Se non sono star, le band inglesi che vanno negli Stati Uniti si trovano a suonare in bar piccolissimi davanti a una dozzina di persone che manco stanno ad ascoltare. I pavimenti sono appiccicosi, i bagni fanno sembrare la metropolitana di New York come Buckingham Palace, i musicisti devono occuparsi pure del tavolo del merchandising. Non i Wild Things. Quando hanno debuttato in America, la scorsa primavera, l’hanno fatto al Madison Square Garden.
«Suonare lì sta in cima alla lista dei desideri di chiunque», dice la cantante Sydney Rae White. «Mio papà mi messaggiava alle 3 del mattino chiedendomi: “Come è stato? Quanto avrei voluto esserci”. E io, tipo: “Mi spiace papà”».
Quest’esperienza surreale è stata resa possibile da Pete Townshend, sorta di padrino della band che ha aperto molte porte per i Wild Things. Tanto per iniziare ha prodotto e suonato nel loro nuovo disco (Afterglow, che uscirà nel 2023), oltre ad aver dato alla band l’opportunità di aprire gli show degli Who, a Las Vegas, il 4 e 5 novembre. Al Garden, i Wild Things hanno conquistato i fan degli Who con riff a presa rapida, melodie solide e la presenza scenica di White. Con un mullet biondo, tutina bordeaux e trucco glam, sembra una via di mezzo tra Ziggy Stardust e Campanellino. Non ha alcuna esitazione quando bisogna risuonare l’inizio di Paradise a causa di un problema tecnico: «Non mi va di fare le cose a metà. Se dobbiamo mettere in piedi uno spettacolo lo facciamo, perdonate il francesismo, a cazzo duro».
Alla fine del set, la band ha promesso a tutti l’entrata libera per lo show della sera seguente al Mercury Lounge. «Non mi interessa granché guadagnare qualcosa da questo tour», spiega il chitarrista Rob Kendrick, che è anche il marito di White. «Non mi frega un cazzo di tornare a casa con 50 dollari in più per comprarmi due camicie. Se posso reinvestirli in modo che delle persone si godano un po’ di musica in più, tanto meglio». La cosa ha funzionato: parecchia gente, la sera dopo, s’è presentata con indosso una maglietta di Quadrophenia, una birra in mano e la voglia di vedere questa giovane band che testimonia come il rock sia ancora importante. «Il rock sta rinascendo», dice White. «Pensate solo all’altra sera: vedete come la gente ne è ancora attratta?».
Quando lo sento al telefono qualche settimana dopo, Townshend concorda: «Improvvisamente ci sono un sacco di rock band, io loro li definisco così. Hanno qualcosa di speciale e sono perfetti per questo momento storico».
Poche ore prima del loro show al Mercury Lounge, White e Kendrick sono a un tavolo del chiassoso Katz’s Deli. È la loro prima volta in una delle istituzioni newyorchesi e Kendrick (36 anni) quasi sbava ordinando un sandwich al pastrami. White declina cortesemente, spiegando di essere vegana da quasi cinque anni: sulla sua tutina arancione scuro tiene appoggiata una borsa da supermercato piena di ananas, carotine e hummus. «Il nostro tecnico delle chitarre era vegano da circa otto anni», dice Kendrick. «Ma è arrivato a New York e si è messo a mangiare la pizza».
Il beffardo senso dell’umorismo inglese è ben radicato nella musica dei Wild Things. My Heart Is in New York, che hanno proposto per la prima volta al Garden, sembrerebbe una ballata d’amore, ma in realtà è nata quando il fratello di White (il bassista e produttore Cam White) ha sfidato Kendrick a scrivere una canzone ispirata a un adesivo visto su un paraurti. Il pezzo si regge sulla voce potente di White e una base di chitarra disperata, ma il testo è una sorta di scherzo fra i membri della band. «Alla fine di ogni verso, il personaggio muore», dice Kendrick orgoglioso. «Mi è parsa un’idea molto divertente il fatto che, ogni volta che iniziavamo a cantare, per qualche motivo moriva. Pete mi ha detto: cosa cazzo c’è che non va nella tua testa?».
Il legame dei Wild Things con Townshend è profondo. White e Kendrick si sono conosciuti quando il chitarrista li ha ingaggiati per il cast di Quadrophenia, nel 2009: Kendrick recitava nel ruolo di Jimmy e White della sua ragazza. «È una storia stile Cupido», dice Townshend, «e io ho visto il momento in cui Rob si è innamorato di Syd, sul palco, durante le prove». White e Kendrick hanno entrambi iniziato come attori. White era nell’adattamento inglese della serie della Disney As the Bell Rings («Lei è molto simile a Miley Cyrus e Britney Spears e a tutte le persone che sono cresciute facendo programmi tv per bambini», spiega Townshend), mentre Kendrick ha recitato più di recente nel ruolo di un compositore nella prima stagione di Bridgerton. «Alla truccatrice ho detto: non so se mi richiameranno per la prossima stagione, quindi fammi una testa più gonfia possibile”», dice Kendrick scherzando, «perché se divento un meme magari mi rivorranno nel cast».
Dopo il musical degli Who, la coppia ha formato i Wild Things, con Cam al basso e Pete Wheeler alla batteria. White e Kendrick si erano tenuti in contatto con Townshend. Temerariamente, gli hanno mandato alcuni brani. «È stato molto sincero ed è una cosa per cui ringrazio Dio», ricorda White. «Ha detto: “Così non va bene, ragazzi. Non va”». Townshend ride e dice di non ricordare di averlo detto: «Se l’ho detto è perché ho pensato che fossero in grado di incassare il colpo e ne sono felice».
La band ha poi inviato a Townshend i pezzi che sarebbero poi finiti nel debutto del 2018 You’re Really Something e questa volta la reazione è stata incoraggiante. «Gli è piaciuto davvero», ricorda White. «Ha detto che avevamo ancora ampi margini di crescita. Noi eravamo giovani e testardi e pensavamo di aver fatto il disco più bello di tutti i tempi». Se hanno un difetto, dice Townshend, «è l’eccessiva sicurezza».
Alla fine del 2019, la band ha portato quattro brani nuovi a Townshend, che questa volta ha invitato i Wild Things nel suo home studio a incidere quello che sarebbe divenuto Afterglow. Hanno passato cinque giorni alla Ashdown House, nell’Oxfordshire, con Townshend che dissezionava attentamente ogni canzone. «Vederlo all’opetra è affascinante», dice White. «Non si sa come ragioni. Può anche mettere in soggezione. Se da lui ti aspetti splendore e imponenza, allora credo tu abbia un’idea sbagliata sul suo conto. Spero che, se mai leggerà queste mi parole, non mi prenda a ceffoni. Ma è semplicemente un genio».
Townshend, con molta modestia, dice di avere dato un piccolo contributo: «Tutto ciò che ho dovuto fare è stato incoraggiarli e fare qualche cambiamento. Non mi è mai piaciuto che qualcun altro producesse le mie cose. Non ho mai lavorato in tutta la mia carriera con un produttore per poi essere contento di averlo fatto. Per cui cerco di assicurarmi che il processo sia il più godibile possibile e che la musica sia di buon livello». Collaborare con una leggenda del rock che ha lavorato a parecchi concept album li ha ispirati a crearne uno tutto loro. Afterglow racconta di un pomeriggio in una città di fantasia chiamata Valentine e ognuno degli 11 brani è una storia diversa. «Puoi prendere ogni canzone singolarmente, per come è, oppure tuffarti nel mondo che abbiamo creato», dice White.
White e Kendrick erano ben consci del fatto che la gente considera i concept pretenziosi, ma la vedevano come un’estensione delle loro carriere da attori. «Probabilmente una band giovane che scrive un concept album non è vista benissimo», dice White. «Tipo: “Ma chi si credono di essere? I Radiohead?”. Ma noi attori tendiamo a immergerci nelle storie e ci è sembrato naturale farlo».
Hanno anche intenzione di sviluppare ulteriormente il concept, trasformandolo in un programma televisivo che Townshend paragona a una versione musicale di Schitt’s Creek (la band lo ha persino convinto a farsi presentare Cameron Crowe, nella speranza che decida di diventare produttore esecutivo della serie). In ogni caso, per ora si concentrano sui prossimi concerti e si spera che il loro fascino inglese li aiuti a ottenere un contratto. «Se qualcosa di ciò che ci siamo detti suona troppo da segaioli», dice Kendrick, «taglialo e basta».
Traduzione da Rolling Stone US.