Questa sera Ghemon fa uno show speciale. Speciale perché segna la fine di un tour (o quasi, mancano una manciata di date) e speciale perché celebra Milano, «il posto che chiamo casa». In realtà, è speciale anche per un altro motivo. Dall’uscita di Mezzanotte, doloroso disco post-un sacco di problemi (e per noi uno dei migliori dell’anno passato), Ghemon si è trasformato. Ha sconfitto un po’ di demoni, è visibilmente sorridente. Questa sera è anche una celebrazione di se stesso, alla fine dei conti.
Cosa c’è dietro questa idea. Sarà un concerto diverso…
Volevo fare un inchino a Milano prima di ritirarmi nelle mie stanze. Ho fatto una proposta provocatoria alla band e loro hanno detto di sì. C’era tanto materiale da preparare per questa data, è stato un bel viaggio.
Hai scritto un racconto, quindi?
Non posso spoilerare troppo, comunque sì. È una specie di racconto teatrale, di spettacolo in atti.
Con questo tour sei stato in giro davvero tanto. Che sensazioni ti ha dato?
A bocce ferme, positiva. Non parlo di numeri, parlo proprio dell’energia che ho sentito ogni volta. Questo disco ha rilasciato tutto sulla lunga distanza e, sinceramente, soprattutto dal vivo. Ci sono state tantissime spillette… Tanta gente che veniva a dirmi che si sentiva rappresentata da quello che facevo, che diceva “ho visto il concerto e adesso voglio andare a riascoltare il disco”, hanno cambiato idea.
Hai ricevuto tanto amore?
Sì, da quelli che c’erano. Non è un appunto casuale, non sto qui a dirti che ho avuto un plebiscito di pubblico che ho fatto platino con tutti i singoli, ma la densità di affetto rispetto alle persone presenti è stata molto alta, quella sì. Non erano lì per caso, sapevano cosa volevano ascoltare. E li ringrazio per questo. Quasi lo preferisco.
Meglio la qualità della quantità?
Sì, con i numeri a volte una cosa vale l’altra, oggi ascolti questo, domani quello. Non ti soffermi su una carriera, su una persona: mi fa piacere che sia così.
A te è servito?
In generale, la ripetizione dei pezzi, anche se sono super personali, fa perdere un po’ i confini, si alleggeriscono nei limiti del possibile. Sono riuscito a fare ordine anche io.
Hai detto che ti rinchiuderai a scrivere…
Sì, mi metto sicuramente a lavorare al disco nuovo. È una specie di cerchio magico che si è aperto dopo i momenti brutti. Ho imparato a fare dei disegni e adesso voglio continuare a farlo. È un processo creativo che non si è interrotto, per fortuna, e voglio continuare così.
Si sente che sei in un nuovo momento, Criminale emozionale, il nuovo singolo, è diverso, sembra più felice.
Avevo voglia di fare musica nuova e l’umore nei confronti di quello che voglio fare è sicuramente migliorato. Il pezzo è comunque mio, con un mio punto di vista. C’è sempre un appunto. Diciamo che sarà difficile che mi metta a fare “droga droga droga” (imita Young Signorino ridendo, ndr).
Non so perché ma lo sospettavo.
Sono fan, ma non fautore. Mettiamola così.