Sin da piccina è stata una nomade della musica, girando il mondo con i suoi genitori, entrambi strumentisti classici. Nata in Moldovia, ma cresciuta a Napoli che reputa la sua città, Patricia Manfield, in arte Heir, ha studiato tra Milano e Londra, dove infine si è trasferita. Quando la raggiungiamo per l’intervista è però a Los Angeles, a studiare recitazione, confermandoci da subito la sua caratteristica più evidente: non porsi nessun tipo di limite.
La carriera nella moda di Patricia inizia per caso quando, prendendo l’invito di un amico, si presenta ad una sfilata e i fotografi le si gettano addosso per immortalarla. Così, in pochissimo tempo, diventa un punto di riferimento per le case di alta moda, costruendosi un’importante seguito. Nel 2018, però, decide di tornare al suo primo grande amore, la musica, cominciano a pubblicare a nome Heir con cui, nel 2020, rilascia il suo primo EP, Daddy Issues. Da poco è invece uscito il suo ultimo singolo, Vertigo, il cui video è girato nella sua Napoli in collaborazione con K-Way, un brand che ha segnato la sua adolescenza e il suo primo rapporto con la moda.
Quando la chiamiamo a Los Angeles splende il sole e dalla videocamera del suo telefono vediamo spuntare la celebre scritta Hollywood che, da buona napoletana scaramantica, ci dice porti bene. Noi glielo auguriamo.
Hai una splendida carriera nella moda e quindi mi viene da chiederti cosa ti abbia spinto a lanciarti nella musica. Quando e perché hai iniziato a scrivere musica?
Ho iniziato da piccolissima. I miei genitori sono musicisti classici quindi sono cresciuta in un ambiente fatto di strumenti e melodie 24 ore su 24. Forse però per un periodo ho dato per scontato qualsiasi mio talento musicale perché i miei genitori mi avevano sconsigliato quest’industria. Poi con una tastierina ho iniziato a fare cover, mash-up, e così ho preso un po’ di confidenza e ho pensato «perché non provarci?». La scrittura è sempre stata parte di me, è sempre stato lo storytelling che mi è appartenuto di più; nella musica ho meno paura di esprimere me stessa.
La tua musica è sicuramente pop, ma al suo interno trapela una certa oscurità personale.
È vero, c’è ha una certa oscurità, infatti alcuni definiscono il mio suono dark alt-pop. Nella mia musica nascondo tutto ciò che non riesco a dire ad alta voce. Siamo tutti molto complessi e nella musica, più che nella vita, mi sento di accettare di essere piena di difetti. È un processo terapeutico che mi insegna – e mi confonde – tanto.
La tua carriera è iniziata nel 2018, ma finora hai pubblicato un solo EP. Immagino che questo tempo sia stato importante per capire quale fosse il tuo percorso e il tuo suono. Cosa hai imparato in questi anni, dal tuo primo EP ad oggi?
A non aver timore di creare musica per sé stessi. Si tende spesso a voler rendere felici tutti, a voler essere capiti da tutti, a piacere a tutti, ma io non ho mai fatto musica per le classifiche.
Non tutte le artiste e gli artisti possono iniziare una carriera musicale con una fanbase già pronta a cui comunicare. Pensi sia stato un vantaggio?
Sono infinitamente grata a chi mi supporta sin dall’inizio e sapere di aver delle persone che amano una mia canzone è molto surreale. Amo avere un rapporto diretto con il mio pubblico, ma in generale devo ammettere che avere una audience ha creato mille ansie, a partire dalla percezione, dalla consapevolezza che non tutta la mia fanbase del tempo si sarebbe convertita in una fanbase musicale. Le persone hanno quest’idea per cui avere una piattaforma con un pubblico possa farti fare tutto ciò che vuoi, ma non si rendono conto che è il pubblico a governare il gioco. I gusti musicali, inoltre, sono molto soggettivi.
Che rapporto hai con la tua fanbase? Senti una responsabilità nel comunicare a così tante persone?
Sento una grossissima responsabilità, ma su certe cose devo dire che ho perso una pò di spontaneità perché ho sempre paura di dire la cosa sbagliata; penso che oggi sia un’ansia comune tra le persone sui social. Ora sto tornando a connettermi più spesso con la mia fanbase e sto aprendo un canale Twitch per poter fare almeno un live a settimana; è una sfida che mi sono imposta in quanto ho avuto un rapporto molto complicato con i social media nell’ultimo anno.
Come riesci a gestire tutte queste tue differenti attività creative? Ti capita mai di sentirti come se non stessi dedicando il giusto tempo alla moda o alla musica?
Sì sempre. Non sento mai di fare abbastanza. Per mia fortuna ho un team con cui riesco a comunicare, come il mio braccio destro, Renata Di Pace, che da anni comprende i miei bisogni a livello creativo. Lei sa ascoltarmi e capirmi. Sono sempre stata estremamente business minded, quindi mi verrà sempre naturale voler essere coinvolta in prima persona in ogni lato della mia carriera. Però ora ho capito che ogni tanto devo fermare tutto e fare solo l’artista, è qualcosa che ha bisogno del suo tempo.
Arrivando dalla moda, credi che ci sia stata diffidenza quando hai iniziato a far musica?
È incredibile quanto sia stata difficile la transizione dalla moda alla musica. Sono due industrie che vanno a braccetto, ma in entrambe devi costruirti una credibilità e un’identità. Ho dovuto dire tanti no nella moda per riuscire a fare degli step fondamentali nella musica. C’è stata tanta diffidenza, non voglio mentire. Però penso che mi abbia fatto bene, mi ha fatta lavorare molto di più, mi ha resa ancora più affamata.
Cosa riesci a portare, nella musica, del mondo della moda, e viceversa?
Penso che siano due mondi che viaggiano in parallelo, hanno entrambi la missione di farti sentire qualcosa o parte di qualcosa. L’industria della moda mi dà la possibilità di integrare creatività nei visual (non riesco a scrivere senza immaginare un visual) e di esprimere chi sono come artista. Moda e musica sono complementari, due pezzi dello stesso puzzle.
Parliamo del tuo ultimo singolo, Vertigo. Hai dichiarato che scrivere questa canzone è stato come fare meditazione in un videogame. Ci spieghi questa definizione?
Da bambina giocavo molto ai videogame e durante il lockdown ho riscoperto questo passatempo; mi aiuta a evadere. Trovo la tecnologia e il progresso dei videogiochi estremamente interessante. Vertigo l’ho scritta in un momento molto fragile della mia vita, è una canzone meditativa. Speak for Yourself di Imogen Heap è stata una grande ispirazione. In quel periodo soffrivo di attacchi di panico e paralisi nel sonno, e in momenti del genere non riesci fino in fondo a capire cosa sia reale. Avevo bisogno di scrivere qualcosa che mi calmasse. Il produttore del pezzo, Duncan Boyce, ha inserito un jingle di videogioco negli arrangiamenti e meditazione in un videogame mi è sembrata la giusta metafora per raccontare la voglia di riprendermi e ripartire senza guardare indietro.
Il video di Vertigo è stato girato nella tua Napoli. Come è nata l’idea di portare in tuo progetto, che a velleità internazionali, a Napoli?
Sono cresciuta a Napoli che per me rimane la città più bella del mondo, piena di talento. Avevo quindi voglia di comunicarla nel modo giusto e di integrarla nella mia artisticità. Il nuovo video è stato girato da Salvatore Rocco alla Stazione Toledo, sotto il cielo stellato di Oscar Tusquets Blanca, un’istallazione artistica a tutti gli effetti. Sai, quando sono arrivata a Napoli ero piccola e non spiccicavo una parola di italiano, ma la città mi accolto a braccia aperte. Ora volevo dare indietro qualcosa ad una città che mi ha dato così tanto.
Ci racconti come è nata la collaborazione con K-Way per il video di Vertigo. Cosa significa per te e come si inserisce nel tuo percorso?
K-Way è un brand che mi ha accompagnata nella mia crescita, è stato uno dei miei primi grandi amori da adolescente. Tra noi è nata una collaborazione naturale, considerando che era qualcosa che desideravo da tempo. È un’azienda con una storicità importante, un design incredibile e, soprattutto, punta tanto sui giovani e sui creativi, cosa molto rara e dal valore inestimabile. Il team inoltre è diventata una famiglia, spero riusciremo a fare tante altre cose insieme.
In un momento in cui la musica ha avuto molte difficoltà a causa della pandemia, credi che brand come K-Way che investono in artisti e artiste musicali possano essere un aiuto importante?
Assolutamente. Unire le forze e ribadire, nonostante i tempi storici difficili, che l’arte sia un valore, è fondamentale.