Tony Iommi è una di quelle figure mitologiche che vanno oltre il genere di musica che suonano. Fa parte del ristretto numero di musicisti in grado di creare un genere, un suono e una progenie che ancora non vede fine. Non è solo il chitarrista fondatore dei Black Sabbath: a differenza di Ritchie Blackmore, a lungo rivale dei contemporanei Deep Purple, per esempio, non è rimasto invischiato nel ruolo di riff master dell’hard & heavy, ma è stato capace di entrare in quell’olimpo di musicisti così iconici da travalicare gli schemi. Gente come Jimmy Page, Eric Clapton, Van Halen o Brian May.
Unico membro presente in ogni album dei Sabbath, Iommi è anche il curatore principale della serie di ristampe e remaster che da qualche anno vede protagonista la discografia della band e che ci ha dato l’occasione di discutere con lui degli album Heaven and Hell e Mob Rules, i primi due con Ronnie James Dio nel ruolo di frontman, il primo riedito in versione deluxe venerdì 4 novembre, il secondo il 18 novembre.
Riascoltando i due album, la sensazione è che il sodalizio con Dio potesse durare almeno quanto quello con Ozzy. Pensaste la stessa cosa al momento del suo ingresso nel gruppo?
Assolutamente sì e la storia, in qualche modo, ha dimostrato che quella poteva essere una collaborazione destinata a durare per sempre. Certo, nel mezzo ci sono stati diversi eventi che non ne hanno garantito la continuità, però il fatto che Ronnie abbia concluso la sua vita e la sua carriera con la formazione di Mob Rules vale più dei buoni propositi e delle parole di circostanza. Probabilmente avremmo ritrovato in ogni caso anche Ozzy sulla nostra strada, ma eravamo ormai in un momento delle nostre vite in cui le due cose potevano essere possibili.
Non sareste andati incontro a problemi alla Van Halen, dunque.
Non credo, ma purtroppo non ho le prove per dimostrarlo. Tuttavia so perfettamente cosa eravamo all’inizio degli anni ’80 o un decennio dopo e cosa eravamo nel nuovo millennio. Le questioni personali o di ego a 60 anni sono sintomo di problemi davvero grossi e l’avventura degli Heaven & Hell (di fatto i Black Sabbath con Dio alla voce, ma con problemi di copyright, nda) ha dimostrato a tutti che quella formazione non poteva chiudere i battenti ai tempi di Dehumanizer. Sono stati anni stupendi, che hanno chiuso un cerchio e rimesso a posto il karma.
Un po’ come il primo periodo alla fine degli anni ’70. Poi però le cose degenerarono in fretta. Lì ebbero più peso gli ego o le droghe?
Dividerei le responsabilità al 50%, anche se è innegabile che un ego di un certo tipo non può che ingigantirsi sotto l’effetto delle droghe. E purtroppo ai tempi le droghe contavano quanto la musica. Forse anche di più. Di fatto, i rapporti con Ozzy si erano in qualche modo frantumati allo stesso modo. Poi ci fu l’episodio dell’offerta della Warner a Ronnie per un disco solista che complicò tutto. Ma in una situazione diversa si sarebbe potuto affrontare tutto in modo differente.
Molti continuano a pensare a Mob Rules come a una sorta di Heaven and Hell parte seconda, ma credo sia ingeneroso. Se in effetti un paio di pezzi secondo Dio vennero scritti come ideali successori del disco precedente, il resto è storia a sé.
Questa storia del volume 2 mi perseguiterà per sempre. È normale che un album nato poco dopo il precedente ne subisca l’influenza, ma è come dire che i primi quattro album con Ozzy fossero tutti la stessa cosa. Che in parte lo erano, ma di fatto la band era quella e stavamo creando un linguaggio. La stessa cosa valeva per la formazione con Ronnie.
Due linguaggi allo stesso modo esoterici, ma l’arrivo di Dio rese il vostro songwriting più mistico che orrorifico. Sei d’accordo?
Sì, direi epico-mistico. Diciamo che la scrittura di Ozzy e di Geezer (Butler) viaggiava su territori diversi, non solo spaventosi, ma anche più introspettivi per certi versi. Ci avevano affibbiato questa nomea di band dai risvolti satanici, ma in realtà avevamo avuto davvero poco a che fare con quella roba. L’ispirazione di quel tipo veniva più dalla cinematografia che da quello in cui credevamo. Con Ronnie le cose presero una piega più fantasy se vogliamo, che era la cifra stilistica di Dio anche nei Rainbow e in seguito. Però sì, erano spesso testi profondamente mistici, con un immaginario di riferimento che comunque non si discostava nemmeno così tanto da quello precedente.
Cosa che invece sarebbe cambiata non poco dopo l’addio di Ronnie, con Ian Gillan e Born Again. Avete intenzione di rimettere mano anche quel disco ultra sottovalutato?
Sì, anche perché anche per me quello resta un disco incredibile. In effetti è forse il disco più cattivo che abbiamo mai pubblicato, lì sì che le tematiche erano davvero sulfuree. Purtroppo, come capitato spesso con la band, i tempi non erano maturi per quella collaborazione. Sia all’interno della band che per i fan. Però so che col tempo e il giusto distacco dato dalla decontestualizzazione, è un album molto amato anche dai fan. Abbiamo avuto un problema con i master originali, che sembravano essere andati persi, ma ora il problema sembra risolto. Quindi sì, il prossimo lavoro sarà su quel disco.
Tornando ai due album appena rimasterizzati, registraste parte di Mob Rules nella casa di John Lennon, quella di Imagine per intenderci. Eri un fan?
Mi piacevano i Beatles, anche se ero attratto da sonorità meno rassicuranti, soprattutto rispetto ai loro primi album. Diciamo che per Ozzy sarebbe stato un sogno (ride), però devo ammettere di essere rimasto comunque colpito appena entrato nella casa. Lennon era già morto, quindi era tutto carico di un’aura più sinistra. Però fu incredibile entrare e trovare quel pianoforte e rivivere quel video nella mia testa. Registrammo E5150 e gran parte di Mob Rules lì dentro. Un’altra ventata di misticismo.
Non credi che, per quanto opportuna il più delle volte, l’opera di rimasterizzazione di vecchi album sia diventata più importante che comporre nuova musica? Anche voi artisti vi sentite forse più invogliati a lavorare a vecchio materiale piuttosto che nuove canzoni che non venderebbero nulla?
Capisco quel che vuoi dire, ma sono d’accordo solo in parte. Ai fan questi dischi piacciono e molto spesso sono loro a richiedere operazioni di questo tipo. Perché non dovremmo farlo? Tutti noi abbiamo sempre fatto dischi per vendere, nessuno sarebbe stato felice di restare nell’anonimato, però amato dalla critica. Detto ciò, è vero: è triste pensare a musicisti della mia generazione che hanno passato decenni della loro vita solo a rimettere mano a vecchio materiale. Di certo io non sono tra questi.
Sì, però sono vent’anni che aspettiamo un secondo disco solista a tuo nome…
Vero. Però sai che ho fatto molto altro. E posso dirti che sto lavorando duramente al seguito di quell’album. Ho fatto queste cose nuove con Ozzy e ora sto lavorando solo al mio materiale, perché in effetti ho dedicato davvero poco tempo a cose che non riguardassero i Black Sabbath negli ultimi decenni. Credo che uscirà nel prossimo anno.
Hai sempre amato le collaborazioni, esattamente come il tuo amico Brian May. Da anni parlate di un lavoro in coppia. Dimmi anche in questo caso che lo state registrando.
(Ride) Ah Brian, che persona splendida, senza dubbio è il migliore amico su cui posso contare in questo mondo. Sì, ne abbiamo parlato molte volte, ma onestamente non so chi dei due sia più lento nel portare avanti dischi solisti. È una bella lotta. Non ci stiamo lavorando, ma fino a che saremo in vita continua a sperarci.