Si chiama Ultimo, ma da qualche tempo arriva spesso primo. Come lo scorso anno, campione fra i giovani del Festival di Sanremo. E come Niccolò Moriconi, 23 anni, rischia di fare anche questa volta con la sua I tuoi particolari.
Sei dato per favorito. Ti piace?
Direi di no. Quando le aspettative sono così alte, qualsiasi cosa rischia di non essere all’altezza.
L’anno scorso hai vinto Sanremo Giovani. Da lì tanti successi, tra i palazzetti pieni e il doppio platino di Peter Pan: perché hai scelto di rimetterti in gioco subito?
Perché secondo me era questo l’anno giusto per tornare a Sanremo. Non è mai sbagliato mettersi in gioco, e poi tutto questo successo è arrivato in poco tempo: è passato solo un anno dalla mia vittoria nella categoria Giovani.
Come vivi il successo accelerato?
Cerco di rimanere attaccato alla mia vita di sempre. E quando faccio una cosa lavorativa, penso già a quando sarò poi a cena con un amico. Anche da bambino avevo questa modalità: se facevo qualcosa che mi metteva pressione, per farla con maggiore piacere pensavo a quando sarei tornato nella mia comfort zone.
Sul palco sei in una zona di comfort?
Sì, ma quello di Sanremo è diverso. Sul palco di un concerto può succedere di tutto, anzi è bello che sia così: mi piace se l’artista sbaglia. Ma al Festival no: lì sbagli anche se non lo fai.
Tu arrivi dal Conservatorio di Santa Cecilia. Come si passa dall’accademia a Sanremo?
Ho sempre pensato al pop. C’è stato un anno nel quale ho ascoltato moltissimo rap italiano, che mi ha trasportato da una parte all’altra. Alla fine ho trovato un posto tra il classico e il suo opposto: lì in mezzo ci sono io.
Il 4 luglio farai l’Olimpico. Di solito lo stadio è un traguardo, ma per te arriva molto precocemente: non hai paura?
No, sento certamente la velocità con la quale l’ho conquistato. Però io noto che si tende sempre a trovare il pelo nell’uovo in ogni percorso artistico. E penso che se tutti facessimo l’errore di fare il passo più lungo della gamba, il mondo sarebbe migliore”.
Da Tommaso Paradiso a Carl Brave, fino ad arrivare a te: è di nuovo il momento del cantautorato romano?
Perché Roma ispira. Siamo tutti un po’ sconsolati per natura e ci lamentiamo. Il lamento è un logorarsi dentro e questo per chi è più sensibile porta a scoprirsi. Così, cominci a scrivere o a raccontare di te stesso. A Roma si fa arte anche nei bar: basta ascoltare i dialoghi fra le persone.
Quindi pensi che un po’ di disagio interiore sia una condizione necessaria alla creazione?
Non necessaria, ma certamente può servire. Anche se la storia dell’artista che soffre sempre e comunque è un po’ una leggenda, una posa estetica.
Molti vedono in te il nuovo Tiziano Ferro. Un paragone pesante da sostenere.
Il paragone arriva semplicemente dal fatto che aumentiamo i baritoni e abbiamo un tono caldo. Le nostre canzoni sono molto diverse. E comunque non mi pesa.
Il tuo podio ideale?
Be’, al primo posto ci metto me stesso. Poi, Silvestri e Cristicchi.
Cosa fai se vinci?
Bevo moltissimo. E poi vorrei dormire per un giorno intero.