Nell’autunno del 2018 Angel Olsen si è messa alle spalle Asheville, in North Carolina, ed è partita per il luogo più lontano che è riuscita a trovare. Non che avesse granché da lasciare dietro di sé: era appena uscita da una relazione durata cinque anni e con la separazione erano finite varie amicizie. «Succede quando hai una storia in una piccola città», spiega la cantautrice, 33 anni. «Ti fa capire chi sono i veri amici e chi sa gestire il conflitto tra due persone senza comportarsi da merda… Era il momento giusto per starmene un po’ da sola».
Da quest’esperienza dolorosa sono nate canzoni potenti che parlano di perdita, solitudine e di resa dei conti emotiva. Le ha portate ad Anacortes, nello Stato di Washington, una città ancora più piccola a nord del Puget Sound. Lì si è data appuntamento con il fonico Michael Harris, un caro amico con cui ha collaborato all’album del 2016 My Woman. «Ho pensato che se c’era un fonico capace di gestirmi da depressa, quello era Michael».
In una chiesa diroccata che Phil Elverum, che viene proprio da Anacortes, ha trasformato in uno studio chiamato The Unknown, Olsen e Harris hanno ridotto all’osso ballate come Lark e Summer. Più avanti, a Los Angeles, Olsen ha registrato i pezzi con l’accompagnamento degli archi che si sentono in All Mirrors. Grazie a quell’album è stata celebrata come una delle narratrici più interessanti del rock, un’autrice capace di raccontare storie di cuori spezzati e auto affermazione con una visione molto più ampia dei suoi contemporanei.
All’inizio, però, Olsen voleva registrare i pezzi in modo più scarno possibile: solo la chitarra, la voce e ogni tanto un sintetizzatore, il tutto inciso su nastro. «L’atmosfera era triste, strana e sinistra», dice Harris, che racconta di una traccia di voce che Olsen ha registrato in un sottoscala vuoto. La cantautrice dice che cercava «la versione più spettrale possibile di quelle canzoni», nella tradizione di Nebraska di Bruce Springsteen e del pop fatto in casa di Arthur Russell. «Mi sentivo davvero fortunato ad essere lì», aggiunge Harris. «Ero seduto in regia, mi commuovevo ogni volta che registrava una buona take».
Le session di Anacortes, dal suono così spoglio da assomigliare alla radiografia di un’anima, verranno pubblicate il 28 agosto con il titolo Whole New Mess, un album con una bellezza e un’intensità unica. Esce dopo una serie di album dal suono sempre più ricco e rappresenta un ritorno alle atmosfere delle origini, una chiusura del cerchio sia per i fan che la seguono dall’inizio che per la stessa Olsen.
Dieci anni fa, quando aveva 20 anni, Olsen lavorava in un caffè di Chicago, dove si era trasferita dopo l’infanzia passata a St. Louis. I clienti erano scorbutici e i gli assegni che riceveva spesso scoperti, ma amava la libertà che le dava quel lavoro: di giorno scriveva canzoni sul retro degli scontrini, di notte le suonava in club minuscoli.
Il suo primo EP Strange Cacti (2010), che ha registrato da sola con Garage Band dopo una serie di esperienze negative con produttori locali, le ha garantito un posto nella band di Bonnie “Prince” Billy. Il suo primo album Half Way Home (2012) le ha portato alcuni concerti da solista e un tour in Europa, che ha girato in treno. «Vedere così tante persone che mi aspettavano, almeno paragonate agli show a Chicago, era folle e sconvolgente», dice. «È lì che ho capito che potevo vivere di questo, ma anche che avevo bisogno di aiuto per superare la mia timidezza».
Nel 2014, dopo aver registrato l’album della svolta Burn Your Fire for No Witness, si è trasferita ad Asheville. Molte di quelle canzoni, dice, erano alimentate dalla rabbia che provava verso gli ex che non avevano supportato le sue aspirazioni. «Era come se la mia visione fosse offuscata dai miei ex», dice. «Amare un uomo geloso della tua carriera è strano. All’inizio i ragazzi con cui uscivo erano ispirati, poi superato un certo punto si sentivano minacciati».
Olsen dice che si sentiva intrappolata in giochi mentali con persone di cui si era fidata troppo in fretta. «Nessuno mi diceva che dovevo andare là fuori a tutti costi a suonare le mie canzoni», racconta. «Parlavano invece di quanto sarebbe stato difficile, di chi mi avrebbe usato o sessualizzata, e che non avrebbe funzionato».
Mentre la sua carriera spiccava il volo, mettere in piedi una backing band con un suono più ricco sembrava naturale. «Volevo suonare insieme ai pezzi grossi», dice. «L’idea di suonare in una band rock mi ossessionava, volevo esprimere l’aggressività che sentivo. Volevo dimostrare che avevano torto, dimostrare che anche io avevo torto».
Olsen ha perciò sviluppato il suo suono in My Woman, un album dalle atmosfere da film noir e accenni r&b. È stato un altro successo di critica, ma la cantautrice iniziava ad avere dubbi, pensava che forse si stava allontanando troppo dalle sue origini acustiche. Voleva condividere la sua nuova carriera con quella voce interiore che il mondo aveva trasformato in una macchina da soldi, con tutte le responsabilità che ne derivano. «Fondare una band è un po’ come aprire un’impresa, e non è quello che sognavo quando ho iniziato a fare musica. Lamentarmene non porta da nessuna parte, mi fa sembrare una stronza privilegiata. Ma quando ho iniziato non avevo capito che avrei dovuto occuparmi di tante cose».
Lo stress derivante dalla gestione dei rapporti interni alla band, insieme alla fine della sua relazione, la faceva sentire sempre più sola. «Più hai successo più diventa difficile incontrare nuovi amici e fidarsi di persone nuove. Ti chiedi sempre perché la gente è così gentile con te». Quando lo scorso autunno è arrivata ad Anacortes, era pronta a prendersi una pausa. «Dovevo assicurarmi di poter scrivere qualcosa di mio», dice. «Ho seguito il mio intuito, non importa se è una rivoluzione nel suono. Non è mai stata una cosa così importante per la mia musica».
Pubblicare quelle canzoni in entrambe le forme – la ricca solennità di All Mirrors e il fascino scheletrico di Whole New Mess – è sempre stato nei suoi piani. «È una cosa molto bella che aspetta in segreto di essere ascoltata da tutti», dice Harris del nuovo album. «Lo adoro».
Olsen sperava di supportare Whole New Mess con un tour solista organizzato per quest’anno. In questo momento, invece, se ne sta tranquilla nella sua casa di Asheville e pensa al modo strano con cui nell’album echeggia l’isolamento che abbiamo vissuto negli ultimi mesi. «È un momento triste e solitario, ma in un certo senso dover affrontare tutte queste cose è una benedizione», dice. «E sono tornata a scrivere. Chissà, forse nel 2022 avrò un altro disco».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.