Vergo è entrato nella musica italiana come una bomba. Con il suo vero reggaeton romantico, in italiano, ha fatto stragi di cuori e sentimenti. Nonostante la pandemia e l’annus horribilis della musica, Giuseppe, in arte Vergo, ha avuto un 2020 da favola: entra a far parte del roster della nascente FLUIDOSTUDIO, pubblica il suo primo singolo reggaeton, L’animo nero e partecipa con ampio successo a X Factor. Ai provini del programma, il ragazzo si presenta nudo e puro, senza timori, in total outfit blu elettrico firmato Marios, busto marmoreo in trasparenza, autotune. La sua performance e la sua presenza scenica conquistano i giudici: Mika sceglie di portarselo nel suo team cullandoselo fino all’eliminazione della quarta puntata. Ora, a qualche mese dalla fine del programma, Vergo è tornato a casa, nella Milano della sua FLUIDOSTUDIO, dove ha pubblicato il suo primo singolo post X Factor, Altrove. Lo abbiamo intervistato per l’uscita del videoclip, oggi in anteprima qui su Rolling Stone.
Vorremmo cominciare questa chiacchierata capendo quando e come Giuseppe è diventato Vergo. Ci racconti come inizia il tuo percorso?
Prima di Vergo facevo parte di un duo electro-rock. Quando arrivai a Milano (sono cresciuto in Sicilia), rimasi affascinato dalla trap e per un certo periodo mi allenai a scrivere sui type beat. Sentivo però il bisogno di trovare dei collaboratori che credessero in questo progetto quanto me e nel 2019 ho conosciuto Stefano Protopapa di FLUIDOSTUDIO. In quel periodo avevo iniziato a scrivere brani reggaeton e così abbiamo pubblicato L’animo nero, il primo singolo di questo percorso.
Il reggeaton è un genere particolare. Nonostante sia uno dei più ascoltati al mondo, viene spesso bistrattato – senza cognizione di causa – come genere di seconda fascia. Tu come sei arrivato al reggeaton? È raro che qualcuno, in Italia, lo faccia con così tanta cura e credibilità.
Sentivo il bisogno di essere circondato, nella quotidianità, da una musica che mi permettesse di affrontare cose interne della mia vita in una chiave positiva. Questo è ciò che mi trasmette il reggaeton: poter parlare di certe tematiche mentre la musica ti coinvolge e ti avvolge. È come trovarsi di fronte ad un buffet emozionale in cui pian piano ti accorgi che tutto ciò che assaggi ti piace. Ho capito che se fare un certo tipo di musica mi fa star bene, allora questo sentimento può arrivare anche agli altri, anche se non è il loro genere. È quello che è successo a X Factor con Bomba, in cui molti mi scrivevano, «anche se non è il mio genere, mi prende».
Tra l’altro tu ti riferisci al tuo genere chiamandolo reggeaton romantico. Come nasce questa definizione?
È un inside joke con il mio produttore, ilromantico. Romantico delinea molte sfumature: contiene tutto lo spettro dell’amore, che per me significa molta malinconia e sofferenza quanta tanta passione e intimità. Per quanto all’ascolto possa sembrare semplice, non è mai facile parlare d’amore nelle canzoni.
Ora che sono passati alcuni mesi, a mente fredda, cosa ti è rimasto di X Factor? Come valuti la tua esperienza nel programma?
Sono forse uno dei pochi che la ritiene super positiva. Su di me ha avuto un bell’impatto perché mi ha permesso di crescere e maturare certi lati che – per tutta una serie di cose – non avevo ancora affrontato. È stato come vivere nella Stanza dello Spirito e del Tempo (riferimento a Dragon Ball, ndr.) in cui in un breve periodo sono stato messo di fronte a situazioni che ho dovuto superare in fretta; è stata un’esperienza formativa. Mi ha poi fatto conoscere ad un grande pubblico e ha permesso di far conoscere i messaggi che voglio portare nei miei brani. È stato un enorme esperimento che mi ha fatto comprendere l’impatto di un ragazzo che propone reggeaton in italiano, con declinazioni sicule, un po’ queer, nella scena musicale italiana. E il feedback è stato positivo.
X Factor è una spettacolare centrifuga forsennata: ma da artisti come si sopravvive alla fine X Factor?
Già quando ero dentro al programma mi ripetevo che era necessario essere consapevole che X Factor fosse qualcosa di unico, ma con una fine. Un qualcosa a sé. La carriera vera parte subito dopo. Quando son uscito mi son messo al lavoro, in maniera propositiva, perché la sfida è ora.
E così arriva Altrove, il tuo primo singolo dopo X Factor. Ce lo racconti?
Altrove è nato tra la grandine di dicembre nella solitudine della zona rossa. È un brano dalla forte vena romantica e parla della situazione tra due ragazzi, due amici. Una notte vanno in un club e, tra un drink e altro, capita che uno dei due capisce di provare qualcosa per l’amico, un sentimento nuovo, forse tenuto nascosto. Quando il ragazzo realizza questo sentimento, viene invaso da quella paura di esporsi e di cogliere quel sentimento come un’opportunità per vivere qualcosa di bello. Il brano così prosegue e si scopre che anche l’altro amico ha un interesse e così nasce questo momento di scoperta in cui si va Altrove: è il momento del loro primo approccio. Questa è l’immagine descritta nel ritornello, dove con le mani si va altrove fin quando si raggiunge il culmine, se lo sfiori si muove, l’amore. Il significato è che basta pochissimo per far nascere un sentimento forte. Nel brano poi c’è una vena maliziosa, ma perché a me piace molto giocare su queste ambiguità. Altrove invita chi ascolta a lasciarsi andare, a non fermarsi davanti alle paranoie, a vivere senza chiedersi se il risultato sarà positivo o meno.
Oggi esce anche il video. Cosa avete pensato per questo clip?
Il video, diretto da Marco Gradara, segue il racconto del brano portandolo in una più ampia idea di fluidità. Nel video è messa in scena la dinamica sensuale che sta alla base della canzone, questa opportunità che puoi cogliere ma che non sai dove ti porterà. Il video è costruito attorno a questo, come in un vortice. È un invito a smettere di pensare alle classificazioni di ogni sorta. Mi piacerebbe che quando si conosce qualcuno, si potesse farlo andando al di là di ogni classificazione.
Il video di Altrove, in anteprima:
Parlando di questa fluidità, come pensi sia rappresentata all’interno dell’industria musicale italiana?
La la scena musicale italiana si sta muovendo per essere più inclusiva, più aperta e più disponibile verso le tematiche arcobaleno, lo posso notare sulla mia pelle. Non ci sono però ancora molti artisti che si espongono, ma questo non lo possiamo recriminare o pretendere perché ognuno deve decidere da sé come vivere la propria vita e la propria musica. Io sento di voler condividere determinate tematiche perché ho vissuto un’infanzia e un’adolescenza dove c’era un forte paradosso nella scena musicale in cui artisti esteri legati a tematiche LGBTQ+ venivano venerati mentre in Italia, come artista di riferimento, non c’era praticamente nessuno.
E come hai vissuto questa mancanza di rappresentazione?
Non aver avuto artisti italiani che affrontavano certe tematiche mi ha penalizzato. Avrei voluto artisti in grado di farmi capire che non ero solo. Da ascoltatore e da ragazzo questa mancanza di rappresentazione mi ha sfavorito ed è questa una delle motivazioni per cui voglio condividere quello che scrivo, quello che provo e quello che ho vissuto. E se questo riesce a dare conforto o a far star bene una persona, è un grande risultato. Non parlo di certi argomenti perché voglio esserne paladino, ma perché vorrei un mondo dove essere semplicemente uno dei tanti che parla tranquillamente di queste tematiche che fanno parte della quotidianità di tutti noi.