine di feedback, rumori di chitarra e altro per far capire tutte le possibilità sonore che c’erano, per usare il loro genio produttivo e dar vita a quel pezzo così inquietante.
L’assolo è uno dei miei preferiti. A volte quando suono mi immagino in una situazione particolare, quella volta ero un’anima torturata che scivola in un abisso. L’assolo di chitarra era l’angelo che poteva salvare il protagonista o gettarlo di sotto. Era l’ago della bilancia.
L’atmosfera cambia un’altra volta con The War Inside, il pezzo con Chris Stapleton.
L’ho incontrato al concerto tributo per Chris Cornell. È un gentiluomo. Abbiamo preso le chitarre acustiche per scrivere un pezzo, ma non ci siamo riusciti. Abbiamo parlato per un paio d’ore dello stress di tenere le famiglie al sicuro, di come fare per non impazzire. Quella conversazione è diventata la base per il testo di The War Inside. Chris è incredibilmente talentuoso e una persona splendida.
Raccontami la collaborazione con Damian Marley.
Ho suonato un paio di concerti con Damian e i suoi fratelli. Apprezzo molto i suoi testi, la sua prospettiva e la gravitas, mi piace come si schiera per i dimenticati e gli oppressi.
Da dove viene il titolo The Achilles List?
Dal film anni ’70 1999: conquista della Terra. È quello in cui le scimmie si ribellano e rovesciano il regime fascista degli umani. The Achilles List è la lista in possesso degli uomini con i nomi delle scimmie dotate delle capacità di colpirli al tallone d’Achille. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto stare su quella lista.
Dev’essere stato divertente inviare i file in giro per il mondo e aspettare di ascoltare quel che altri artisti avevano fatto. Immagino non sapessi che cosa aspettarti.
È così. Una roulette. Nel periodo in cui ogni giorno era uguale al precedente, mi trovavo i file nella casella. «Wow, che cosa mi avrò mandato oggi Damien Marley? E Bruce Springsteen?». In alcuni casi, ho messo assieme giusto qualche riff e mi sono subito fermato per chiedermi: con chi vorrei fare questa canzone? E allora chiamavo un amico con più buon gusto di me e gli chiedevo qual era il pezzo migliore che aveva sentito negli ultimi tempi e che io non conoscevo. È così che ho saputo dell’esistenza di Phem. Le ho poi mandato una e-mail: «Non so se mi conosci, sono Tom Morello, ti va di fare una jam assieme?».
Dimmi di Save Our Soul con Dennis Lyxzén dei Refused.
Sono sempre stato fan dei Refused. Dennis è uno che dice il vero, è un grande autore di testi, è un punk radicale di sinistra. È stato grande. Ho fatto tre o quattro pezzi, con Bloody Beetroots. La parte difficile è stata scegliere quali inserire nel disco. All’inizio Save Our Souls aveva un altro titolo e un diverso ritornello. Diceva “same old song”, ma io continuo a canticchiare “save our souls”. Per cui lui ha rifatto la parte vocale. Vedi? È questo lo spirito libero e meravigliosamente collaborativo del disco.
Lo strumentale On The Shore of Eternity è un bel modo per chiudere l’album.
È il modo in cui Saladino chiamava Gerusalemme. Quel pezzo l’ho fatto con la dj palestinese rivoluzionaria Sama’ Abdulhadi. Dico rivluzionaria perché lo è quando sei dj e donna in quei posti. Le ho mandato uno dei miei riffoni alla Black Sabbath/Blue Öyster Cult, ma lei non sapeva che fare. L’ho ringraziata per l’onestà e ho suggerito che fosse lei a mandarmi qualcosa fregandosene del mio stile. Mi ha mandato un pezzo di trance araba di otto minuti di durata. Wow, ora toccava a me capire che farne. Ho cercato di reagire musicalmente a quella musica ispirandomi a Coltrane, lasciandomi andare. Dopo tre passaggi gliel’ho rimandata in modo che ci mettesse il suo tocco da produttrice. È il giusto finale.
I puristi del rock vecchia scuola guardano dall’alto in basso drum machine e sintetizzatori, ma la verità è che sono strumenti potenti.
Amo i tradizionalisti del rock e della chitarra, ma non sono uno di loro (ride).
Non lo sei mai stato.
Mai. Un amico l’altro giorno mi chiama e fa: «Mi piace Get The Party Started. L’assolo riesce a esprimere come mi sono sentito nell’ultimo anno e messo: incasinato. Che dire? Missione compiuta.
I concerti stanno ripartendo. Pensi di portare il disco sui palchi?
Non c’è nulla di programmato. Aspetto il 2022 per andare in tour coi Rage Against the Machine. Ma ho fatto un tour per il primo Atlas Underground. In quel disco c’erano qualcosa come 20 collaboratori e nessuno è venuto in tour con me. L’ho fatto con Sean Evans, che è il direttore artistico dei concerti di Roger Waters. Non avevamo certo il suo budget e abbiamo messo assieme uno show che era un po’ rave illegale, un po’ installazione di Barbara Kruger, un po’ macello heavy metal.
Durante il lockdown ho fatto l’EP Catastrophists con Bloody Beetroots, e l’EP Comandante con Slash. Ho collaborato a un pezzo con Taylor Momsen e i Pretty Reckless. E con gli Struts. Ho inciso tanta musica. Il rapporto con l’altro è una parte fondamentale del processo creativo e lo è ancora di più durante periodo di solitudine come quello passato. Il punto è che non si tratta solo di creare, ma di condividere. Tornare a suonare è stato come sapere che ci sono le stelle oltre le nuvole. Condividere quest’idea è una parte essenziale del processo di registrazione del disco.
Pensi che questa esperienza cambierà il modo in cui lavori?
Di certo ora so che posso fare un disco ovunque, in ogni momento. Non ci sono più barriere. Mi piace registrare in modo tradizionale, voglio continuare a farlo. È bello incidere con una band, tutti nella stessa stanza. Ma ovunque io sia, bastano un telefono e una chitarra, o qualsiasi altro strumento, per fare un disco che spacca.
Non è ironico il fatto che tu sia stato influenzato da Kanye West? È un grande, ma politicamente la vedete in modo piuttosto diverso.
(Ride) Non lo nego, mi è stato d’ispirazione. Mi ha aiutato a superare la fase: oddio, ero un musicista e ora a causa della pandemia non lo sono più.
Immagino ti sia vaccinato.
Sì.
Vai a vedere concerti? Hai ripreso a mischiarti alla gente?
Non ancora. Due giorni fa mia madre ha compiuto 98 anni. Mia suocera ne ha 90. Vogliamo proteggerle. Sono andato a vedere il baseball, ma non mi sono ancora aperto al mondo. Devo proteggere i miei.
Il tour dei Rage partirà in marzo e si terrà in posti al chiuso. Intendi viaggiare in una sorta di bolla con la band?
(Ride) Non ci ho ancora pensato.
Non vedi l’ora partire?
Non vedo l’ora di suonare. Oramai sembra una cosa strana. Mai passato tanto tempo lontano dai palchi. Ho amici che sono in tour e ogni tanto chiedo com’è, come si sentono. Qualcuno mi dice che i tour partono, vanno avanti qualche giorno e poi devono fermarsi perché qualcuno s’è preso il Covid. In altri casi il fatto di liberarsi da questo grande carico d’ansia rende i concerti particolarmente eccitanti. Non vedo l’ira di farli anch’io. In quanto alla sicurezza, incrociamo le dita.
Immagino il livello di energia che ci sarà quanto i Rage saliranno sul palco per il primo concerto. Immagino lo scoppio di energia repressa.
Pazzesco, sì.
Puoi dirci qualcosa sul tour? Che cosa si possono aspettare i fan?
No, teniamocelo per un’intervista coi Rage.
Ok. So che sei un grande fan dei Van Halen. Hai sentito del ritiro di David Lee Roth?
Sì, ho letto. Fin da quando ero bambino ha portato gioia nella mia vita. Non posso che dirgli grazie. Già perdere Eddie Van Halen è stato triste. Ora Dave si ritira, è la fine di un’era. Dico grazie, davvero.
C’è in ballo anche il tour dell’addio dei Kiss. I tuoi idoli degli anni ’70 stanno mollando.
(Ride) È il tramonto di un’epoca. Ma siccome il tour dell’addio dei Kiss sta andando avanti da anni ormai, speso che possa proseguire un altro po’.
So che non vuoi parlare dei Rage, ma dev’essere bello vedere tanta gente comprare i biglietti anche se siete stati fermi un bel po’. Dimostra quanto siete importanti.
(Ride) Già. Gurada che mi piace parlare dei Rage, solo quando ci sono anche gli altri tre.
Giusto. E insomma, hai intenzione di imparare a usare il tuo studio?
(Ride) Ora non ne ho più bisogno. Posso tornare a produrre musica alla vecchia maniera, ma non ho paura di schiacciare il bottone rosso dei memo vocali, poggiare il telefono su una sedia e via.
Bene. Incrocio le dita, spero che il tour dei Rage si possa fare nel 2022.
Idem. Non vedo l’ora.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.