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Tracey Thorn ha scritto un libro per ribaltare la narrazione sessista sul rock

In 'La mia amica rock’n’roll' la cantante degli Everything but the Girl vendica Lindy Morrison, batterista dei Go-Betweens "dimenticata". «Noi donne veniamo cancellate, spinte ai margini, escluse dalla storia»

Foto: Patrick Ford/Redferns

Negli ultimi anni il dibattito sulla rappresentanza femminile in un settore ancora a predominanza maschile come quello della musica si è intensificato, e pazienza se le strategie proposte per superare il gender gap non sono sempre unanimi: c’è chi vorrebbe che case discografiche, promoter e organizzatori di festival ed eventi adottassero le cosiddette quote rosa in quanto passaggio obbligato verso una redistribuzione delle opportunità, per esempio, e chi ritiene che forzare le cose non possa indurre alcun cambiamento autentico, ma in tutto ciò è indiscutibilmente un bene che la questione sia affrontata, che se ne parli. Non solo tra donne, anzi.

In questo contesto, ad aggiungere un tassello in più al confronto pubblico sul tema – e il termine “confronto” indica un auspicio a dispetto di chiunque pensi che esacerbare il conflitto sia l’unica via – è il libro La mia amica rock’n’roll di Tracey Thorn, appena uscito in italiano per Jimenez Edizioni: un memoir atipico, in cui la cantante e songwriter degli Everything But The Girl, alle spalle la militanza in altre due band e cinque album da solista, da tempo scrittrice e columnist per il New Statesman (qui un articolo ripreso da Internazionale), ripercorre l’amicizia che negli anni ’80 e ’90 l’ha legata a Lindy Morrison, la batterista dei Go-Betweens, una delle realtà più interessanti del panorama indie rock degli ultimi decenni. Il tutto a partire non solo dall’ammirazione per quella collega musicista spuntata nella sua vita nel 1983 e, data la differenza di età (Thorn è del 1962, Morrison del 1951), assurta per lei a mentore, ma anche con un’ambizione ben precisa: ribaltare il modo in cui la storia dei Go-Betweens è stata narrata in più occasioni e in particolare nel libro Grant & I del 2016, in cui Robert Forster, frontman del gruppo australiano, descrive quest’ultimo come una creatura sua e di Grant McLennan (come si evince dal titolo), e nel documentario del 2017 The Go Betweens: Right Here, pubblicizzato con una locandina che recitava “Tre decenni. Due amici. Una band”.

Passo dopo passo i Go-Betweens sono stati riformulati come un duo, fa notare Thorn con disappunto, ricordando che la stessa Morrison e l’altra donna nella band, la polistrumentista Amanda Brown, erano state più volte costrette ad alzare la voce contro questo tipo di lettura, vedi quella volta in cui, nel ’91, in risposta alla recensione di una compilation della band su Rolling Stone UK che le relegava in un angolo rispetto alle vicende del gruppo, spedirono una lettera alla redazione: «Certo, lo sappiamo che i Go- Betweens erano la band di due uomini. Il nostro contributo (per un totale di 14 anni) era quello di partner sessuali di questo team e serviva solo a fornire del materiale per le canzoni». Reagirono così, perché era vero che erano state le fidanzate rispettivamente di Forster e McLennan, ma anche questi erano stati i loro fidanzati, eppure nessuno li aveva mai sminuiti per questo. Quindi? Il punto, secondo Thorn, è che i Go-Betweens non sono mai stati solo “due amici, una band”, semmai erano “due imbranati e una strega”, come recitava sarcasticamente il working title di Send Me a Lullaby, l’album d’esordio che nel 1981 li aveva portati all’attenzione della Rough Trade (la quale in seguito li scaricò a favore degli Smiths, ma questa è un’altra storia).

Con La mia amica rock’n’roll la voce degli Everything but the Girl parte, allora, dal rifiuto di uno storytelling culturale che troppo spesso ha ridotto le donne a comparse o muse passive e, con un’operazione simile a quella condotta dalla giornalista Vivien Goldman in La vendetta delle punk, tenta di ristabilire un equilibrio tra punto di vista maschile e punto di vista femminile tratteggiando un ritratto di Lindy Morrison che riconosca alla batterista di Brisbane il giusto talento e merito.

Abbiamo contattato l’autrice per chiederle di più a tal proposito e per parlare di come i diritti delle donne siano immancabilmente i primi a essere attaccati e talvolta persino a cadere quando in un Paese la democrazia è in crisi, vedi quanto accaduto negli Usa con la recente sentenza della Corte Suprema in tema di diritto all’aborto e quanto già avvenuto in Polonia nel 2020. Purtroppo non è andata come speravamo, la cantante e scrittrice britannica, nota anche per la collaborazione con i Massive Attack in Protection, ha preferito glissare su vari quesiti, alcuni, come quello sull’aborto, perché «troppo ampi», altri non sappiamo per quale motivo. Quindi, niente commenti diretti sul succitato libro Grant & I, tra le altre cose. In compenso, Thorn ci ha spiegato la genesi di La mia amica rock’n’roll: «L’ispirazione originale è stata la stessa Lindy, che nel 2018 scrisse un articolo per il Guardian in cui ripercorreva i suoi primi passi nella punk band femminista Zero, tra fughe dai poliziotti e quasi sommosse. Un gran pezzo, che mi ha spinta a ragionare su quanto la sua esistenza, così piena di storie di quel genere, potesse essere materia ideale per un libro. Non avendo interesse a scriverne uno lei stessa, le ho domandato se potevo farlo io e ha accettato. Dopodiché, nell’impostare il racconto, mi sono resa conto che il tutto poteva avere una risonanza più ampia se vi avessi incluso mie riflessioni sull’amicizia, sull’invecchiamento e sull’essere un’artista donna».

Il risultato è un omaggio a Lindy Morrison, figura eccentrica che per tutta la vita si è battuta con determinazione e una buona dose di irriverenza per essere semplicemente se stessa, per realizzare il suo sogno musicale, ma anche per dare il proprio contributo come attivista, lavorando in ambito sociale a più riprese, oltre che per diventare mamma dopo essersi convinta che fosse meglio non fare figli e a costo di ammettere di non essere la donna indipendente che pensava di essere, ma di avere bisogno di un uomo. In tutto ciò, con una prosa semplice e diretta, La mia amica rock’n’roll ha il merito di mostrare quanto sia dura per le donne perseguire i propri obiettivi senza dover continuamente mettere in discussione le aspettative della società rispetto al loro ruolo e senza tradire una parte di sé. E di evidenziare che non esistono super-eroine. «Il mio sospetto» scrive Thorn con innegabile onestà intellettuale «è che quando noi donne diventiamo amiche, lo facciamo perché abbiamo bisogno l’una dell’altra. Abbiamo bisogno di alleati. […] E abbiamo bisogno delle amiche per vederci riflesse e legittimate: per reagire in quei momenti che capitano a tutte in cui ci sembra di non esistere; quando cerchiamo noi stesse ma non riusciamo a trovarci; quando veniamo cancellate, spinte ai margini, escluse dalla storia; quando cominciamo a sentirci invisibili. In questi momenti, le nostre amiche sono inestimabili per noi. Sono il nostro riflesso e la nostra proiezione là fuori nel mondo; ci ricordano che siamo reali, che siamo presenti, che non siamo pazze».

Tali riflessioni s’innestano in un viaggio nell’universo punk/rock’n’roll così com’era a fine anni ’70-inizio ’80, a partire da quando Thorn era nelle Marine Girls e Morrison nelle succitate Zero, per arrivare a quando la seconda si ritrovò a dividere un appartamento a Londra con gli altri Go-Betweens e alcuni membri dei Birthday Party, tra cui Nick Cave. E qui s’inserisce una delle scene più significative del libro: il ricordo di una cena di Natale in cui, dopo avere cucinato e preparato tutto quel che c’era da preparare senza che nessuno si offrisse di aiutarla, Morrison si ritrova a tavola con degli zombie talmente fatti di eroina da non riuscire nemmeno ad aprire bocca. «Una rappresentazione molto chiara» osserva Thorn «di quanto facilmente persino i ragazzi con cui Lindy viveva potessero scivolare in un comportamento così convenzionale, lasciando che lei facesse le pulizie, che cucinasse, e approfittando della sua presenza, salvo poi criticarla per essere troppo conformista. E questo solo perché voleva una casa pulita e magari mangiare di tanto in tanto!».

Oggi siamo in un’altra epoca, tanto è cambiato e per fortuna in meglio, ma è pur vero che quando si discetta di uomini e donne si finisce di frequente per cadere in stereotipi di stampo patriarcale. E ci possono cascare tutti, maschi e femmine, Thorn dimostra di saperlo fin troppo bene. «È vero che su questo fronte abbiamo fatto tanti passi in avanti, ma le giovani donne devono ancora affrontare ostacoli simili ed è per questo che penso possa essere utile, per loro, conoscere storie di donne appartenenti ad altre generazioni come Lindy, perché quelle storie possono infondere coraggio e fiducia a chi le ascolta, possono aiutare le ragazze di oggi a comprendere che certi atteggiamenti sessisti esistono davvero, non sono frutto della loro immaginazione. Solo sapendo com’era la situazione un tempo, si possono compiere ulteriori progressi e apprezzarne il valore». E ancora: «Affinché la storia della musica possa avvicinarsi a una qualche completezza, tante storie devono essere ancora raccontate, storie di donne che hanno dato un contributo che nella memoria è stato minimizzato o che sono state del tutto dimenticate».

Con La mia amica rock’n’roll Thorn ha voluto, dunque, colmare almeno in parte questa lacuna, questa distorsione, recuperando il senso di un’amicizia che per lei è stata fondamentale. «Quando ho incontrato Lindy avevo solo 20 anni e lei 31. La differenza di età era grande, specie per quella fase dell’esistenza. Non ero ancora matura, stavo ancora cercando di capire cosa desideravo dalla vita e chi volevo essere. Lindy sembrava traboccare di fiducia ed energia. Era più rumorosa di me e più assertiva, e pensavo di poter imparare molto da lei su come interagire con il mondo, su come difendere me stessa. Così è stato: oltre a esserci divertite un sacco, mi ha fatto capire che il femminismo non era solo qualcosa di noioso, materia per saggi. Tutto il contrario: si trattava di vivere la vita fino in fondo e di non accettare limiti».

Servono modelli, è questo che si legge tra le righe di questa sua dichiarazione: più donne suoneranno, più ragazzine avranno voglia di suonare, che è poi quanto sostengono tante giovani esponenti dell’attuale scena musicale nel denunciare di sentirsi spesso non ritenute all’altezza a priori, per puro pregiudizio. Proprio come succedeva a Tracey Thorn e Lindy Morrison 40 anni fa: «Eravamo entrambe molto frustrate dalla scena musicale: eravamo state attratte da quel mondo perché sembrava un posto dove avremmo potuto essere completamente noi stesse, un luogo in cui sfuggire alle convenzioni e alle aspettative delle nostre famiglie e della società. Invece ci rendemmo presto conto che persino lì valevano certe regole da cui avevamo voluto scappare, per cui se un uomo era scortese, aggressivo, individualista e ribelle andava bene, ma se a essere così era una donna no, per una donna era troppo. Lindy ha dovuto affrontare questo tipo di atteggiamento di continuo, e se musicisti e giornalisti maschi erano terrorizzati da lei e fingevano di vederla come una minaccia, lei in realtà non stava che difendendo se stessa e il suo diritto di essere riconosciuta come parte di una band». Considerazioni che in La mia amica rock’n’roll s’intrecciano con suggestioni lasciate in eredità da grandi donne che per Thorn sono state fonte d’ispirazione, dalla compianta, splendida regista Agnès Varda alla poetessa Sylvia Plath alla scrittrice femminista Fay Weld. E che vanno a implementare quanto offerto da una bibliografia di memoir musicali scritti da donne sulle donne che si sta ampliando sempre più, spaziando da Girl in a Band di Kim Gordon al bellissimo Clothes, Clothes, Clothes. Music, Music, Music. Boys, Boys, Boys di Viv Albertine, la chitarrista degli Slits.

La speranza è che li leggano anche gli uomini, questi libri, perché in fondo si tratta di abbattere una narrazione che riduce a cliché tutti noi, così uguali e così diversi, e pure il mondo del rock’n’roll, afferma Thorn: «Come scrittrice mi sento piuttosto iconoclasta. Non a caso nel mio primo libro Bedsit Disco Queen ho voluto raccontare come ci si sente davvero a essere in una band. Non il mito, ma la realtà, il fatto che siamo tutti esseri umani che cercano di dare un senso alle proprie vite. Allo stesso modo, con il mio secondo libro Naked at the Albert Hall. The Inside Story of Singing ho voluto condividere il mio pensiero su cosa significa essere cantanti, al di là di ogni idealizzazione. Mi interessa decostruire miti e versioni idealizzate della storia: la verità è molto più sfumata, complessa e sorprendente».

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