«A un sacco di gente sembrerà un’affermazione tremenda, ma la musica e l’arte non sono le cose più importanti della mia vita, forse non lo sono mai state. Non c’è niente che valga la pena sacrificare per la musica e l’arte».
È una frase scioccante se pensiamo a chi l’ha detta: l’allegro burlone Wayne Coyne, frontman dei Flaming Lips, un uomo che ha dedicato la vita all’arte, alla musica, a bizzarrie assortite. Ma a 59 anni, questo rocker stravagante è in qualche modo cresciuto. Oltre a guidare i Lips da quasi quattro decenni, Coyne è passato attraverso un divorzio, si è risposato, ha avuto un figlio. Oggi è più preoccupato dall’acquisto di un’auto sicura per la famiglia che dai tour mondiali.
Ora che i Flaming Lips hanno pubblicato il nuovo album American Head, verrebbe da pensare che Coyne sia irritato dal blocco forzato dell’attività dovuto alla pandemia. E invece è contento di passare del tempo con la famiglia, gli animali domestici, gli amici. «Non è tanto diverso dai nostri esordi», dice. «Quando andavamo da qualche parte a suonare dal vivo, poi tornavamo a casa ed eravamo felici di stare da soli nelle nostre abitazioni. Ora non è tanto diverso anche se ho un bimbo di un anno, cani e gatti».
Il cantante ha raccontato a Rolling Stone come la paternità ha cambiato il suo modo di pensare, la situazione dell’America, il lato oscuro della droga e molto altro ancora.
Per American Head hai scritto un saggio su cosa significa essere una band americana. Faticate a definirvi così, con Trump e la pandemia?
Non ho mai preso in considerazione Trump. Manco lo nomino. Credo che la musica dei Flaming Lips, nei momenti migliori, sia profonda di uno come Trump.
Sei ottimista sul futuro del Paese?
Odio dire cose positive sulla pandemia. Abbiamo perso il lavoro perché non possiamo suonare dal vivo. Ma sono ottimista perché questa cosa ha permesso alla gente di prendersi una pausa. Non credo che Black Lives Matter avrebbe avuto lo stesso impatto se la vita non si fosse fermata. Sono contento che non ci sia stato altro, concerti o eventi sportivi, a rubare spazio a Black Lives Matter sulle prime pagine dei giornali.
Insomma, credo che stiano accadendo cose importanti. Spero che non moriremo tutti come con la peste e impareremo qualcosa da questo momento storico.
Hai da poco avuto un figlio, Bloom. La paternità ha cambiato il modo in cui vedi il mondo e la musica?
Mi ha aiutato a capire quali sono le cose importanti. Ho quasi 60 anni, mi sembra di aver vissuto una bella vita. Lavoro con la musica e l’arte da quando avevo 20 anni, e amico, è stata una fortuna vivere così.
Quale mondo speri ci sarà quando tuo figlio avrà la tua età?
Penso che il mondo sia un posto bellissimo, meraviglioso e folle. Non penso che sia una specie di torturatore che ci dà delle lezioni. Certo, ci sono un sacco di ingiustizie e c’è tanto dolore, ma il mondo è bello. Due persone sono ferme davanti al tramonto. Una potrebbe considerarlo una perdita di tempo: “Che ci facciamo qui?”. L’altra, invece, pensa che sia la più grande esperienza della sua vita. Insomma, spero che quando mio figlio sarà più grande il mondo sarà bello e complesso com’è adesso.
Nel nuovo album c’è una canzone che si intitola My Religion Is You e che parla d’amore e religione. Cosa pensi della spiritualità?
Ricordo di aver chiesto la stessa cosa a mia madre quando avevo 7 o 8 anni. Mi ha detto: “Beh, alcune persone non hanno una mamma con cui parlare, quindi parlano con dio, perché altrimenti sarebbero sole”. Capisco cosa voleva dire: io avevo una madre, un padre, i miei fratelli e tante persone con cui parlare. Quindi ho pensato: “Beh, la mia religione sei tu. La mia religione sono i miei fratelli e la mia famiglia, la nostra casa e anche tu”. Credo che avesse capito il mio modo di pensare.
Non sto cercando di cantare qualcosa che sia comprensibile a tutti; cerco di cantare qualcosa che sia comprensibile per me. E forse così lo diventa per tutti.
Qual è l’acquisto più inutile che hai fatto?
Io e mia moglie Katy siamo andati alle Hawaii. Cavolo, suona malissimo. È una cosa da rockstar. Ora abbiamo anche una Volvo, una macchina di famiglia. So che è indulgente.
I tuoi acquisti inutili sono una vacanza di famiglia e una macchina sicura?
(Ride) Esatto. Detto da te suona molto meglio.
Sembri felice di stare con tua moglie e tuo figlio, ma so che hai divorziato. Hai imparato qualcosa da quell’esperienza?
Sono fortunato, sono cresciuto molto, sono più maturo, sono una persona più gentile. Non ho sempre messo la famiglia prima dell’arte e della musica, ma sono cambiato.
La tua famiglia e la tua gente sono importanti. Si trova comunque un modo per fare arte e musica, e pure i soldi. Oddio, se avessi letto quest’intervista quando avevo 30 anni, avrei pensato: quel tizio è uno stupido, non sa di cosa parla. Col tempo, però, ho capito.
Qual è il tuo libro preferito della tua infanzia? Cosa dice di come sei adesso?
Il Grinch. È una storia fantastica e quando la leggi sogni che diventi realtà: dei tizi rancorosi che odiano il mondo hanno un’illuminazione e cambiano. Buona parte degli adulti che conosco e che odiano il mondo non si sveglieranno mai una mattina con un carattere diverso. Ma è una bella storia proprio per questo: ti dice che puoi cambiare e vedere il mondo con occhi nuovi. È come una parabola della Bibbia, ma più facile da capire.
In American Head si parla spesso di erba, LSD, quaalude. Cosa pensi della droga, adesso?
Io e Steven (Drozd) abbiamo parlato di come siamo cresciuti guardando i nostri fratelli maggiori. Guardando loro, abbiamo capito come volevamo vivere e anche quello che non volevamo fare. Abbiamo entrambi il senso di colpa tipico dei sopravvissuti, perché non abbiamo fatto tutto quello che facevano loro. Molti degli amici di mio fratello sono morti di overdose, incidenti in moto e cose del genere.
Per questo non cantiamo della droga come se fosse una cosa meravigliosa, hippie, cosmica, che ti apre la mente. Quando dico “Mamma, ho preso l’LSD” parlo di mio fratello, era seduto sul portico e aveva confessato a mia madre di aver preso un acido. Quando tuo fratello maggiore fa una cosa del genere, pensi: “Mio dio. È un pazzo. Perché si comporta così? Perché vuole uccidersi?”. Un’altra parte di te, invece, dice: “È un folle, ma è anche figo. È meraviglioso, è come un dio perché vede e fa cose che io non posso fare”.
Quando ho preso l’LSD non mi ha aperto la mente. Mi ha fatto capire quant’è brutto, difficile e ingiusto il mondo. Ho quasi dieci anni più di Steven, ma lui ha avuto praticamente la stessa esperienza. Quindi, cantiamo di queste cose anche per capire noi stessi.
Quando eri giovane e lavoravi alla catena Long John Silver’s, un rapinatore ti ha puntato una pistola addosso e hai avuto paura di morire. Quell’esperienza ti ha cambiato?
Beh, fino a quel momento non avevo capito che cosa significa essere vivi. Non ci avevo mai pensato. Facevamo una vita folle, meravigliosa e sana: io e i miei fratelli scorrazzavamo in giro e facevamo cose assurde. Poi mi sono ritrovato sul pavimento a pensare: ecco, è così che morirò.
Ero in ansia perché non lavoravo coi miei fratelli e con mio padre. Lui aveva una piccola azienda e sia i miei fratelli che i loro amici lavoravano con lui, ma io non volevo farlo. Volevo vivere di musica, ma allo stesso tempo non sopportavo non far parte del loro giro. Dopo quella rapina, ho cominciato a pensare che anche loro volevano che facessi musica. In un certo senso mi ha aiutato, mi ha fatto capire che non stavo voltando le spalle a una cosa che mio padre aveva costruito in una vita di lavoro. In un certo senso è stato un regalo, mi ha fornito una nuova coscienza di quel che è importante nella vita.
Qual è il consiglio peggiore che hai ricevuto? E l’hai seguito?
A mio padre non piacevano i gatti. Quando avevo 5 o 6 anni, mi ha detto: “Se vedi un gatto, puoi ucciderlo. Puoi investirlo e puoi sparargli, perché i gatti sono cattivi”. Crescendo ho capito che non era così. Insomma, ora siamo pieni di gatti. Ma da piccolo pensavo che quelli fossero grandi consigli, lezioni da tenere sempre a mente.
C’è qualcosa che avresti voluto sapere sulla musica o sull’industria musicale?
Avrei voluto essere consapevole del fatto che non devi essere per forza un musicista. Siamo solo dei tipi strambi che fanno musica a modo loro. Non siamo davvero integrati all’industria. Incidiamo per la Warner da 30 anni, ma non ci siamo mai considerati parte del music business.
Ricordo che disegnavi molto durante le interviste. Lo fai ancora?
No. Mi definivo orgogliosamente multitasking. I disegni erano belli, le interviste no. Facevo degli scarabocchi che spesso sono meglio di quel che disegni intenzionalmente. Il problema è che nel momento in cui vedi che sono interessanti, dimentichi che stai avendo una conversazione con un’altra persona e smetti di ascoltarla.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.